Genocidio strisciante

Dati e statistiche offrono un panorama devastante: l’espansione del virus Hiv costituisce una minaccia globale alla sopravvivenza di intere popolazioni e al loro sviluppo sociale, culturale ed economico. L’Africa subsahariana è sull’orlo del disastro, se i governi locali e organismi inteazionali non intervengono tempestivamente. Le Nazioni Unite lanciano inviti e iniziative per arginare l’epidemia, ma risposte e risultati sono deludenti: occorre l’impegno di tutti nel mantenere le promesse.

L’ epidemia causata dal virus dell’immunodeficienza umana (Hiv) e della conseguente sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids) continua a dilagare in tutto il mondo. Aumentano ogni anno le persone che vivono con l’Hiv e le morti causate dall’Aids. Le ultime statistiche pubblicate dal Programma congiunto delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids (Unaids in inglese; Onusida nelle lingue neolatine) lo confermano (vedi pagine precedenti).
La Dichiarazione della speciale sessione sull’Hiv/Aids dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 2001 (Ungass) ha stabilito una serie di mete che gli stati devono raggiungere e ha contribuito a notevoli miglioramenti nel campo dell’attenzione integrale; ma i livelli di copertura della prevenzione e del trattamento antiretrovirale rimangono molto al di sotto degli obiettivi stabiliti.
La diffusione del virus non è solo una questione di igiene pubblica, come nel caso di altre malattie infettive. La diffusione dipende anche da fattori di ordine sociale, economico e culturale che pertanto richiedono un approccio multisettoriale e interdisciplinare. Il solo conoscere e/o saper utilizzare i metodi di prevenzione o l’essere a conoscenza del rischio non garantiscono che le persone assumano un comportamento responsabile che impedisca la trasmissione del virus.
I fattori economici, sociali e culturali rappresentano le difficoltà più gravi nel disegnare strategie efficaci di prevenzione. Quasi ovunque l’individuo agisce in base a ciò che conosce ed elabora, all’intelligenza emotiva, alla percezione del rischio e alla vulnerabilità individuale, ma sempre condizionato dall’ambiente socio-economico e culturale. Per questo è necessario elaborare delle strategie di risposta complesse, che tengano conto delle distinte dimensioni della comunità e non tralascino nessuno dei fattori di rischio.

