TANTI ELOGI…

Rev. Direttore,
ci sentiamo poco per corrispondenza, ma, leggendo tutti i mesi Missioni Consolata, sono aggiornata dai vari articoli sulle situazioni, avvenimenti, problemi di diversi luoghi e nazioni.
È quindi una bella e interessante rivista, molto ben impostata; fatela sempre meglio e gradita sempre sarà. Anche i dibattiti «contro» possono essere utili a far capire il giusto delle cose, situazioni ecc.
Io non sono una «letterata», non so scrivere con cultura, ma gli argomenti giusti si capiscono e fanno bene. Sempre avanti dunque, in questo mondo così tribolato, abbiamo bisogno di sentire cose sensate e di valore cristiano… Auguro ogni bene a lei e a tutti quanti lavorano con lei.
Cordiali saluti.
Soresina (CR)

Andreina Biondi Ferrari




TANTI ELOGI…

Dist.mo Direttore,
desidero ringraziare lei e la sua redazione per il numero speciale di Missioni Consolata dedicato alle nuove schiavitù. Conoscevo qualcosa da altre fonti, ma non immaginavo, non riuscivo a concepire… sia le cifre, sia le storie, sia le nazioni. E, come me, chissà quante altre persone non sapevano.
Grazie ancora per tutto l’enorme lavoro eseguito e per lo spirito con cui certamente è stato fatto.
Cordiali saluti.

Roma

Giovanni Vulpetti




TANTI ELOGI…

Il vostro numero monografico di ottobre-novembre è eccezionale. Lo sto facendo girare tra le mie conoscenze e spero che anche loro si abbonino alla vostra rivista.

Mirella De Gregorio




TANTI ELOGI…

Gentile Redazione,
prima di tutto il mio apprezzamento per il vostro bellissimo lavoro. Mi piace molto la vostra rivista sotto molti aspetti: per i contenuti, la struttura, la semplicità, il coraggio, i temi, l’apertura a 360° sul mondo intero. Ho invitato molti amici ad abbonarsi e chi l’ha fatto apprezza molto il vostro lavoro.
Una menzione particolare per i numeri monografici, sempre di una completezza che fa intendere quanto lavoro e studio ci siano dietro, ma anche quanta passione. Vi auguro di continuare bene il vostro lavoro, accogliendo lo Spirito del Signore e mettendo a frutto i suoi doni.
Vorrei donare l’abbonamento alla vostra rivista a un amico, includendo anche l’ultimo numero monografico (segue nominativo e indirizzo).
Grazie e cordiali saluti.

Prato

Carlo Faggi




TANTI ELOGI…

Caro Padre,
grazie per le copie della rivista che mi ha inviato. È veramente bella, piena di informazioni utili. Sono stata a Frascati per un convegno dove c’erano circa 300 studenti di scuole superiori, i quali dovrebbero fare un progetto di ricerca su questa tematica delle nuove schiavitù. Ho lasciato agli insegnanti 3 copie e sono stati felicissimi, perché saranno a loro di grande aiuto.
Le altre le tengo di riserva e le distribuisco con parsimonia. Sono troppo preziose. Grazie ancora.

Roma

Suor Eugenia Bonetti




TANTI ELOGI…

Spett. Rivista,
sono una fedele abbonata a Missioni Consolata. Il vostro numero di ottobre-novembre 2005 è fatto benissimo ed è molto interessante. È possibile ricevere in contrassegno una seconda copia? Vorrei fae dono a una suora di mia conoscenza, che si occupa di situazioni di disagio sociale.
Rinnovo i miei più vivi complimenti. Grazie!

Maria V. Pellanda




TG RAI: DATECI NOTIZIE, NON GOSSIP!

