Cana (17) Simbologia del terzo giorno

Il racconto delle nozze di cana (17)

Abbiamo ripetuto tante volte che l’espressione «terzo giorno» con cui inizia il racconto di Cana corrisponde al «sesto giorno» del Sinai, giorno della consegna della Toràh ad Israele e tramite Israele a tutti i popoli. Il valore del numero «6» è importante nella Bibbia e nel vangelo di Giovanni per cui ne diamo qualche indicazione essenziale.

Perfezione imperfetta del n. «6»
Nel giardino di Eden, Àdam è creato nel giorno sesto: «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza … E Dio creò l’uomo a sua immagine …”. E fu sera e fu mattina: sesto giorno» (Gen 1,26.27.31). Il giorno «6» è dunque il giorno dell’uomo, dell’umanità. Secondo il criterio biblico, il giorno «6» è calcolato in rapporto al giorno della pienezza e della totalità che è il giorno «7», giorno in cui «tutto è compiuto» e Dio si riposa: da questo punto di vista il giorno dell’uomo è «7 – 1 = 6». Se il giorno sesto è il giorno della pienezza dell’umanità, esso però è inferiore alla totalità divina, espressa nel «giorno settimo» perché giorno della perfezione di Dio meno qualcosa. L’uomo non può mai competere con Dio perché sono somiglianti, ma non sono sullo stesso piano: creatore e creatura, ma non «amiconi». Il giorno «6» tende, cammina, è indirizzato naturalmente al «giorno 7°» che è il suo fine e il suo approdo. Il compimento dell’uomo è Dio che si esprime nella pienezza di se stesso e attrae a sé l’uomo per sua natura per dare senso al bisogno di «compimento/pienezza» a cui l’uomo aspira.
Il numero «sei» quindi è il numero della perfezione imperfetta del mondo creato e dell’uomo che del creato è il vertice cosciente per questo è anche l’inizio del genere umano, perché nel giorno «6» l’umanità nasce e si rapporta con se stesso (Eva), con le creature (animali) e con le cose (terra). È l’idea di generazione e di origine, come spiega Filone di Alessandria (sec. I d.C.) nelle sue opere (De opificio mundi, 13-14 e Legum Allegoriae I,3; De Specialibus Legibus II,58; A. Serra, «Vi erano là sei giare…» in Nato da Donna 145-147).
Alla nostra mentalità occidentale il ragionamento di Filone potrebbe non interessare o apparire troppo contorto, eppure se vogliamo capire la Bibbia dobbiamo percorrere questi sentirneri che ci portano alla comprensione di mondi nuovi e modi diversi di lettura. Secondo Filone, dopo il numero «1» che è l’unità iniziale e quindi ha un valore a se stante, il numero «6» è il primo numero perfetto;  infatti se si scompone il «6» si ha: la metà che è 3; un terzo che è 2 e un sesto che è 1. Ne consegue che il «6» è uguale alla somma della sua metà (3), del terzo (2) e del sesto (1): 6 = 3+2+1. Lo stesso pensiero sviluppa sant’Agostino nel sec. V d.C., segno che questo approccio con la Scrittura è rimasto costante nella Chiesa dei primi secoli:
«A causa della perfezione del numero 6 si narra nella Scrittura che queste opere sono state condotte a perfezione in 6 giorni che sono il medesimo giorno ripetuto 6 volte. La ragione non è che a Dio fosse necessario uno spazio di tempo […]. La ragione è invece che mediante il 6 è stata indicata la perfezione del creato. Il numero 6 infatti è il primo ad essere compiuto dalle proprie parti, cioè la sesta, la terza parte e la metà, che sono l’uno, il due e il tre e che addizionati danno il 6 […]. E in esso Dio ha compiuto le sue opere. E per questo non si deve trascurare il significato aritmetico. A chi riflette con attenzione appare evidente quale valore abbia in molti passi della sacra Scrittura. Non per caso è stato detto a lode di Dio: Hai disposto tutte le cose nella misura, nel numero e nel peso» [Sap 11,21; cf Is 40,12; Gb 28,25] (Sant’Agostino, La città di Dio, XI,30).

