La guerra dentro casa

Un paese senza pace

Cambiano presidenti e comandanti, ma non la situazione. La guerra civile colombiana dura da oltre mezzo secolo. Ne fa le spese la popolazione, soprattutto gli oltre 4 milioni di sfollati e gli indios.
Ne abbiamo parlato con padre Ezio Roattino, missionario nel Cauca, regione dove guerriglia, esercito e paramilitari si fronteggiano senza esclusione di colpi. Sulla pelle dei civili per i quali dicono di combattere.

Spari di mitraglia, boati di esplosioni. Il sito internet delle «Forze armate rivoluzionarie di Colombia» (Farc) ha un «sottofondo musicale» piuttosto particolare. In questo spazio virtuale, il 26 febbraio viene pubblicato un comunicato in cui si annuncia la prossima liberazione di 10 prigionieri di guerra, soldati e poliziotti nelle mani della guerriglia1. Nello stesso comunicato, si annuncia che d’ora in poi le Farc non prenderanno più in ostaggio uomini e donne della popolazione civile. Padre Ezio Roattino, missionario della Consolata, da 30 anni in America Latina (o Abya Yala2, come egli preferisce dire), è scettico. «Nella logica della guerra, ci sono momenti in cui il linguaggio conciliatorio è reso necessario dalla situazione oggettiva. In questo momento le Farc sono in difficoltà». Non si sa con certezza di quanti uomini la guerriglia disponga oggi. Si parla di poche migliaia; qualche anno fa erano oltre 20 mila. I vari fronti e colonne mobili in cui le Farc sono organizzate sembrano muoversi in maniera disordinata, al di fuori di ogni strategia nazionale. «Il cornordinamento – spiega padre Ezio – è diventato molto complicato. Sia per la fortissima militarizzazione del territorio, sia per la diffusione di tecnologie sempre più sofisticate. Molte delle recenti disfatte delle Farc sono state possibili grazie all’intercettazione dei cellulari».
Oltre che dalle sconfitte patite ad opera dello Stato3, le difficoltà della guerriglia sono aggravate dalla scarsità di risorse finanziarie e, probabilmente, dalla mancanza di un forte comando centrale.
Negli ultimi quattro anni, le Farc hanno perso Raul Reyes, Manuel Marulanda, Mono Joyoy e da ultimo Alfonso Cano. Da novembre 2011, il nuovo leader è Rodrigo Londono-Echeverry, detto «Timochenko», di cui però si sa ancora troppo poco.
Paradossalmente, le difficoltà delle Farc si sono tradotte in maggiori pericoli per la popolazione civile, in modo particolare nel Cauca. «A Santander de Quilichao, per le imprese è molto pericoloso sottrarsi al pagamento della “quota rivoluzionaria”, un vero e proprio “pizzo”. Poi, oltre alle estorsioni nei confronti dei soggetti economici, ci sono i sequestri di persona».
Padre Ezio ricorda la vicenda del rapimento di Francesco Menotti Perlaza, figlio di una famiglia benestante. Il ragazzo riesce a scappare, ma per la famiglia l’incubo continua con minacce, bombe e un omicidio. Il 21 aprile 2011 viene assassinato Agustín Perlaza, zio di Francesco. Pochi giorni dopo quella tragica morte, padre Roattino si espone pubblicamente scrivendo una lettera aperta alle Farc. In essa si scaglia contro la «cultura della morte» fino ad affermare che una vera rivoluzione ha una propria etica e mistica oppure non è una rivoluzione.

«LEI NON PUÒ ENTRARE CON LE ARMI»
Ancora più difficile è la situazione per chi vive nei centri minori. Come a Toribio, il piccolo comune di montagna, in gran parte abitato da popolazione di     etnia nasa, dove padre Roattino
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è stato parroco fino a pochi mesi fa e dove gli attacchi della guerriglia sono molto frequenti. L’obiettivo è la locale stazione di polizia, ma gli effetti si ripercuotono su tutti.
«Le Farc che io conosco – parlo  di Toribio e del Cauca di questi ultimi anni – non lottano più per un ideale sociale, ma sono entrate nello spazio del terrorismo. Per esempio, il fatto di usare le bombole del gas che esplodendo colpiscono indiscriminatamente, secondo me va contro qualsiasi etica rivoluzionaria».
Sabato 9 luglio 2011 a Toribio è giorno di mercato. È attesa una chiva, una corriera, carica di prodotti della campagna. Invece, ne arriva una piena di bombe e ordigni esplosivi. L’esplosione, violentissima, avviene vicino alla stazione di polizia, non lontano dalla chiesa. Ci sono 3 morti e 122 feriti. Un bilancio che sarebbe potuto essere molto più tragico se la chiesa e la casa parrocchiale non avessero fatto da muro di contenimento, attutendo l’urto dell’onda esplosiva e proteggendo così tutta la gente che riempiva il mercato della piazza principale di Toribio.
Padre Roattino è duro con le Farc, ma lo è altrettanto con lo Stato. A Toribio il missionario non consente alla polizia di entrare in chiesa con le armi. Una decisione che viene spesso interpretata come un affronto di lesa maestà. «Un giorno, un comandante della locale stazione di polizia chiese di leggere le scritture durante la messa. Ma io mi opposi. “Io non metto in dubbio la sua fede – gli dissi -, ma lei rappresenta uno Stato armato”. A volte, mi vedo costretto a ricordare che Gesù Cristo fu ammazzato dalle forze dell’ordine… La parola di Dio – “Tu non uccidere” – vale sia per la guerriglia che per lo Stato. Perché non esiste una guerra giusta».

