Non solo corano

Cosa succede nelle scuole coraniche

Affidati da piccoli al «Maestro» imparano a memoria il libro sacro. Ma non solo.  La daara è una scuola di vita e di formazione integrale. Si insegnano valori come l’umiltà,  la solidarietà e la convivenza pacifica. Ma quando il Maestro si trasferisce in città i rischi di sfruttamento e di mendicità sono elevati. Non bisogna generalizzare.

Lo studio del «libro santo», il Corano, permette ai fedeli musulmani di orientarsi nel mondo e di conoscere la loro missione terrena, perché: «La parola di Dio è l’architettura del mondo, è il mondo stesso».
Le tre strutture fondamentali nella trasmissione del sapere religioso contenuto nel Corano sono: le moschee, all’interno delle quali secondo la tradizione profetica è sempre prevista una zona dedicata all’educazione dei fedeli; le associazioni religiose (dahira); le scuole coraniche.
Nelle prime due il maestro riunisce attorno a sé i discepoli adulti e celebra e commenta alcuni passaggi dei testi fondamentali della religione islamica: il Corano, la Sunna e i testi delle scienze islamiche.
Le scuole coraniche, invece, hanno lo scopo di formare i giovani allievi (generalmente di età compresa fra i 5 e i 15 anni) sia da un punto di vista morale che conoscitivo, per forgiare uomini e donne al servizio di Dio e delle sue leggi. L’Islam propone un’educazione omogenea del corpo e dello spirito, in coerenza con i dettami della religione. Per questo motivo l’insegnamento islamico è un processo di formazione e di trasformazione intellettuale, morale e spirituale, sulla base dei principi del Corano.
In Senegal, la scuola coranica è la daara, termine che deriva dal nome arabo dâr, che significa dimora, casa. Le famiglie affidano i bambini in tenera età a un maestro, con cui solitamente hanno legami di parentela o di conoscenza, e gli chiedono di adempiere alla formazione dei loro figli.
I maestri religiosi sono considerati tra gli esseri più vicini a Dio, perché sono le guide degli uomini sul cammino della fede. Essi godono di un riconoscimento speciale in seno alle comunità religiose e sono considerati garanti dell’armonia sociale, nel rispetto delle norme coraniche.
L’appellativo marabout (marabutto), attribuito ai maestri coranici, è originario della Mauritania e significa «uomo votato alla vita ascetica» per descrivere l’attitudine alla preghiera, allo studio e all’insegnamento che li contraddistingue.

La lingua sacra

Il bambino soggioa presso il maestro per diversi anni, durante i quali percorre le varie tappe dell’insegnamento islamico, iniziando dalla recitazione mnemonica del Libro, atto di lode a Dio, per proseguire con lo studio di tutte le altre materie religiose, come la teologia, il diritto musulmano e la tradizione profetica. La pratica corretta della religione islamica, a cominciare dall’obbligo della preghiera cinque volte al giorno, presuppone, infatti, la memorizzazione dei versi coranici e la capacità di pronunciarli correttamente in lingua araba (celebrare la parola di Dio in modo scorretto è considerato un grave sacrilegio).
Il Corano è un’opera colossale: è composto da 114 sure, raggruppate in trenta parti, ciascuna suddivisa in due porzioni, le hizb, ripartite in quarti, i rubu, articolati a loro volta in otto parti, i sumun, composte ciascuna da 17 o 18 linee. È evidente quanto sia ardua l’impresa di memorizzare integralmente tutta l’opera (necessario in passato per la rarità delle opere scritte), non solo per la quantità di versi che la compongono, ma soprattutto per la lingua in cui essa è scritta, di difficile accesso per le popolazioni non arabe.
In quanto lingua della rivelazione divina, l’arabo classico è considerato dai popoli musulmani come l’alfabeto santo per eccellenza e come tale deve essere tramandata di generazione in generazione. Essa stessa è considerata uno strumento di accesso al soprannaturale.
La sacralità della scrittura, secondo la percezione dei credenti musulmani, è confermata dalla progressiva sostituzione degli amuleti della tradizione africana con i sacchetti di cuoio contenenti un pezzo di carta con alcuni versi coranici, ma anche dalla tradizione popolare, la quale vuole che un foglio su cui siano scritti versi coranici resista alle fiamme. Il libro non può essere toccato se non dopo aver eseguito le abluzioni minori ed esso stesso viene sovente adoperato come amuleto contro la cattiva sorte.
Per quanto riguarda lo studio dei contenuti, seconda tappa nel percorso formativo, la conoscenza del «libro» permette di scoprire la ricchezza delle indicazioni divine che regolano ogni aspetto della vita dell’individuo. Non solo da un punto di vista spirituale, nel suo rapporto con l’Onnipotente, ma anche per il ruolo che egli deve svolgere all’interno della società. Il libro racchiude tutta la legislazione musulmana rispetto alle questioni religiose, giuridiche, sociali ed economiche. L’educazione coranica, in senso ampio, comprende quindi non solo la nozione di istruzione, ma anche quella di formazione dell’allievo ed è considerata fondamentale nella vita di ogni musulmano.