Il n. «6» aspira al riposo del giorno
«settimo»
Il numero «6» è perfetto anche perché è il prodotto della moltiplicazione di 3 x 2 perché il 2 è il primo dei numeri pari e il 3 il primo dei numeri dispari. Una regola comunemente accettata presso i Giudei, compreso Filone, era la convinzione che i numeri dispari fossero numeri maschi e quindi buoni, mentre quelli pari fossero femmine e quindi cattivi  (cf E. Testa, Il simbolismo dei Giudei-Cristiani, 227). Il numero «6» contiene sia l’elemento maschile che quello femminile e quindi porta in dotazione il bene e il male. Ecco perché era conveniente che l’umanità fosse creata al «sesto giorno»: nascendo dall’accoppiamento tra maschio e femmina essa portava in sé il germe del bene e del male, intimamente mescolati come il grano alla zizzania della parabola evangelica (cf Mt 13,24-30).
Per questi motivi i kabalisti (cf Tiqouné Zohar 6) spiegano il motivo per cui la prima parola della Bibbia è «berešit – nel principio» (Gen 1,1). In ebraico è formata da «6» consonanti che essi dividono in due parole, giocando sulle assonanze con il verbo «barà – creò» e «shit» che richiama «shesh – sei» e quindi traducono: «creò il sei». Non solo, ma Dio crea l’universo e l’uomo in sei giorni. «Si comprende forse perché allora tutta la struttura del tempo ebraico è basata sull’esistenza di questo numero perfetto, il «6». Il mondo è creato in sei giorni. Poi segue lo Shabat. Lo schiavo lavora sei anni e il settimo acquista la libertà. Anche la terra può essere lavorata per sei anni, ma al settimo deve riposare (è la chemità). Il mondo creato durerà sei mila anni, e il settimo millennio inaugurerà il tempo messianico, ecc.» (M.A. Quaknin, Mystères de la kabbale, 361).
Donando la Toràh al «sesto giorno» (che come abbiamo visto corrisponde al «terzo» in base al computo complessivo, Dio consegna all’umanità il codice di discernimento, cioè la coscienza per decidere e scegliere tra bene e male, quella coscienza che Àdam ed Eva non seppero gestire. Ora la capacità di discernimento è contenuta entro i confini della «Legge» che non è una serie di norme da osservare o vietate, ma il binario di marcia verso il compimento del «settimo giorno», il giorno del riposo di Dio, cioè il giorno della perfetta somiglianza fallita nella creazione e ora rimandata nel contesto della storia. Sul numero «6» vi è una letteratura immensa sia nella letteratura apocrifa (cf P. Sacchi, Apocrifi dell’AT, vol. I, UTET, Torino 1981, 239-240; M. Erbetta, Apocrifi del NT. Vangeli I/2, Marietti, Torino 1981, 280-281) che nella patristica (cf p. es. Giustino, Dialogo con Trifone, 81, ecc.).

A Cana si riapre il tempo dell’amore
Nelle nozze di Cana, da una lato si precisa che è «il giorno terzo» che corrisponde al sesto della prima settimana di Gesù e dall’altro si mettono in bocca a Gesù le parole oscure che solo alla fine del vangelo troveranno luce e significato: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Gesù si trova nel «sesto giorno», il giorno dell’uomo e della storia, ma ancora non è giunto il suo «settimo giorno», il giorno del suo riposo nella morte donata come offerta pura di obbedienza al Padre che vuole che il mondo sia salvo (cf Gv 3,17). La pienezza cercata da Gesù è la sua immersione nella volontà del Padre (cf Lc 22,44), recuperando così la disobbedienza dei progenitori che al Padre avevano preferito le lusinghe del serpente (cf Gen 3).
Tutta questa simbologia serve a mettere in connessione stretta sia dal punto di vista teologico che emozionale il Sinai e la creazione, rapporto che Giovanni prolungherà con «il principio» dell’attività di Gesù, il nuovo Sinai da cui non scende più la Toràh di pietra, ma il Volto e il Nome del Padre (cf Gv 1,18).
Le nozze di Cana sono così l’ingresso in questo vortice di Presenza e di salvezza che Dio sparge a piene mani sul mondo, davanti al quale il Figlio è venuto a dichiarare aperti ancora una volta i termini dell’alleanza nuziale. Nulla è perduto perché ora Dio è di nuovo in mezzo al suo popolo per riprendere le fila di quella alleanza sinaitica che non può andare perduta, perché Dio è fedele a se stesso e alle sue promesse. Il patto di Dio è eterno e poiché ha sedotto Israele, lo ha sedotto per sempre; per questo a Cana si riaprono i giorni delle nozze e l’oscura cittadina della Galilea quasi pagana, diventa il nuovo monte Sinai, testimone di una nuova «manifestazione/rivelazione»: le nozze etee tra il Dio di Abramo e di Mosè e il popolo santo, qui rappresentato dalle giare di pietra e dalla Madre che vuole assaporare il gusto del vino nuovo del tempo del Messia.

