SPIRITO… CERCASI

La chiesa dell’America Latina di fronte alla sua nuova missione

Inizia il 13 maggio, con la celebrazione eucaristica presieduta da papa Benedetto xvi, la quinta assemblea del CELAM, la Conferenza episcopale dell’America Latina e dei Caraibi. Luogo dell’evento è il santuario di Aparecida, in Brasile. Per la chiesa latinoamericana, 15 anni dopo Santo Domingo,  
è un nuovo momento di comunione e riflessione, alla ricerca delle linee direttive che guideranno la cattolicità del continente nei prossimi anni.
Il tema: discepolato e missione.

G razie ai suoi 7 milioni di pellegrini all’anno, il santuario di Aparecida è, dopo quello di Nostra Signora di Guadalupe in Messico, il secondo centro di devozione dell’America Latina in ordine di importanza e frequentazione. A 165 chilometri da San Paulo, il santuario è meta di innumerevoli pellegrinaggi da tutto il Brasile e buona parte del Sudamerica. Dal 1930, la Vergine «Aparecida» (Apparsa) è patrona del Brasile. L’imponente costruzione di mattoni forati domina, con il suo campanile alto 80 metri, la verde valle del fiume Paraiba e può ospitare fino a 45 mila fedeli.  Nessun dubbio: il 13 maggio prossimo farà ancora una volta il tutto esaurito. Ospite di riguardo sarà infatti niente meno che Benedetto xvi, in occasione del primo viaggio apostolico del suo pontificato fuori dai confini del continente europeo.
Il santo padre celebrerà, infatti, la messa inaugurale della «V Conferenza dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi» (CELAM), che si terrà nella località brasiliana dal 13 al 31 maggio di quest’anno. Un appuntamento importante a cui il papa non ha voluto mancare, rispettando in questo modo gli impegni precedentemente stabiliti dal suo predecessore, Giovanni Paolo ii.
Il «CELAM 5», infatti, era stato programmato per l’anno 2005, in occasione del cinquantesimo anniversario della prima Conferenza dei vescovi latinoamericani, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1955. Era stata la lunga e irreversibile malattia del papa, sfociata nella sua morte il 2 aprile di quell’anno, a consigliare prelati sudamericani e Vaticano di posticipare l’evento a miglior data: oggi, per l’appunto.