A scuola di semplicità

La scuola coranica in cui i giovani discepoli vengono formati si trova quasi sempre all’interno della casa del maestro. L’austerità del luogo in cui viene dispensato l’insegnamento ha radici profonde e risponde a una scelta pedagogica ben precisa, che raramente cambia al variare delle possibilità economiche del marabout. Egli educa i propri allievi sotto un semplice riparo, una tettornia o un albero, e i bambini sono seduti a gambe incrociate su stuoie di paglia, le stesse che servono come giaciglio durante la notte.
L’unico strumento di cui dispongono gli allievi, almeno per i primi anni di formazione destinati alla memorizzazione del Corano, è una tavoletta in legno su cui quotidianamente il maestro scrive i versi coranici da memorizzare nel corso della giornata.
La giornata dei taalibe (dall’arabo tâlib, ossia studente) comincia all’alba con la recita della preghiera del mattino e si conclude con la preghiera della sera.
Lo studio dei versi impegna l’allievo per diverse ore al giorno, in alternanza con le faccende domestiche e il lavoro agricolo. La distribuzione dei compiti fra gli studenti è proporzionale all’età di ognuno. Secondo la tradizione, il maestro possiede alcuni terreni coltivabili, fonti di sostegno per la sua famiglia e per tutti i suoi discepoli. Le famiglie degli allievi contribuiscono raramente e in minima parte al mantenimento dei bambini, che spetta invece al maestro stesso. Per definizione, infatti, il marabout beneficia del sostegno divino per adempiere alla sua missione e ciò rappresenta per le famiglie la garanzia più importante della buona sorte dei propri figli.
Oltre a partecipare ai lavori agricoli, i bambini lasciano la daara negli orari dei pasti per percorrere il villaggio più vicino e chiedere del cibo di casa in casa, per necessità materiale, ma al tempo stesso affinché imparino il valore dell’umiltà. L’elemosina concessa ai piccoli costituisce una partecipazione reale della comunità alla formazione religiosa dei suoi giovani membri.

Pareri a confronto

Il modello della daara tradizionale presenta elementi di forza e di debolezza. Da un punto di vista pedagogico è riconosciuta l’efficacia della metodologia adottata riguardo allo sviluppo della memoria. Infatti, gli esercizi di memorizzazione ripetuti per diversi anni sembrano avere effetti prodigiosi sulla capacità di immagazzinare informazioni. È frequente incontrare allievi delle scuole coraniche che, avendo proseguito lo studio delle scienze islamiche, riescono a ricordare migliaia di versetti in lingua araba tra quelli che compongono le opere di teologia, di diritto e di grammatica.
Tuttavia, diversi studiosi avanzano molti dubbi rispetto all’efficacia di questa metodologia educativa, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della capacità di rielaborazione dei concetti, inibita dalla predominanza della facoltà mnemonica su quella analitica.
Va evidenziato che molti insegnanti della scuola pubblica elementare non sono dello stesso avviso, poiché la loro esperienza dimostra che, se l’allievo ha frequentato una daara per alcuni anni prima di essere introdotto nell’insegnamento laico, ha più facilità nell’apprendimento e recupera il ritardo sul programma in tempi relativamente brevi.
Nella stessa prospettiva, molti quadri senegalesi, sia del settore pubblico che privato, riconoscono negli anni trascorsi presso il loro maestro la chiave del loro successo sociale ed economico.
Tra gli elementi di forza del sistema va segnalato, infatti, che la scelta della daara da parte delle famiglie è giustificata non solo dal desiderio di rispettare le indicazioni coraniche riguardo all’educazione dei giovani musulmani, ma anche dalla promozione sociale che questi studi assicurano. L’hafitz (colui che ha completato lo studio del Corano), nel sistema tradizionale, gode infatti di un grande prestigio sociale.
Dal punto di vista dell’educazione morale, la permanenza prolungata presso la daara (per diversi anni) vuole creare le naturali condizioni per l’assimilazione dei principi morali e delle norme sociali che il maestro e la realtà comunitaria trasmettono.

Formazione integrale

Contemporaneamente all’istruzione, il sistema educativo coranico si propone di sviluppare la personalità del bambino, stimolando lo spirito comunitario tra i taalibe della stessa daara che per anni condividono momenti di studio, di lavoro e di quotidianità. La solidarietà fra i bambini è una conseguenza naturale della convivenza prolungata in condizioni difficili, che stimolano l’unione, al fine di superare le avversità di tutti i giorni.
A questo riguardo, tuttavia, sono pertinenti le considerazioni di P. Marty sull’autonomia pedagogica del maestro coranico, dalle cui qualità personali dipende interamente l’insegnamento dei principi morali, poiché non sottomesso a controlli estei di strutture superiori.
La lontananza fra bambini e genitori, che si protrae per anni, è in parte voluta dal sistema educativo della daara, che vede in questa separazione un fattore essenziale per il processo di crescita del giovane taalibe. Allo stesso tempo, i genitori si sentono autorizzati in molti casi ad abbandonare i bambini nelle mani del marabout, non facendogli visita per tutta la durata del soggiorno nella scuola e non informandosi del suo stato di salute.
Questo fenomeno può essere in parte giustificato sulla base delle difficoltà economiche, che impediscono alla famiglia di affrontare il viaggio per raggiungere la zona in cui si trova la daara, e della tradizione che prevede l’affidamento totale del bambino a un parente per consolidare i legami tra i membri della famiglia, fenomeno valido a maggior ragione se il congiunto in questione è un maestro spirituale.
Tuttavia, questi elementi di riflessione sulle cause del disimpegno genitoriale non trovano giustificazione nei testi sacri, poiché sia il Corano che la tradizione profetica insistono sulla responsabilità della famiglia, in primo luogo, rispetto all’educazione del bambino. Inoltre, non alleviano il dramma del sentimento di estraneità che si crea fra il bambino, allontanato troppo presto dal nucleo famigliare, e i genitori, che può essere accompagnato da frustrazione e senso di abbandono. Il rapporto affettivo con il maestro coranico può compensare solo in parte il vuoto lasciato dai genitori, poiché questi è responsabile di diverse decine di bambini tra i quali deve dividere le proprie attenzioni.

Studio e lavoro

Riguardo alle prove che il bambino deve superare nel suo percorso di formazione in seno alla daara tradizionale, è fondato il dubbio che possano essere eccessive per la giovane età dell’allievo, poiché il taalibe può raggiungere livelli di sofferenza che rischiano di inibie lo sviluppofisico e intellettuale.
La carenza di riposo, date le poche ore di sonno concesse fra la sessione serale di studio e la sveglia mattutina per pregare (si tratta solitamente di un tempo inferiore alle sei ore), e le rare occasioni di vacanza, possono sul lungo periodo indebolire il fisico del bambino.
Solo una minoranza dei maestri è favorevole all’interruzione delle lezioni e al ritorno presso la famiglia, in occasione delle feste religiose della Korité, la festa della rottura del digiuno del mese di Ramadan (il nono mese dell’anno lunare) e della Tabaski, la festa del sacrificio (celebrata nel dodicesimo mese dell’anno lunare, in ricordo della fede di Abramo, pronto a sacrificare il suo stesso figlio per obbedire a Dio).
Molto più comune è l’usanza di consacrare il riposo settimanale, dal mercoledì pomeriggio al venerdì pomeriggio, e le ricorrenze religiose ai lavori domestici o al ripasso delle lezioni apprese. I maestri coranici ritengono in genere che una pausa possa interferire negativamente sulla concentrazione dei taalibe, che una volta rientrati alla daara dovranno spendere più energie per riprendere il ritmo di studio abituale. Per questa ragione molti allievi non rientrano presso la casa patea, che una volta completato lo studio integrale del Corano.
Riguardo ai metodi correttivi adottati, va rilevato che in alcuni casi è stata constatata una dismisura nel ricorso alle punizioni corporali. Poiché oltre al maestro, anche i taalibe più grandi sono autorizzati a punire il discepolo, gli atti di questi ultimi, a causa dell’immaturità, possono degenerare in gravi incidenti.

Le scuole migranti
 
Le considerazioni fatte riguardano il sistema della daara tradizionale, che, per quanto austero, garantisce le condizioni essenziali di sicurezza e di crescita del bambino. Esse assumono, invece, una connotazione grave se analizzate alla luce dell’evoluzione che ha caratterizzato il sistema delle scuole coraniche nella seconda metà del XX secolo.
Come abbiamo detto, l’insegnamento coranico tradizionale si sviluppa originariamente in ambito rurale, in una dimensione comunitaria di villaggio, dove i piccoli taalibe, anche al di fuori della daara, beneficiano del controllo e della protezione sociale, su cui si basano i rapporti fra le famiglie che abitano lo stesso territorio.
Tuttavia, dopo l’indipendenza, esso non rimane indenne al fenomeno migratorio verso i centri urbani, che colpisce tutta la società senegalese.
Alla fine degli anni ’70, infatti, la situazione economica nazionale si trasforma rapidamente, a causa di lunghi periodi di siccità che colpiscono il paese, obbligando i contadini ad abbandonare i loro villaggi e a spingersi verso i poli economici in cui dominano settori diversi da quello agricolo.
L’esodo rurale, che spinge migliaia di persone verso le città, fa sì che le infrastrutture cittadine, ancora deboli, non riescano a contenere la pressione demografica, con un riversamento in direzione delle periferie dove si sviluppano distese di case abusive, le cosiddette fakk-dekk, costruite con materiali di recupero, sprovviste di tutti i servizi e in cui la gente vive in condizioni igieniche e sanitarie precarie.
In queste circostanze si sviluppa il fenomeno delle scuole coraniche migranti, le noorane kat. Poiché, come tutti gli altri contadini, i marabutti installati nelle campagne hanno grandi difficoltà ad assicurare l’alimentazione delle decine di bambini che hanno in affidamento, sono costretti a trasferirsi verso le zone urbane.
Le scuole coraniche migranti si distinguono in due categorie: le scuole stagionali e quelle stanziali. Le prime si installano nelle periferie delle città solo durante i mesi della stagione secca, per cercare nei centri urbani i mezzi di sostentamento, poiché i terreni aridi non garantiscono più un raccolto sufficiente a coprire i bisogni di tutto l’anno.
Durante la stagione delle piogge, nel periodo che va da giugno a settembre, il marabout e i suoi discepoli tornano nel villaggio originario per praticare l’agricoltura.
Le scuole stanziali, invece, sono quelle in cui il maestro, proveniente da un’altra regione o dalle campagne, si trasferisce definitivamente con i suoi taalibe ai margini della città. Naturalmente il fenomeno migratorio non riguarda solo il nucleo famigliare del maestro, ma anche tutti i suoi discepoli, che egli porta con sé. Le famiglie stesse dei taalibe incitano il marabutto a trasferirsi, identificando nella migrazione l’unica soluzione di sopravvivenza per i loro figli ed, eventualmente, un’occasione di inserimento nel mercato del lavoro, che il villaggio non offre e che potrebbe portare beneficio a tutta la famiglia.

Sfruttamento e mendicità

Le conseguenze della migrazione verso i centri urbani sulle condizioni di vita dei taalibe sono spesso drammatiche, poiché la principale fonte di reddito del marabutto diventa la mendicità degli allievi, che ogni giorno, oltre a occuparsi del proprio nutrimento, devono assicurare una certa cifra che permetta al maestro e alla sua famiglia di sopravvivere.
È evidente che in questo contesto il rischio di sfruttamento del bambino è elevato. Egli si trova in un contesto estraneo, meno protetto rispetto alla realtà comunitaria di villaggio, esposto a nuovi pericoli, legati al traffico automobilistico, al rischio di abuso, alle condizioni igieniche e alimentari penose.
Le violenze subite dei taalibe che praticano la mendicità attirano sempre di più l’attenzione dell’opinione pubblica, che chiede allo stato e agli organismi inteazionali di intervenire per tutelare la salute fisica e mentale del bambino, pur conservando la tradizionale trasmissione del sapere religioso attraverso le scuole coraniche.
Il contesto urbano è inoltre più soggetto al fenomeno di installazione di scuole coraniche create da falsi maestri, che vedono nell’insegnamento una possibile fonte di reddito. In questi casi il bambino trascorre tutta la giornata per strada a raccogliere l’elemosina e, se interrogato sul verso coranico che sta imparando, risponde a stento e con una pronuncia scorretta i primi versi della fâtiha, la prima sura insegnata nelle scuole coraniche. In generale, il traguardo della memorizzazione del libro in questi casi non viene mai raggiunto.
In questi casi estremi, che non devono essere generalizzati a tutto il sistema delle scuole coraniche, il taalibe non beneficia né di un’istruzione in materia religiosa né di un accompagnamento nel suo processo di crescita e di formazione ai valori morali e sociali. Al contrario, le situazioni che vive quotidianamente possono compromettere profondamente il suo sviluppo, creargli traumi fisici e psicologici che lo accompagneranno per tutta la vita. 

Di Giulia Lanzarini


Giulia Lanzarini

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