NUOVO TRATTATO, NUOVI ESCLUSI
Dall’agosto 2010 è presidente della Colombia Juan Manuel Santos. Che sicuramente non è un uomo nuovo. È stato ministro sotto la presidenza di Álvaro Uribe e proviene da una delle famiglie più influenti del paese.
I Santos sono stati proprietari ed oggi azionisti de El Tiempo, il principale quotidiano colombiano. Padre Roattino non vede, nel paese, i progressi che politici e media propagandano. «Viene esaltata – spiega il missionario – l’inteazionalizzazione del paese perché, il 12 ottobre 2011, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il “Trattato di libero commercio” con Bogotà. Ma il Tlc sarà certamente un brutto colpo per la Colombia degli esclusi. I prodotti provenienti dagli Stati Uniti invaderanno il mercato colombiano spiazzando con i loro prezzi bassi le produzioni locali».
Anche sul tema del conflitto armato interno, i proclami della presidenza Santos si scontrano contro la realtà. Nel luglio 2011, è stata promulgata la «Legge per le vittime e la restituzione delle terre»4, che si prefigge di restituire agli sfollati (desplazados) la terra persa a causa del conflitto e di indennizzare le vittime di violazione dei diritti umani. Peccato che la legge nasconda svariati trucchi giuridici5.
In Colombia, esistono almeno 4 milioni di sfollati6 e si stima che le terre in mano a proprietari illegittimi siano almeno 6,5 milioni di ettari. Numeri enormi. «Dubito molto sull’efficacia di questa legge. Basta ragionare un attimo: chi ha il coraggio di andare a reclamare una terra su cui si sono insediati altri soggetti, certamente più forti e più protetti di una famiglia di sfollati?».
I soggetti cui padre Roattino si riferisce sono latifondisti e paramilitari. Va ricordato che la «Legge di giustizia e pace»7, fulcro del processo di disarmo dei paramilitari, è sostanzialmente fallita. Oggi si sono formati nuovi gruppi paramilitari che, secondo cifre ufficiali, conterebbero 5.700 membri. Il fenomeno è reso possibile dalla connivenza con il mondo politico (come ha evidenziato lo scandalo conosciuto come «parapolitica») e con una parte delle forze di polizia. Nel 2011, almeno 180 poliziotti sono stati incarcerati per vincoli con i paramilitari8.
La terra è ambita da tutti, ma a prevalere sono sempre i soliti. In questi ultimi anni, c’è stata un’invasione di multinazionali minerarie sulla Cordigliera andina colombiana, la quale, tra l’altro, è una grande riserva di acqua, ospitando le sorgenti di tutti i grandi fiumi: Magdalena, Putumayo, Caquetà, Cauca. Ebbene, qui il governo ha già rilasciato 64 concessioni minerarie per poter estrarre petrolio o altre ricchezze come l’oro. «Ci sono resguardos indigeni – spiega padre Roattino – venduti a compagnie minerarie senza una consultazione previa con le popolazioni, come previsto dalla Costituzione. Quindi, l’acqua e la foresta appartengono agli ultimi arrivati. D’un colpo, la storia è tornata indietro di 500 anni!».
Per il 2012 in Colombia si prevede una crescita del Prodotto interno lordo pari al 4,5%. Numeri da invidia per politici, economisti e media del sistema neoliberista. Peccato che questo sviluppo segua le consuete strade della diseguaglianza, come sottolinea padre Roattino: «Oggi in Colombia gli ultimi – indios, afrodiscendenti, campesinos – stanno peggio di prima. Non ci sono dubbi che l’esclusione è in aumento. Com’è in aumento l’insicurezza. A Bogotà si dice più o meno così: nella condizione in cui ci troviamo oggi, i poveri non possono più mangiare, la classe media non può più comprare, i ricchi non possono più dormire (per la paura di essere derubati)».
A parte le vittime della guerra e della delinquenza, tra la gente comune a rischiare la vita sono soprattutto i sindacalisti e i difensori dei diritti umani. Nel 2011, sono stati assassinati 26 dei primi e 49 dei secondi9. L’impunità continua a coprire la violazione dei diritti umani. Il governo di Santos non si distingue da quello di Álvaro Uribe, suo predecessore, neppure in questo.

Paolo Moiola

Note
1 – La liberazione degli ostaggi è avvenuta lo scorso 2 aprile 2012. Alcuni erano prigionieri da 13 anni.
2 – Abya Yala è il nome indigeno delle Americhe.
3 – Pur lasciando spazio a colpi di coda, come avvenuto il 17 marzo 2012 quando le Farc hanno ucciso 11 soldati nel dipartimento di Arauca. Pochi giorni dopo, la controffensiva dell’esercito ha portato all’uccisione di 33 guerriglieri e alla cattura di 5.
4 – Ley de víctimas y restitución de tierras. La legge è scaricabile dal web.
5 – Gilberto Lopez y Rivas, Colombia. Il terrorismo di Stato continua, Latinoamerica n. 4, 2011, pagg. 68-71.
6 – Sono 3,7 milioni secondo Acción Social, organismo pubblico; sono invece 5,3 milioni secondo Codhes, nota Ong colombiana.
7 – Ley de justicia y paz, n. 975, 25 luglio 2005.
8 – Rapporto di Human Rights Watch, gennaio 2012.
9 – Rapporto di Somos defensores, Ong che si occupa di proteggere i difensori dei diritti umani: www.somosdefensores.org.

Paolo Moiola