Cana: il «principio» della nuova bellezza
Il Targum e il Midrash al Cantico dei Cantici (Tg 2,3.5; Ct R 2,3.2; 2,3.5; 8,5.1; TB Shabbat 88a) descrivono il Sinai come l’albero che produce mele, cioè le parole della Toràh che sono «desiderabili per acquistare saggezza» (Gen 3,6) e dolci al palato della Sposa/Israele (cf Ez 3,3). Anche lo pseudo Filone (Liber Antiquitatum Biblicarum 11,15 [SC 229, 124; 230, 113]) paragona l’albero della vita dell’Eden alla Toràh che Dio dona a Mosè sul Sinai. Nell’Eden Eva fu sedotta dal serpente e disobbedì al creatore, scoprendosi nuda nella sua opacità; al Sinai invece la sposa/Israele, si lascia sedurre solo dal suo Sposo/Dio e si veste dell’obbedienza alla sua Parola: «Quanto il Signore ha detto, noi faremo e obbediremo» (Es 19,8; 24,3.7). La bellezza perduta da Eva, la cui nudità deve essere coperta da pelli di animali morti (cf Gen 3,21) viene recuperata da Israele/Sposa che diventa «la più bella delle donne» (Ct 1,8; 5,9; 6,1).
Anche il vangelo di Giovanni dà importanza al numero «6»: nel capitolo 1 descrive la prima settimana di Gesù che culmina nel «sesto giorno», che corrisponde al «terzo giorno» quando avviene lo sposalizio di Cana (Gv 2,1). Nello stesso racconto al v. 6 troviamo «sei giare di pietra» che esamineremo a suo tempo; in Gv 4,6 l’incontro con la Samaritana avviene «circa l’ora sesta»; la stessa Samaritana ha avuto cinque mariti e il sesto «non è tuo marito»; a Betania, Maria sorella di Lazzaro e Marta compie l’unzione di Gesù con l’olio «sei giorni prima della Pasqua» (Gv 12,1); Gesù viene consegnato alla morte di croce «circa l’ora sesta» (Gv 19,14) e infine Gesù consegna lo Spirito, morendo nel «giorno della Parascève» (Gv 19,31), alla vigilia del sabato, cioè nel sesto giorno (cf Gv 19,31.42).
È evidente che Giovanni vuole inserire il «terzo giorno» di Cana all’interno di un tessuto simbolico che dia al fatto una dimensione nuova e nello stesso tempo molto più ampia di quanto non possa essere un semplice e banale matrimonio.
In tutti questi passaggi c’è un disegno interiore, una spiritualità intima che lega eventi e fatti lontani con un filo rosso invisibile, che lo Spirito Santo può condurre e interpretare, perché a noi giunga il sapore dell’evento per eccellenza, il «compimento» che non ha più bisogno di pienezza: il Lògos eterno che assume il volto, la voce e la vita di Gesù di Nàzaret, «l’uomo nuovo» di cui parla San Paolo venuto a pacificare i due popoli, l’ebraico e il greco (Ef 2,15; cf anche 4,24).
A Cana si compie definitivamente la tipologia tra Adamo e Cristo, nuovo Adamo (1Cor 15,45; 22) perché mentre il primo fu causa della distruzione della prima alleanza cosmica, il secondo invece ha invitato tutta l’umanità alle nozze nuove della nuova giustizia, quella che cerca il Regno di Dio che è già storia e promessa insieme.
[continua – 17]

Paolo Farinella

Paolo Farinella

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