50 ANNI DI STORIA

Aparecida 2007 si colloca nella scia di altre importanti assemblee ecclesiali che hanno visto protagonista la chiesa del continente. Ripercorriamone brevemente la storia, cercando di rintracciare le radici su cui si fonda l’incontro di quest’anno, destinato a influenzare la riflessione dottrinale e le linee pastorali per il prossimo decennio.   
Partiamo dalla già nominata prima Conferenza di Rio de Janeiro. Convocata dall’allora pontefice Pio xii, la chiesa che si ritrovò nella metropoli brasiliana era segnata dalle contraddizioni e dalle tensioni dell’epoca precedente il Concilio Vaticano ii. I temi in agenda erano la penuria di vocazioni sacerdotali, l’importanza di rinnovare e riqualificare le attività di educazione e istruzione religiosa e la sperequazione economico-sociale, causa di divisione ed ingiustizie. Quest’ultimo punto, seppure trattato ancora larvatamente dalla conferenza, diede il via a una riflessione sull’inscindibilità di promozione umana, coscienza sociale e evangelizzazione destinata a diventare cruciale nelle assemblee seguenti. Non mancò neppure un piccolo accenno alla «questione india», che teneva in conto la presenza nel continente di quelle sacche di popolazione aborigene  emarginate e perseguitate.
Il punto centrale della Conferenza di Rio fu, però, la nascita stessa del CELAM, un consiglio episcopale permanente delle chiese latinoamericane, con la funzione di studiare gli argomenti di maggior interesse per la chiesa in America Latina, promuovere opere ed attività di promozione umana, nonché impostare la riflessione sul futuro della cattolicità nel continente organizzando i futuri incontri assembleari.
Tredici lunghi anni dovettero trascorrere prima che il CELAM promuovesse una nuova Conferenza generale, convocata da papa Paolo vi e svoltasi a Medellín (Colombia) dal 26 agosto al 6 settembre 1968. In questa occasione il CELAM preparò anche l’Instrumentum Laboris dell’assemblea, che venne poi corretto e ampliato dalle Conferenze episcopali e dalla Santa Sede. Il documento aveva come linee fondamentali: la realtà congiunturale, la riflessione teologica e le applicazioni concrete di tale riflessione. Ispirata dal documento conciliare sulla chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et Spes» e dall’enciclica «Populorum Progressio», pubblicata l’anno precedente, Medellín pose l’accento sulle profonde relazioni che legano fra loro fede e giustizia. Entrarono prepotentemente nel dibattito temi cari alla teologia della liberazione quali il tema del peccato strutturale, la liberazione dei poveri e la trasformazione del mondo come espressione della costruzione terrena del Regno di Dio.
Il tema della liberazione dei poveri divenne centrale nella terza conferenza del CELAM, tenutasi a Puebla (Messico) dal 28 gennaio al 15 febbraio del 1979. Questa conferenza rappresentò anche la presa di contatto diretta con la realtà ecclesiale latinoamericana, in qualità di papa, di Giovanni Paolo ii, eletto soltanto pochi mesi prima al soglio pontificio. Quattro anni dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» la chiesa latinoamericana venne convocata a riflettere su un proprio stile di evangelizzazione che partisse dal contesto storico e sociale del continente. La linea guida di Puebla risiedeva nella certezza che la chiesa potrà diventare soggetto di evangelizzazione, nella misura in cui saprà presentarsi come luogo di comunione e partecipazione. La liberazione dei poveri e degli oppressi, desiderosi di trovare nella chiesa un «popolo in cammino» in grado di condividere con loro le ansie, i drammi, le paure e le violenze della vita quotidiana divenne lo sfondo della riflessione assembleare. Grande enfasi venne posta sul lavoro delle Comunità ecclesiali di base (Ceb) che si erano venute diffondendo proprio per dare una risposta a quest’ansia di incarnazione del messaggio evangelico nel tessuto più capillare della società.
Il tema della «Nuova evangelizzazione» fu alla base della iv Conferenza di Santo Domingo, inaugurata da Giovanni Paolo ii il 12 ottobre 1992, in occasione del cinquecentenario dell’evangelizzazione del continente americano. L’accento venne posto sull’annuncio kerygmatico, sul suo contenuto e sulle sue modalità. Un annuncio che doveva prendere spunto e forza dalla professione di fede e dall’illuminazione teologica, capaci di guidare le linee di azione pastorale delle chiese latinoamericane nel nuovo millennio.
Dopo Medellín e Puebla venne dunque abbandonata la prassi teologica «dal basso», propria della teologia della liberazione, del «vedere – giudicare – agire»; la cosa non mancò di scatenare proteste di cui rimangono vestigia nel dibattito che ha portato alla preparazione della Conferenza di Aparecida. Il periodo intercorso tra Puebla e Santo Domingo aveva infatti visto crescere il sospetto delle autorità vaticane nei confronti della teologia della liberazione, atteggiamento concretizzatosi in modo particolare nella pubblicazione di due documenti – Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986) – della Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall’allora cardinal Ratzinger, oggi papa Benedetto xvi.
Non poche furono le accuse levate ai lavori di Santo Domingo, tra le quali quella di un’eccessiva «interferenza» vaticana, di tradimento alla tradizione di Medellín e Puebla, di svalutazione del lavoro delle Ceb e quella di aver celebrato i 500 anni di evangelizzazione banalizzando la contemporanea catastrofe umana rappresentata dall’esperienza coloniale. Anche a causa di queste critiche, Santo Domingo rimase un momento controverso nella storia della chiesa del continente. I suoi meriti furono: il riconoscimento delle diverse culture indigene, afroamericane e meticce che formano il variegato panorama etnico latinoamericano e la necessità di inculturare il messaggio del vangelo nel loro tessuto, la proposta di un annuncio di «seconda evangelizzazione» per tutti quei battezzati solo «formalmente cristiani», il cui numero stava nettamente aumentando; infine, quello di suggerire la necessità urgente di una lettura teologico-pastorale del crescente fenomeno dell’urbanizzazione selvaggia, in atto in tutti i paesi latinoamericani.
Alle quattro conferenze del CELAM andrebbe aggiunto anche il «Sinodo speciale sulla chiesa in America», tenutosi a cavallo fra novembre e dicembre del 1997 e che ha visto, per la prima volta, la partecipazione congiunta dei vescovi di entrambi i continenti americani.