Minaccia globale allo sviluppo sostenibile

Nessun paese e nessun contesto sociale sono esenti dal soffrire il grave impatto dell’Hiv/Aids sulla vita quotidiana delle persone. In contesti di maggior vulnerabilità, come nei paesi in via di sviluppo, l’Hiv/Aids ha un peso enorme e insostenibile sulla popolazione, che non riusciva a soddisfare le sue necessità basiche nemmeno prima dell’epidemia. Secondo alcuni studiosi, il virus dell’Hiv può essere considerato come una causa delle nuove crisi di questo secolo, alle quali le nuove generazioni sono impreparate, perché la nuova minaccia non ricalca nessuna precedente esperienza storico-culturale.
Dal punto di vista macroeconomico, l’Hiv/Aids è considerato un vero flagello che riduce il tasso di crescita dell’economia a breve e a lungo termine e influisce pesantemente sul prodotto interno lordo, come dimostrato dall’esperienza del Botswana: con il suo 37%, ha un indice di prevalenza tra i più alti del continente.
In particolare si stima che il reddito delle famiglie appartenenti al gruppo sociale più povero scenderà di circa il 13% nei prossimi 10 anni e che, a causa del virus, con le stesse risorse ridotte, le famiglie dovranno mantenere più persone. L’epidemia porta con sé la perdita o il grande indebolimento della forza lavoro, che a sua volta genera l’aumento degli orfani, con gravi risvolti sociali.
In pratica, non pochi paesi come il Botswana, non solo hanno subito gravi danni di ordine economico e sociale, ma sono stati completamente sfigurati da questa epidemia.
La disintegrazione familiare, la crescita del numero degli orfani, il rischio per i minori di finire sulla strada o di essere vittima di sfruttamento, l’incertezza relativa alla sicurezza alimentare per l’effetto del virus nelle zone rurali, la perdita di manodopera qualificata, la diminuzione della base fiscale imponibile, l’assenteismo dai luoghi di lavoro per ragioni di salute o per la necessità di prendersi cura dei familiari, l’aumento dei costi per sepolture, i pensionamenti anticipati e frequenti cambi di personale sul posto di lavoro sono tutti indicatori dell’effetto devastante dell’Hiv/Aids nei paesi colpiti.
La perdita del lavoro per le famiglie che vivono nei paesi in via di sviluppo comporta una vera e propria condanna alla miseria, che obbliga milioni di persone a ricorrere a ogni mezzo per la propria sopravvivenza. Dato il difficile contesto socio-economico in cui si verifica l’epidemia, nei continenti con tassi alti di prevalenza, essa porta come conseguenze l’aumento dello sfruttamento minorile, del lavoro e dello sfruttamento sessuale, una forte crescita del rischio di cadere vittima della tratta di persone o di essere coinvolti nelle reti di contrabbando dei migranti, e una forte tentazione a cercare il sostentamento in attività illecite, che risultano l’unica opzione possibile.
Il virus genera anche effetti devastanti sul contesto culturale in cui si trovano le persone affette. Stigma e discriminazione escludente sono sempre state presenti nei tessuti sociali e di solito si rivolgono contro i cosiddetti «nuovi, diversi o sconosciuti». Tradizioni, errate interpretazioni di fedi religiose, pregiudizi e ignoranza portano molto spesso a stigmatizzare e discriminare le persone che vivono con l’Hiv/Aids.
Fin dall’identificazione del virus, nel 1982, si pensava che fossero a rischio solo omosessuali e persone operanti in ambito sessuale. Questi due gruppi sopra menzionati venivano considerati come i soli portatori del virus e gli unici responsabili della sua trasmissione, e furono dunque stigmatizzati. Furono le prime vittime della discriminazione, la stessa che soffrono molto spesso le persone che vivono con l’Hiv/Aids.
Atti di discriminazione possono essere presenti in ogni ambito: dall’accesso alla salute a quello all’educazione, dal non essere assunti per un posto di lavoro fino a perdere il proprio lavoro, dal non essere ben accetti nel proprio tessuto sociale d’origine o non essere accolti all’estero.

Diritti umani: sfida difficile da comprendere e affrontare

I comportamenti discriminatori rappresentano gravi violazioni dei diritti umani e costituiscono una grande sfida per tutti coloro che lavorano per il riconoscimento pieno dei diritti delle persone che vivono con l’Hiv.
I diritti umani hanno un ruolo chiave nel garantire una risposta integrale ed efficace all’epidemia. La loro realizzazione e tutela va considerata come uno strumento essenziale di prevenzione dell’epidemia, soprattutto nei riguardi di donne, bambine, e i giovani in generale. L’emergere del virus ha costretto la comunità mondiale a riflettere su situazioni e analisi nuove e ha portato al riconoscimento di diritti prima sconosciuti o totalmente ignorati.
Va rispettato innanzitutto il diritto a essere informati ed educati in modo chiaro e adeguato sulla propria salute, sessualità, rischi che si possono correre e mezzi di protezione, in modo che ciascuno possa vivere una sessualità libera, responsabile e gratificante. La disinformazione è una protagonista dell’epidemia nella maggior parte dei paesi del mondo, dove le donne sono tuttora vittime di discriminazione, sopraffazione maschile, violenza e abusi di vario genere.
In alcuni paesi è emerso che la maggioranza delle donne infette sono casalinghe, fedeli al proprio partner e che dunque si sorprendono di fronte a una prova di Hiv che risulti positiva. Per questo risulta essenziale che i giovani, uomini e soprattutto donne, ricevano una formazione opportuna e siano in grado di esercitare e rivendicare i propri diritti, secondo la strategia del trasferimento di potere ai gruppi vulnerabili.
L’Hiv/Aids è poi una sfida formidabile al diritto alla salute, che è considerato nel nucleo dei diritti umani fondamentali e va inteso come il diritto al livello più alto possibile di buona salute. Ogni persona infetta ha diritto di accedere alle medicine e ai farmaci necessari per tenere sotto controllo la carica virale di chi vive con l’Hiv.
In particolare si discute se il ricevere a titolo gratuito un trattamento medico adeguato, le cure per le cosiddette malattie opportunistiche e tutte le misure contenute in un programma di attenzione integrale, debba considerarsi un diritto umano. Per il momento non si è raggiunto un consenso globale su questo punto, ma si è arrivati all’accettazione del principio secondo cui, per lo meno i farmaci antiretrovirali, dovrebbero essere accessibili economicamente a tutti, specie ai gruppi vulnerabili.
Con la collaborazione dell’Oms (Organismo mondiale della sanità) e Unaids, nel mese di settembre 2005, in Argentina, si sono svolte delle consultazioni sul prezzo degli antiretrovirali, tra i rappresentanti dei paesi latinoamericani e 26 imprese farmaceutiche. Tali consultazioni hanno portato a una forte riduzione dei prezzi fino a cifre minime. In particolare, si è raggiunta una riduzione del prezzo tra il 15% e il 55% per le terapie più utilizzate nella regione. Per i paesi ciò si traduce in un risparmio sul costo dei farmaci che va dal 9% al 66%.

Caratteristiche del virus e strategie di prevenzione

Non esiste a tutt’oggi un vaccino o una cura che consenta di guarire dal virus dell’Hiv. Si tratta infatti di un virus mutante, che si riproduce in modo diverso in ogni individuo e per questo è difficile incontrare un sistema universale di risposta. Nonostante ciò, si può ottenere il prolungamento della vita di una persona infetta fino a un massimo di 20 anni.
I farmaci antiretrovirali servono a mantenere sotto controllo la carica virale, ovvero la quantità del virus presente nel corpo. Mantenendo tale quantità a un livello basso, si evita che il virus aggredisca in modo grave l’organismo e diminuiscono anche i rischi di trasmissione.
Per questo è importante promuovere la realizzazione della prova volontaria dell’Hiv-Elisa. Se, infatti, il virus viene identificato quasi subito dopo l’infezione, è possibile controllare la carica virale e limitare i danni, iniziando immediatamente il trattamento con gli antiretrovirali.
In assenza di trattamento, la carica virale, invece, aumenta e aggredisce l’organismo fino a disarmare il suo sistema di difesa: a questo punto si raggiunge la fase terminale, ovvero l’Aids (sindrome di immunodeficienza acquisita).
Il virus si trasmette attraverso relazioni sessuali, scambio di siringhe sporche nel caso del consumo di droghe intravenose, trasfusioni con sangue infetto e tra madre e figlio. In particolare in quest’ultimo caso la trasmissione può avvenire nella stessa gravidanza, nel parto o nell’allattamento. Ci sono esperienze che dimostrano che da una mamma Hiv positiva può nascere un bambino Hiv negativo e perfettamente sano.
Somministrando il trattamento antiretrovirale a partire dai primi tre mesi della gravidanza, prestando adeguata assistenza al momento del parto ed evitando l’allattamento materno, si riesce a evitare la trasmissione del virus. Per questo è fondamentale che le donne incinte o desiderose di una gravidanza, si sottomettano a una prova di Hiv/Aids.
Se le tecniche di prevenzione non sono applicate l’indice di trasmissione del virus tra madre e figlio può arrivare al 40%. In Colombia, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea e in cui sono state seguite queste procedure, l’indice di trasmissione tra madre e figlio è sceso allo 0,7%, dimostrando così che esistono le possibilità per evitare tale tipo di trasmissione.
La strategia di prevenzione contro l’Hiv/Aids non è limitata alla mera distribuzione dei preservativi; una strategia multisettoriale prevede la formazione, educazione, promozione di un cambio di comportamento e l’emancipazione delle donne.
La lotta contro l’Hiv/Aids non va considerata come una sfida di etica o di morale, quanto piuttosto come una opzione per salvare vite umane, un obiettivo prioritario, rispetto alle ideologie. La strategia «ABC» (astinenza, fedeltà, preservativo) ha dimostrato di non essere in grado da sola di arrestare la diffusione dell’epidemia, per cui è necessario disegnare nuove strategie più adatte alle realtà locali.

Ricerca di risposta globale

La globalizzazione, l’abbattimento delle frontiere nella comunicazione e i sogni di un futuro con migliore qualità della vita, aprono ampi spazi alle migrazioni e il tema della mobilità umana assume un’importanza sempre maggiore con riferimento all’Hiv/Aids.
Il rischio è ancora più evidente nel caso della tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale. Vista la condizione di quasi reclusione e spesso l’assenza di un permesso di soggiorno, la vittima del traffico è spesso sottoposta a ogni tipo di violenza e non ha accesso al sistema sanitario. Lo stesso vale per i migranti clandestini che non hanno accesso ai servizi di salute ed educazione e che per la condizione di invisibilità sul territorio sono spesso vittime di profittatori.
Considerate le proporzioni assunte da questo fenomeno è necessario ripensare le politiche di accoglienza in modo da tutelare sia chi emigra sia la comunità di destinazione. In Italia sono in vigore disposizioni che prevedono l’accesso gratuito al test dell’Hiv per tutti i cittadini e gli stranieri, anche se privi del permesso di soggiorno.
Negli ultimi decenni l’Onu ha assunto un ruolo centrale perché il problema dell’Hiv/Aids sia presente in tutte le consultazioni e agende politiche con agganci al tema. Si è così arrivati all’approvazione di diversi documenti contenenti delle raccomandazioni per gli stati.
La Dichiarazione del Millennio, adottata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2000, contiene una meta specifica relativa all’Hiv/Aids, la n. 6: essa mira ad arrestare il diffondersi dell’Hiv/Aids entro il 2015. La Dichiarazione della sessione speciale sull’Aids, nel 2001, ha proposto mete e sistemi di monitoraggio per valutare i progressi compiuti dagli stati.
Nel 2003, governi africani, organismi multilaterali e bilaterali, Ong e settore privato hanno raggiunto il consenso su 3 principi fondamentali, applicabili a tutte le parti interessate a livello nazionale: adozione di un quadro di azione sull’Hiv/Aids come base per il lavoro di tutti gli attori sociali; unica autorità nazionale di cornordinamento, con un mandato multisettoriale; un solo sistema di vigilanza e valutazione a livello nazionale.
Il 1º dicembre del 2003, Oms e Unaids presentarono un rapporto in cui si dimostrava la possibilità di fornire il trattamento con gli antiretrovirali a 3 milioni di persone entro l’anno 2005, nell’ottica di promuovere l’accesso universale ai farmaci e trasformare l’Hiv in malattia cronica e non letale.
Nel maggio 2004, nell’Assemblea dell’Oms,192 paesi assunsero l’impegno, denominato «3 by 5», di garantire l’accesso al trattamento con gli antiretrovirali a 3 milioni di persone entro il 2005, attraverso l’utilizzazione di 5 strategie specifiche.
Nel rapporto sull’iniziativa di giugno 2005, si descrive un notevole incremento, a livello mondiale, nell’accesso al trattamento, anche se sono necessari ulteriori sforzi per il raggiungimento dell’obiettivo previsto, che è stato mancato. La meta si basava sul presupposto di ciò che si poteva raggiungere se governi, paesi donanti e organismi inteazionali avessero avuto pieno successo nell’aumentare la volontà politica, nel mobilizzare le risorse e costruire sistemi e infrastrutture di salute.
L’ultimo rapporto testimonia che mentre l’appoggio politico, finanziario e tecnico per l’aumento della copertura degli antiretrovirali hanno, in alcuni casi, anche superato le aspettative, in altri non si è ancora raggiunta una risposta pienamente positiva.
La Banca mondiale rappresenta uno dei maggiori finanziatori dei programmi contro l’Hiv/Aids, nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Negli ultimi 5 anni ha investito più di 1,8 miliardi di dollari attraverso prestiti, crediti e altre forme di sostegno ad azioni contro l’epidemia. Per i paesi più poveri utilizza la strategia di prestiti senza tasso di interesse. Collabora con le altre agenzie Onu, che da sempre sono co-sponsor di Unaids, nella elaborazione di analisi strategiche, definizione di politiche e altre forme di know-how.
Nel luglio 2001 il Summit G8 decise la creazione del Fondo globale contro l’Aids, tubercolosi e malaria. Il Fondo fu ufficialmente creato nel gennaio 2002 a Ginevra e fin dall’inizio ha assunto un ruolo di prim’ordine, diventando una delle principali entità erogatrici di fondi per la lotta all’Hiv/Aids.
Nel luglio 2001 l’Italia s’impegnò a contribuire al Fondo con 200 milioni di dollari (100 nel 2002 e 100 nel 2003), diventando così il secondo donatore, dopo gli Stati Uniti, e acquisendo di diritto uno dei 7 posti riservati nel Consiglio di amministrazione ai paesi donatori. Per il periodo 2004-2007, ha già donato circa 218 milioni di dollari, rispettando i tempi previsti.

Aids in Africa: uno scandalo

In un rapporto sulla situazione del continente africano nel 2005 e sulle possibili evoluzioni, Unaids traccia delle proiezioni fino al 2025. Lo studio è molto interessante e mette in luce delle variabili finora poco considerate. La gravità della situazione attuale, il numero dei morti e dei nuovi casi di infezione, rendono urgente ripensare quanto si è fatto finora per migliorare gli interventi futuri e così anche la speranza di vita delle prossime generazioni.
La conclusione dei vari seminari, studi e analisi, sono stati tracciati tre distinti scenari, uno dei quali, intitolato «il peso del passato, spirale infeale, è certamente il più disastroso e… scandaloso per il futuro del continente (per una conoscenza dettagliata vedi pag. 25).
I tre scenari suggeriscono che, attualmente, la risposta all’epidemia non è adeguata e che si dovrebbe tentare tutto il possibile per evitare il propagarsi del virus. È evidente l’ importanza della percezione della crisi e la necessità di approfittare delle risorse, valori e culture a livello locale, come ulteriori elementi utili nella lotta contro il virus.
È necessario, soprattutto, espandere la risposta all’Hiv/Aids all’ambito dello sviluppo vero e proprio, perché non esistono formule magiche, che diano risultati a breve termine; è fondamentale la collaborazione tra tutti gli attori sociali. È necessario investire in favore dei diritti delle donne, promuovere e rafforzare il loro ruolo all’interno del contesto sociale; è opportuno investire sui minori rimasti orfani e prendere in considerazione l’effetto psicologico dell’epidemia. Ciò nonostante la sfida all’epidemia sarà con noi per i prossimi 20 anni.
L’Hiv/Aids è un fenomeno complesso, che richiede una risposta integrale e una collaborazione effettiva tra tutti gli attori sociali coinvolti, con particolare enfasi nella partecipazione delle persone che vivono con il virus. «Per il momento – suggerisce Kofi Annan, segretario generale dell’Onu – le uniche armi disponibili sono l’unione e la collaborazione tra i diversi protagonisti delle strategie contro l’Hiv/Aids; per cui occorre far crescere la mobilizzazione di tutti i soggetti, imprese private, istituzioni nazionali e organizzazioni non governative. Ogni attore sociale e ogni individuo hanno una responsabilità verso la collettività, perché questa epidemia è un problema di tutti non solo delle persone sieropositive».
In linea con gli slogan delle campagne mondiale 2005, ognuno deve contribuire ad arrestare l’epidemia, mantenendo la sua promessa.

Sandro Calvani e Serena Buccini

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