Nella prigione del dollaro

El Salvador

Nei paesi in via di sviluppo, dollaro è quasi sempre sinonimo di ricchezza. Ma ci sono situazioni in cui la realtà è opposta, come nel caso della cosiddetta «dollarizzazione»…

A San Salvador, capitale del paese centroamericano,   tutte le mattine il centrocittà viene invaso da una marea di ambulanti, che occupano le strade tra povertà, cantilene e commerci, più o meno legali. Mentre il macellaio squarta la carne ai piedi della chiesa in stile coloniale, nella strada di fronte, accanto alla succursale della banca nazionale, s’improvvisa un ristorante all’aperto di piatti tipici, largo quanto il marciapiede. Il centro storico e questo mercato improvvisato sono diventati un tutt’uno, immersi in una moltitudine ondeggiante, che si muove come al ritmo d’un vecchio bolero popolare salvadoregno.
In Salvador, la dollarizzazione dell’economia è arrivata il 1o gennaio 2001, accompagnata da varie promesse, come l’aumento degli investimenti stranieri e delle esportazioni di prodotti nazionali. Da allora invece sono aumentati soltanto il costo della vita e la disoccupazione, con sullo sfondo un paesaggio sociale che si deteriora giorno dopo giorno. La mancanza di lavoro si è tradotta in un aumento del settore informale, che evidenzia la incongruenza tra la dollarizzazione e il Dna di un paese povero come El Salvador. Come risposta ai problemi economici, il governo di Elías Antonio Saca ha approvato il tanto discusso «articolo 15» che penalizza la vendita informale. A metà maggio, i 17.000 ambulanti della capitale hanno realizzato manifestazioni di protesta, chiedendo l’abrogazione della legge e la liberazione di Vicente Ramirez (dirigente dell’«Associazione dei lavoratori, venditori e piccoli commercianti salvadoregni», accusato di atti terroristici) sotto lo slogan «Siamo venditori, non terroristi».
In un paese come questo, la dollarizzazione ha significato non soltanto la moltiplicazione della povertà, ma anche l’impossibilità di svalutare la valuta nazionale. Pertanto, l’unico modo per accrescere la competitività del paese a livello internazionale (cioè per aumentare le esportazioni) è quello della «deflazione» (ridurre i prezzi delle merci). Per diminuire i prezzi delle merci occorre però precarizzare ancora di più le condizioni dei lavoratori, dando sempre più potere alle maquilas del settore tessile e alle multinazionali della frutta, che non pagano neppure il salario minimo. Nella situazione attuale, con le importazioni che superano le esportazioni, il mercato nazionale è letteralmente invaso da prodotti importati, specialmente nordamericani, dalle scarpe fino ai prodotti cerealicoli a basso prezzo (perché sovvenzionati) e geneticamente modificati. Questa invasione ha spazzato via l’autosufficienza alimentare: i contadini salvadoregni non producono più per il mercato interno, perché i cereali importati costano meno; questa situazione spinge i contadini ad abbandonare le campagne (dove ormai si concentra il 97% della povertà). D’altra parte, migliaia di artigiani e di piccoli produttori del settore calzaturiero sono rimasti disoccupati: le scarpe statunitensi costano meno, perché sono prodotte in quantitativi enormi e quasi sempre in Asia, dove i salari sono ancora più bassi che nel Salvador.

Sugli effetti quotidiani prodotti dalla dollarizzazione parliamo con la dottoressa Beatrice Alamanni de Carrillo, procuratore generale per i diritti umani della Repubblica del Salvador. «Come difensore dei diritti umani in Salvador – ci spiega – posso dirle che, per la gente, la dollarizzazione è stato un colpo terribile che si è ripercosso sulla vita quotidiana di ognuno. In pratica, si è passati all’equivalenza tra colon salvadoregno e dollaro Usa, una cosa insostenibile, perché le retribuzioni sono sempre calcolate in colones. Questo significa che i salari hanno perso 8 volte di valore, un fatto insostenibile per la gran maggioranza della popolazione. Con un salario minimo pari a 140 dollari è impossibile sopravvivere. Purtroppo, la tragedia della dollarizzazione pare un fatto irreversibile. Occorre affrontarla con interventi economici adeguati e con molta creatività».
La minoranza ricca del Salvador, assieme alla classe politica attualmente al potere, hanno voluto a tutti i costi la dollarizzazione dell’economia, per tutelarsi da un’eventuale salita al potere del Fmln («Farabundo Martì per la liberazione nazionale», la ex guerriglia ora diventata un partito politico di opposizione). Attraverso la dollarizzazione costoro possono controllare il paese anche dall’esterno, manovrando i flussi e deflussi di capitale. In sintesi, la dollarizzazione dell’economia non ha fatto che accrescere gli squilibri preesistenti, traducendosi a livello di macroeconomia in una camicia di forza, dato che l’economia salvadoregna ormai funziona come un «pilota automatico» alle dipendenze dei poteri economici statunitensi. 

Di Carlos Bonino

Carlos Bonino