UNA NUOVA MISSIONE

Queste radici hanno dato vita all’albero su cui è chiamata a innestarsi oggi l’assemblea di Aparecida. Speranze, dubbi e anche qualche polemica rendono il prossimo incontro carico di aspettative. L’ultima controversia è stata quella scatenata dall’ufficializzazione del richiamo, impartito dalla «Congregazione per la dottrina della fede», del teologo gesuita Jon Sobrino, uno dei più importanti esponenti della teologia della liberazione.
È comunque molto difficile parlare di risultati sperati o previsti. Sarebbe chiedere troppo a un momento di condivisione ecclesiale come questo. Le analisi e le proposte che emergeranno, dovranno essere passate al vaglio delle varie commissioni e necessiteranno tempo per poter essere metabolizzate a dovere dalle varie chiese. Avranno soprattutto bisogno di essere «forgiate» al fuoco dell’esperienza, in un continente che mai come in questi anni ha presentato processi di trasformazione così radicali e veloci. È la società latinoamericana stessa, i suoi costumi, il suo modo di raccontarsi, il suo far emergere nuovi e importanti interlocutori in campo economico, politico e sociale a chiedere alla chiesa di proporre una missione rinnovata e rinnovatrice.
Il tema di Aparecida, come appare nel «Documento di partecipazione» (lineamenta ) ed inviato a tutte le diocesi per stimolare la produzione di contributi da presentare all’assemblea, è proprio la missione. «Discepoli e missionari di Gesù Cristo. Affinché i nostri popoli abbiano la vita in Lui.  “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 5)» è il lungo titolo, scelto dal CELAM (e «ritoccato» dal  papa, che ha voluto aggiungere la citazione giovannea), per richiamare la chiesa latinoamericana alla doppia irrinunciabile funzione del discepolo di Cristo: chiamato a «stare» con il Maestro per poter essere da lui «inviato». Ma chi è oggi, in America Latina,  il discepolo di Cristo? Come si forma a questo discepolato? Quali sono il terreno e gli utenti della sua missione?
Il documento prodotto dal comitato del CELAM non vuole dare risposte, ma piuttosto offrire degli stimoli per la riflessione e il confronto delle esperienze. La metodologia seguita nel preparare il documento si lascia alle spalle il metodo classico del «vedere-giudicare-agire». Parte invece da una riflessione antropologica sulla felicità anelata dall’uomo, alla cui incompiutezza viene in soccorso la rivelazione di Dio che ha il suo culmine nella venuta di Cristo. Prosegue con un racconto storico del processo di evangelizzazione in America Latina, per poi imbastire una riflessione teologica sul discepolato, punto di partenza e postulato di ogni successiva tensione pastorale e missionaria. Solo in seguito il testo affronta la realtà del continente, con le sue sfide più urgenti.
A questo riguardo, è interessante notare come la sintesi dei contributi della chiesa brasiliana, preparata da una commissione appositamente incaricata dalla Conferenza episcopale del Brasile, ha raccolto i numerosissimi apporti provenienti dalle singole diocesi secondo il trinomio «vedere-giudicare-agire». Fatto proprio dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes (GS, 4) e tanto caro alla teologia della liberazione, questo approccio sembra garantire «una diagnosi più obiettiva della realtà, una riflessione attuale sulla stessa e un impegno pastorale come risposta a domande concrete» (Cf. Il Regno – Documenti, 1/2007, pag. 46).
La globalizzazione è la prima sfida con la quale l’assemblea dovrà confrontarsi. Agli indubbi vantaggi provocati da questo fenomeno, soprattutto nei campi del sapere e della comunicazione, fa riscontro una cresciuta insicurezza delle persone che si manifesta in un vero e proprio sradicamento, tanto  familiare come politico, sociale e religioso. Su quest’ultimo punto si nota un radicale e repentino cambiamento di tendenza. La chiesa latinoamericana, da sempre viva, fecondata dalla grazia di Dio e dal sangue dei martiri, vive un momento di involuzione che il documento stesso riconosce nel capitolo dedicato alle sfide che la realtà oggi propone all’evangelizzazione: una mentalità che ormai tende a prescindere da Dio, un laicismo militante che incontra sempre maggior visibilità anche nei mezzi di comunicazione e che si ribella, talvolta aggressivamente, contro la chiesa, la sua gerarchia e le sue istituzioni. Si nota inoltre un significativo calo nel numero dei cattolici e nella prassi sacramentale degli stessi, nonché un esodo di molti verso le chiese evangeliche e pentecostali, che alimenta un vero e proprio «supermercato di alternative religiose». Crescono anche teologie che si rifanno  a precise realtà etniche, come la «teologia india» e la «teologia afroamericana», impegnate in alcuni casi a coniugare la fede cristiana con le tradizioni religiose proprie o, in alcune correnti più radicali, a escludere il cristianesimo dalla loro agenda.

QUALE CHIESA?

È una chiesa, quella del «dopo Aparecida», che sarà chiamata a confrontarsi sui temi di giustizia, pace e integrità del creato, dando risposta ai milioni di persone che vivono in stato di miseria, lasciate perennemente ai margini di una società che insegue modelli di benessere escludenti. Sarà chiamata a farlo in un inedito panorama socio-politico, in alcuni casi controverso e per nulla incline a lasciare alla chiesa l’esclusiva della leadership morale finora spesso e volentieri goduta.
È soprattutto una chiesa che dovrà dire in modo netto e trasparente se l’opzione preferenziale per i poveri, eredità delle precedenti assemblee di Medellín e Puebla, è ancora valida. Se la missione, oggi in America Latina, si identifica ancora con questa scelta radicale per gli ultimi, i piccoli, per quelli che sempre camminano al traino della società finché ne hanno la forza, pronti per essere scaricati alla minima accelerazione. Dai «lineamenta» ciò non appare chiaramente e con forza; molto, si spera, potrà emergere dai contributi offerti dalle varie commissioni. Parecchi interventi a commento di questa fase preparatoria dell’assemblea del CELAM hanno auspicato un’assemblea illuminata e animata dallo Spirito, vero protagonista della missione e unico soggetto capace di dare una risposta a quell’anelo di felicità che l’uomo cerca disperatamente e che, in troppi casi, vede frustrato, calpestato o ucciso.
Lo spirito missionario esige una passione viscerale per Gesù Cristo e per il Regno. È lo stesso spirito che, nella sinagoga di Nazaret, ha identificato chiaramente l’ambito di detta missione: una missione scomoda, fatta di testimonianza verso gli ultimi e i poveri perché ad essi appartiene il Regno dei cieli, ad essi è principalmente diretta la «Buona notizia».   

Di Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli