Introduzione
L’uomo si era appena congedato da suo figlio che stava ora attraversando la strada alle sue spalle. Di colpo venne distratto dallo stridere tipico di una frenata e guardò istintivamente cosa stava succedendo: una macchina stava per investire il ragazzo dopo che questi, sbadatamente, aveva iniziato ad attraversare. Un istante dopo, l’apprensione patea aveva già lasciato il posto a un sospiro di sollievo: non era successo nulla, neppure un finestrino abbassato per gridare di fare attenzione, il tutto condito, magari, da qualche insulto tipico della turbolenta relazione fra automobilisti e pedoni. Anzi, gli sembrò persino che il conducente con la mano aveva fatto segno a suo figlio di attraversare… Nulla, meno male: «C’è ancora gente che fa attenzione quando guida» pensò a voce alta, iniziando ad allontanarsi.
Anche il ragazzo realizzò che, grazie a Dio, tutto era andato nel migliore dei modi. Lo spavento per la vista dell’auto lanciata e per la brusca frenata era stato addolcito dall’attitudine del conducente: non disse nulla, lo guardò bonariamente e con la mano, invece di mandarlo a quel paese, gli fece cenno di passare. E lui riprese ad attraversare.
Fu un attimo. L’uomo non si spiegò subito il perché di quella seconda sgommata e di quell’auto che correva come se l’avesse inseguita il demonio. Non se lo spiegò neppure in seguito… continua a non spiegarselo ora.
Bogotá: uno dei tanti incidenti stradali, di quelli che fanno statistica o riempiono la cronaca cittadina. Il ragazzo, comunque, non riuscì neppure a pensare che avrebbe potuto finire sui giornali o sul verbale di qualche poliziotto. Aveva iniziato ad attraversare soltanto perché l’altro gli aveva fatto segno di passare. Perché poi aveva ingranato la prima e premuto violentemente sull’accelleratore… perché questa storia di ordinaria follia?
Purtroppo è una storia vera. L’episodio del padre che vede il figlio a terra, con il corpo straziato dalle ruote di un’auto che fugge dopo averlo investito, volontariamente e malignamente per punirlo dell’affronto di non aver rispettato una precedenza, è paradigmatico delle «situazioni limite» di cui ci parla Gianfranco Testa nel primo articolo che compone questo dossier. Ricordo che quando lui stesso mi raccontò questa storia anni addietro, rimasi come impietrito di fronte alla estrema banalità, e nel medesimo tempo profondità, del male. Come accettare un episodio del genere? Come fare a non convivee costantemente con il ricordo? Come riuscire a costruirsi una vita che non sia condizionata perennemente dal rumore di una sgommata, dalla vista del sangue, da tutto il corollario di avvenimenti, volti, riti che segue la morte? Le stesse domande che si fece il padre del ragazzo frequentando una delle Scuole di Perdono e Riconciliazione (ESPERE), fondate da un missionario della Consolata colombiano, il padre Leonel Narvaez. Nate in Colombia come risposta di pace a un contesto ormai radicato di guerra, violenza e odio, queste scuole si sono diffuse in molti altri paesi per portare la speranza del perdono e la possibilità della riconciliazione. Questo indipendentemente dal credo religioso della persona che vi attende.
Perdono e riconciliazione sono due stadi del medesimo processo. Il primo, per il fatto di essere personale e avere un carattere terapeutico, precede e rende possibile il secondo, che ha invece una dimensione sociale. La riconciliazione, infatti, è il cammino intrapreso da vittima e offensore verso un reciproco incontro; un incontro a volte possibile, altre volte impedito o addirittura sconsigliato dalle circostanze. Il perdono assume allora un ruolo centrale nella gestione dei conflitti. Aiuta la persona a costruire in se stessa un universo di senso, a riacquistare un equilibrio armonico, a lasciar scorrere quelle tensioni che non ci rendono liberi, a rappacificarsi con il proprio passato per essere nuovamente liberi di vivere in pienezza l’esperienza presente. Quella libertà che il padre del ragazzo ucciso su una strada colombiana, vittima di un assassinio a quattro ruote, cercava con speranza, per non essere ferito due volte dalla stessa violenza e ristabilire così la fiducia nella vita.
Ugo Pozzoli