Introduzione a «Radio di carta»
Dopo
l’articolo dello scorso settembre in cui si raccontava dell’esperienza
radiofonica di 4 giovani latinoamericani (Carlos, Maria Helena, Sania
ed Alvaro), abbiamo pensato di offrire loro una collaborazione con la
rivista. Da qui nasce Radio di carta, la nuova rubrica che ora avete
sotto agli occhi. In essa si affronteranno alcuni argomenti trattati
nel programma «Tropico Utopico», in onda ogni domenica sull’emittente
torinese Radio Flash (www.radioflash.to).
Le puntate di Radio di carta – a cadenza mensile o bimensile – saranno
firmate di volta in volta da uno o più conduttori della trasmissione.
CONTADINI ED INDIGENI
si ritrova diversa. Chi ha vinto? Chi ha perso? Cosa succederà ora?
Negli
ultimi decenni i fenomeni politici in America Latina si sono generati
per «ondate»: governi militari, violenza e guerriglie negli anni
Settanta e parte degli anni Ottanta, democratizzazione
socialdemocratica nel resto degli anni Ottanta, globalizzazioni e
modelli neoliberisti negli anni Novanta e attualmente il sorgere di
«un’ondata» di governi progressisti. Con la fine del 2006 si è chiuso
il ciclo elettorale che ebbe inizio nel 2005. Nell’ultimo anno si sono
svolte elezioni presidenziali nella maggioranza dei paesi dell’America
Latina, definendosi in questo modo il profilo politico del continente
per i prossimi cinque anni.
Alla
radice di questa corrente di rinnovamento – con un protagonismo mai
raggiunto prima – si trova il movimento indigeno e contadino, che
ha giocato un ruolo centrale «nell’incubazione» del cambiamento che
oggi sta tracciando un nuovo destino politico per il continente.
Tutto
ebbe inizio nel 1992, in coincidenza con la celebrazione del quinto
centenario di resistenza alla Conquista, in cui si organizzarono, per
la prima volta, adunate indigene a livello continentale. In queste
riunioni gli indigeni e i contadini si resero conto di essere vittime
dello stesso tipo di soprusi nei diversi paesi del continente americano
da cui provenivano: abbandono, esclusione, schiavitù (dalle piantagioni
di banane dell’America Centrale alle miniere della Bolivia e del Perù).
Pur davanti ad un mare di difficoltà, decisero tuttavia di rispondere,
costituendo diverse piattaforme d’informazione e di cornordinamento
continentale per globalizzare la resistenza e difendere i loro diritti
sotto una visione unitaria. In mezzo a questo processo s’inserisce
l’offensiva diplomatica nordamericana degli ultimi anni che – con
l’obiettivo di giungere all’approvazione dell’Alca (vedi Glossario) –
ha servito da «catalizzatore» nel sorgere di una sinistra
popolare (si potrebbe dire extra-parlamentare, cioè non rappresentata
nei parlamenti nazionali) organizzata.
I
movimenti indigeni e contadini latinoamericani «tra l’incudine della
globalizzazione e il martello dell’abbandono statale della campagna»,
hanno innalzato la bandiera della sovranità e dell’autosufficienza
alimentare, riconoscendosi nella difesa di una «utopia basilare», cioè
il diritto a non morire di fame.
Il
tipo di globalizzazione e il modello agricolo applicati in America
Latina (con pratiche obsolete basate su una visione meccanicista e
abiotica dell’agricoltura), hanno costretto le popolazioni rurali a
intraprendere un esodo di massa verso le città sognando di sfuggire
alla miseria. In questo modo è stato messo a rischio il fragile
sistema eco-compatibile, che reggeva la sicurezza alimentare delle
campagne e, al tempo stesso, contadini con esperienza generazionale si
sono convertiti in venditori ambulanti di città (figure irrilevanti per
l’economia nazionale) oppure hanno regalato alla delinquenza giovani
disoccupati disposti a tutto o ancora sono diventati schiavi nelle
maquilas. I contadini di queste migrazioni hanno ingrossato le
bidonvilles, che circondano le megalopoli centro e sudamericane e si
sono piano piano avvicinati alla resistenza popolare, che oggi lotta
contro l’estrema povertà, cresciuta esponenzialmente nell’ultimo
ventennio.
Movimenti
indigeni e contadini si sono incorporati via via nelle file della
resistenza popolare urbana e dell’azione sociale diretta e, in questo
modo, hanno «iniettato» nuova forza ai movimenti politici delle grandi
città e in particolare alla sinistra latinoamericana. È così che
recentemente candidati come Evo Morales in Bolivia, Michelle Bachelet
in Cile, Lula in Brasile, Daniel Ortega in Nicaragua, Rafael Correa in
Ecuador (inatteso vincitore nelle presidenziali del 26 novembre) e Hugo
Chávez in Venezuela (riconfermato presidente a furor di popolo lo
scorso 2 dicembre) hanno potuto arrivare o restare al potere ed
imprimere un cambiamento di rotta alle politiche economiche e sociali
dei loro paesi.
Gli
indigeni e contadini con la loro visione della dignità, vincolata alla
terra e all’economia collettiva, hanno insegnato e messo in pratica –
con nuovi valori – l’idea che «un altro mondo è possibile». Per questo
negli ultimi anni tali movimenti popolari hanno influenzato le
politiche nazionali, ponendo le basi per il cambiamento in America
Latina. •
IN ATTESA DELL’«ALBA»?
Nel Centro del continente soffiano altri venti. Anche l’America
Centrale e i Caraibi, infatti, si trovano in un ciclo elettorale, che è
iniziato con l’Honduras nel novembre del 2005, seguito da Costa Rica,
Haiti e Giamaica e che è finito con il ritorno dei sandinisti di Daniel
Ortega in Nicaragua (novembre 2006), il secondo paese più povero
dell’America Latina dopo Haiti. Dopo il fallimento nordamericano
dell’Alca – reso manifesto nel vertice di Mar del Plata, in Argentina
– la regione centroamericana si trova «sotto un fuoco
incrociato», da nord e da sud. Da nord si è mosso il governo
statunitense, che, promuovendo trattati commerciali bilaterali secondo
il classico schema «dividi e vincerai», ha costruito il consenso
necessario per giungere all’approvazione a livello regionale del
Dr-Cafta («Dominican Republic-Central American Free Trade Agreement»,
Accordo di libero commercio per l’America Centrale e la Repubblica
Dominicana).
Con una chiara intenzione egemonica, Washington ha azionato la sua
pesante macchina diplomatica per creare una grande struttura
commerciale come quella del Dr-Catfa, per paesi dai quali gli Usa
importano solo lo 0,97% delle sue importazioni globali e ai quali
destina l’1,2% delle sue esportazioni.
Da sud, invece, i governi progressisti del Sudamerica hanno aperto le
porte al Centroamerica e ai Caraibi offrendo alleanze dalla filosofia
opposta: potenziare un modello d’integrazione e sviluppo autoctono
costruito attorno all’Alba («Alteativa Bolivariana per le
Americhe»). L’Alba intende utilizzare i profitti derivanti
dall’impennata dei prezzi del greggio per promuovere la cooperazione
sud-sud e lo sviluppo endogeno. Questo significa privilegiare i
vantaggi cornoperativi, ovvero gli scambi inteazionali basati sulla
solidarietà tra i popoli, invece che sui vantaggi comparati costruiti
sull’opportunismo commerciale, che sta alla base della logica
neoliberista e del fondamentalismo economico.
Carlos Bonino