Il rispetto della vita universale presuppone una profonda coscienza etica
Da Cartesio a Kant, da Schweitzer a Gandhi è sempre più attuale l’esigenza del rispetto per la vita umana e della pace nel mondo. È però indispensabile una concezione etica che induca ad una maggiore responsabilità nei rapporti interpersonali e della collettività.
Oggi più che mai il problema dei diritti umani acquista sempre più valore e considerazione, tanto da rievocare, ad esempio, gli scritti di Immanuel Kant (1724-1804), in uno dei quali egli si pose la domanda «se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio». Un interrogativo che potrebbe auspicare una risposta ottimistica, se non fosse per la continuità degli eventi che ormai quotidianamente turbano la serenità di tutti noi.
Ma io credo che l’argomento vada ulteriormente approfondito e più «attualizzato» ricordando il principio fondamentale del pensiero di Albert Schweitzer (1875-1965), ossia il «rispetto per la vita» applicato a ogni settore dell’attività umana che entri in contatto con esseri viventi. «L’uomo – sosteneva il grand docteur alsaziano – ha la possibilità di agire in favore della vita o di recarle danno, nei rapporti con il prossimo e nel suo atteggiamento nei confronti della natura, fino a toccare i grandi problemi del nostro tempo: la pace, la crescita sociale, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecologia».
Nel corso della sua esistenza Schweitzer ha espresso questo principio applicandolo concretamente con il rispetto del diritto alla vita, la sua libertà e dignità, il suo sviluppo, il suo valore, intendendo per vita sia quella umana, sia quella della natura. Ha insegnato a mettere in pratica la propria idea di fondo: con l’impegno della propria vita di teologo, filosofo e medico ha impresso al proprio pensiero la rara forza del testimone, ponendo in primo piano e vivendo in prima persona la solidarietà con ogni forma di vita.
Considerazioni, suggerimenti e moniti a riguardo sono riportati nella pubblicazione del 1923 Cultura ed etica; ma soprattutto il suo contributo proviene dai testi relativi al discorso che fece in occasione del conferimento del premio Nobel per la Pace, a Oslo nel 1953, e in occasione del discorso «Appello all’umanità», trasmesso nel 1957 da Oslo attraverso diverse fonti radiofoniche. Ma anche dalla sua dissertazione sulla pace fatta nel 1963, toccando i grandi problemi fondamentali della salvaguardia della vita nella situazione attuale (relativa alla sua epoca, n.d.r.) del mondo.
Nei primi anni del secolo scorso, e anche in seguito, si dedicò a una lunga ricerca: voleva conoscere la posizione dei filosofi degli ultimi decenni nel campo dell’etica, per rilevare il nostro pensiero riguardo al comportamento nei confronti del creato.
Un giorno del 1915, mentre navigava sulle acque del fiume Ogoouè per recarsi al capezzale di un ammalato, doveva costeggiare un isolotto in quel tratto di fiume. Sopra un banco di sabbia quattro ippopotami si muovevano nella sua direzione. In quel momento gli venne in mente l’espressione «rispetto per la vita». Si rese conto che tale espressione aveva in sé la soluzione del problema che lo stava assillando. Gli venne in mente un’etica incompiuta e parziale che, per quanto lui sapesse, non aveva mai sentito né letto; ossia un’etica che prenda in considerazione soltanto il nostro rapporto con altri esseri umani è un’etica incompiuta e parziale, e perciò non può possedere una piena energia.
Ma cos’è il rispetto per la vita, e come nasce in noi? «Se l’uomo vuol far luce su sé stesso e sul suo rapporto con il mondo – sosteneva Schweitzer -, deve prescindere dalla congerie di elementi che costituiscono il suo pensiero e la sua cultura e rifarsi al primo fatto della sua coscienza, il più immediato, quello che è perennemente presente. Solo di qui può giungere a una visione ragionata del mondo… L’affermazione della vita è l’atto spirituale con cui egli cessa di lasciarsi vivere e comincia a dedicarsi alla sua vita con rispetto per elevarla al suo vero valore. Affermare la vita è approfondire, interiorizzare ed esaltare la volontà di vivere… Il rispetto per la vita, nato dalla volontà di vivere divenuta consapevole, contiene strettamente congiunte l’affermazione del mondo e l’esigenza morale. Essa cerca di creare valori e realizzare progressi che giovino all’ascesa materiale, spirituale ed etica dell’uomo e dell’umanità».
Tutta l’etica di Schweitzer deriva dal semplice e profondo pensiero che il «rispetto per la vita», di cui ci indica le possibili applicazioni: l’etica, a suo avviso, non ha nulla a che vedere con un’interpretazione del mondo; essa deve essere cosmica e mistica senza cadere nell’astratto… Egli fonda razionalmente il rispetto per la vita, come René Descartes (Cartesio 1596-1650) fondava razionalmente la certezza della propria esistenza. Mentre Descartes dice: «Penso, dunque esisto», e poi si perde nell’astratto, Schweitzer rimane sul concreto e afferma: «Io sono la vita che vuole vivere in mezzo a vita che vuole vivere. Bisogna dunque rispettare la vita. L’uomo morale possiede il coraggio di lasciarsi tacciare di sentimentalismo, ma rispetterà la vita universalmente. Ossia l’essere umano può chiamarsi essere etico soltanto se considera sacra la vita in se stessa, sia la vita umana sia quella di ogni altra creatura».
Ma con il passare degli anni, con gli avvenimenti bellici e altri eventi, constatò che la mancanza di umanità era aumentata rispetto alle generazioni precedenti. Da un’analisi dei due conflitti mondiali e delle relative conseguenze, Schweitzer si domandava come si potesse presentare a tutti il problema della pace; in modo del tutto particolare dato che la guerra di epoche precedenti, rispetto a quella attuale, ha a disposizione mezzi di distruzione e di morte enormemente più sofisticati di quelli del passato.
Un tempo si poteva considerare la guerra un male accettabile come utile, in qualche modo, se non addirittura necessario. Era diffusa l’opinione che mediante la guerra i popoli più forti si imponessero su quelli più deboli, determinando il corso della storia. E dai molti esempi che si potrebbero citare è possibile dedurre che una guerra favorisca il progresso, ma è anche possibile che conduca a un regresso.
Se già ai tempi di Schweitzer si potevano avere meno speranze che la guerra modea procurasse un progresso, oggi, tali speranze sono ancora più lontane, in quanto la modeità e le tecnologie più avanzate sono causa di una ben più ampia distruzione, e quindi di un immane regresso.
«È evidente – ammoniva il grande filosofo – che una guerra rappresenta una orribile calamità, e non bisogna lasciar nulla di intentato pur di evitarla; e ciò, soprattutto per una ragione etica. Nei due ultimi conflitti ci siamo macchiati delle colpe di un’orribile disumanità, e sarebbe ancora peggio in una guerra futura».
Se nelle diverse manifestazioni la pace, che ben comprende il rispetto per la vita, è più che altro un fatto o la conseguenza di un conflitto, considerazioni diverse vanno fatte in riferimento all’ipotesi che essa sia considerata come un bene, e quindi come un valore da perseguire e, da questo punto di vista, diverse sono le inteazionalità e intensità. Ma ciò che è importante è l’individuazione di strade razionali e fattibili che portino alla pace: privando, in via minimale, gli eventuali contendenti dei loro strumenti di guerra (disarmo); intendere la pace come prodotto di intese politiche (più o meno libere), che si traducono quindi in accordi fondati sulla potenza, ritenere che la pace discenda da una scelta matura e consapevole (pacifismo), la cui forma più intensa è la non violenza (l’antesignano della quale fu Indira Gandhi, 1917-1984).
In decenni caratterizzati dalla grande incidenza del dibattito sui problemi della vita e sul rispetto della stessa, con il contributo di Schweitzer si è venuta a formare una concezione etica che richiama la nostra responsabilità per la vita dai rapporti interpersonali all’atteggiamento nei confronti del mondo e della natura.
Eesto Bodini