Siamo sconcertati e indignati nel constatare la sostanziale indifferenza dei telegiornali verso fatti e problemi che toccano una vasta fetta del mondo. Conflitti e disastri naturali fanno sì notizia, ma gli abusi e lo sfruttamento costante del Sud del mondo quasi mai bucano lo schermo. Come missionari siamo a contatto ogni giorno con la povertà, le carestie, le violazioni dei diritti di molte popolazioni del pianeta, ma anche con la creatività e la freschezza di tanti Paesi. Eppure, tornando in Italia e guardando il telegiornale, è come se d’incanto ci apparisse un nuovo mondo, fatto di divi dello spettacolo, sfilate di moda e così via. Con amarezza abbiamo appreso dall’Osservatorio sui media di Pavia, ad esempio, che, nei mesi di luglio e agosto 2005, a fronte di 11 ore e 35 minuti dedicati al gossip sui vip, solo 19 minuti sono stati dati alla gravissima emergenza alimentare in Niger.
Non ne possiamo più del gossip sui vip! Vogliamo che il Tg, la cui funzione è portare nelle case le vicende dell’Italia e del mondo, dia spazio anche a ciò che accade nel sud del pianeta, dove la gente è spesso vittima di violazioni, ma anche promotrice di fermenti e di iniziative dai quali avremmo tanto da imparare.
Come cittadini che pagano regolarmente il canone, ci rivolgiamo in particolare alla Rai che ha l’obbligo di essere «servizio pubblico». È nostro diritto esigere un’informazione aperta al mondo, senza dover ricorrere a canali esteri. È nostro diritto un’informazione di qualità che non sia relegata negli speciali (a volte anche molto interessanti) in onda in fasce orarie da sonnambuli.

Attualmente la Rai non dispone di un corrispondente fisso in ogni continente. Colmare questa lacuna ci pare un passo nella direzione giusta, di un’informazione più equilibrata e attenta al mondo. Una richiesta in tal senso è già stata avanzata da tre riviste (Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia) e altri enti in occasione della Tavola della Pace a Perugia (settembre 2005 ); il direttore della Rai, Alfredo Meocci, ha promesso di aprire sedi Rai in Africa e in India. Ora la Fesmi (Federazione della stampa missionaria italiana) intende far pressione perché sia dato seguito a tale promessa. Non è vero che i telespettatori non sono interessati a conoscere le notizie di altri Paesi. Crediamo anzi che molti italiani, in primis i nostri lettori, condividano questa nostra indignazione, anche perché, pagando il canone Rai, contribuiamo al mantenimento del servizio pubblico di informazione.
Invitiamo tutti i contribuenti a mandare una cartolina di adesione a questa campagna all’indirizzo della Fesmi, segnalando l’avvenuto pagamento del canone. Sulla causale del versamento va scritto il seguente testo: Tg Rai: dateci notizie, non gossip!
Le cartoline pervenute alla sede della Fesmi entro fine giugno saranno consegnate al Direttore generale della Rai, accompagnate dalla richiesta di esercitare la sua funzione di garante di un’informazione più globale e a servizio dei contribuenti.

Fesmi




TAV – inchiesta Parola di geologo

TAV – approfondimento geologico

LA SOLA CERTEZZA È… L’INCERTEZZA

Francesi contro valsusini?
No, perché non si possono paragonare territori tanto diversi.
Sondaggi sicuri? Occorrerebbe perforare tutto il massiccio d’Ambin.
No, il Tav non supera l’esame di geologia. 

Nei tanti articoli giornalistici e nelle dichiarazioni di politici e amministratori regionali e nazionali si porta spesso l’esempio della Francia, come se i francesi fossero i buoni che accettano le grandi opere e di conseguenza il progresso. Il contrario delle popolazioni della Val Susa…
"I due territori sono molto diversi fra loro: anche solo la densità di popolazione è inconfrontabile. Inoltre, a livello di conformazione orografica i due versanti differiscono: la Valle di Susa è stretta, mentre la parte francese è costituita da valli più aperte. Un’opera del genere, da noi, ha un impatto ambientale e sociale di notevole entità. Non dimentichiamoci che la Valle di Susa è già densamente antropizzata, per ragioni storiche legate alla sua conformazione di “corridoio”: vi passano 2 strade statali, un’autostrada, una ferrovia, un elettrodotto (il potenziamento del quale è in corso di progetto)".

Affrontando il discorso della conformazione geologica dei massicci che il tracciato Tav dovrebbe attraversare, tecnici e politici parlano di “strati rocciosi diversi” e affermano che il tunnel potrebbe passare in quelli dove non vi sia presenza di amianto-uranio. Lei che ne pensa?
"Sarebbe possibile, se ci trovassimo in terreni sedimentari, ma le sequenze attraversate dalle gallerie non si presentano a strati, trattandosi di rocce metamorfiche. Come tali, sono piegate, fagliate e deformate più e più volte. Nel momento in cui si scava una galleria della lunghezza annunciata e nella complessa situazione del massiccio d’Ambin, non si sa che cosa si andrà a trovare. Il grado di incertezza, in terreni geologicamente così complessi, è sempre elevato. I dati preliminari saranno foiti dalla realizzazione delle gallerie di prova, ovvero dai sondaggi, eseguiti prima di procedere allo scavo principale, con il fine di conoscere la situazione geologica, strutturale, geotecnica, nonché di sicurezza. Ricordiamoci che i sondaggi vengono effettuati anche in situazioni geologiche “semplici”, ma sempre nell’ambito dello stretto necessario, visti i costi elevati che comportano. Ricordiamoci che le fibre di amianto non sono riconoscibili ad occhio nudo, per una banale questione di dimensioni (ovvero qualche millesimo di millimetro), così come non lo è la radioattività di un minerale… E ricordiamoci, ancora, una delle malattie storiche legate alla manipolazione di rocce cristalline (come appunto quelle tipiche del massiccio d’Ambin): la silicosi. Per quanto riguarda la tutela della popolazione, quindi, ritengo difficile che le tecniche di aspirazione esistenti, le evidenti necessità di contenere i costi economici e le “prassi” mediamente adottate nella gestione dei cantieri, riescano a garantire i requisiti di sicurezza. Per tutto questo, non è una questione di “strati rocciosi diversi”".

Tra le tecniche di sicurezza proposte compare quella di “bagnare la galleria” per non fare sollevare le eventuali polveri di amianto o uranio.
Ride e poi risponde: "E quindi di trasferire il problema da un’altra parte? Bagnare la roccia, secondo me, non ha senso: se si portano fibre di amianto in acqua, quando questa evapora, sono di nuovo libere".

Mi sembra di capire che, a suo avviso, non ci sono i pre-requisiti per un lavoro in sicurezza…
"Esatto".

Una risposta lapidaria…
"Non c’è scampo. Manca la fattibilità tecnica ed economica per procedere in sicurezza".

Ma come la mettiamo con tutte le rassicurazioni di cui ci parlano, di nuovo, politici ed esperti delle amministrazioni favorevoli all’opera?
"Non sono avvalorate da serie ricerche scientifiche. Nella geologia, il grado di incertezza è sempre molto alto, perché parliamo di profondità della terra, di “luoghi che non si vedono”. Riuscire a dare delle certezze in questa materia vuol dire raccontare per forza delle bugie. O si perfora tutto il massiccio d’Ambin per l’intero tracciato e si esegue un enorme numero di sondaggi, che eleverebbero i costi alle stelle (perché i carotaggi in rocce cristalline sono costosissimi) oppure si rimane con un grado di incertezza elevatissimo. È dunque più saggio ammettere che esiste questo altissimo livello di incertezza, piuttosto che dichiarare, non realisticamente, che la salute dei cittadini non verrà messa in pericolo".

Nonostante la grande quantità di articoli giornalistici sul problema Tav, di tutto ciò si parla ben poco. Come mai?
"Esiste una questione di ordine economico: quando un’opera si “deve” fare, si procede anche se comporta costi ambientali, sociali, umani, finanziari enormi. Le ragioni politiche ed economiche superano quelle della logica e della scienza. In Italia, a differenza della Francia, abbiamo un modo opposto di affrontare i progetti: la Francia ha una fase progettuale lunghissima e una di realizzazione molto breve; l’Italia, il contrario. Per riuscire a far passare questi progetti contro la volontà delle popolazioni locali (perché non vengono investiti sufficienti fondi negli studi e nelle ricerche sulle condizioni delle opere), il modo migliore è quello di negare i problemi o di presentarli come facilmente risolvibili. È l’unica strada per tacitare le opposizioni".

Quanto lei afferma è estremamente allarmante. Sembra di essere nelle mani di gente senza scrupoli…
"Credo che sia proprio così".

(intervista a cura di Angela Lano e Paolo Moiola)


a cura di Angela Lano e Paolo Moiola




TAV – inchiesta Parola di economista

TAV – approfondimento economico

TANTO PAGA LO STATO, CIOÈ I CITTADINI

Le "grandi opere" servono alla propaganda e vivono di propaganda.
Accanto ai presunti benefici ci sono i costi, certi ed enormi.
Chi li paga? Sulla base di un meccanismo tanto complesso quanto ingegnoso ("creativo") a pagare sono sempre e soltanto i cittadini.
Che debbono anche ringraziare…

di Oscar Margaira (*)

 

Le «grandi opere» sembrano essere vere e proprie «cartine di tornasole» per misurare mediaticamente la grandezza di un paese, la sua supposta capacità economica, tecnica, gettuale e forse perfino «spirituale», quasi si trattasse di un avvicinamento al Supremo, a Dio. Esse servono alla propaganda e vivono di propaganda. Il più delle volte, almeno progettualmente, crescono in simbiosi con l’immaginario collettivo che viene continuamente stordito e sobillato da immagini virtuali di benefici astratti quali «a Parigi in due ore», «viaggerai dentro le montagne e sotto ai mari a 300 all’ora», oppure, nel caso del Concorde, «arriverai a New York tre ore prima dell’ora in cui sarai partito».

 

Che ne sarà della Valle dei Celti?

Se realizzare l’Alta velocità/capacità a fianco dell’autostrada per Milano, fino a Settimo Torinese, alle porte di Torino, in territori pianeggianti e relativamente poco abitati, era abbastanza semplice, almeno in teoria (poi si scopriranno viadotti che crollano, traffico in tilt, deviazioni stradali da incubo), attraversare il territorio dell’hinterland torinese ed infilarsi per la prima volta in una stretta valle alpina di origine glaciale bucandone le montagne con gallerie, è tutt’altra faccenda.

Geograficamente la nostra valle è «compressa», stretta tra le montagne con un territorio vincolato già oggi da tre direttrici stradali parallele – l’autostrada e due statali -, un fiume e la linea ferroviaria internazionale Torino-Modane che corrono nella stessa direzione, numerosi torrenti perpendicolari al fiume di cui sono affluenti, due linee elettriche ad alta tensione provenienti dalla Francia, strade minori provinciali e comunali che collegano i 23 comuni valsusini. Sessantacinquemila abitanti, case, capannoni, fattorie, fabbriche, interporti, parcheggi, sparsi, anzi concentrati, nello stretto fondovalle.

Il nostro minuscolo lembo di terra, che vorrebbero colonizzare con nuove quanto inutili grandiose ferrovie, è da sempre «ai confini del regno» (se escludiamo il periodo dei Savoia). Non per nulla proprio qui vivevano i Celti di re Cozio, poi denominati più comunemente «Galli» da Giulio Cesare. In epoca romana, nel mezzo della valle, ma non lontano dalle pendici del monte Musinè (oggi famoso per le sue rocce pericolosamente amiantifere), esisteva una grande area di confine, denominata «Statio ad Fines»: proprio qui finiva il territorio controllato da Roma. Sarà un caso, ma sempre in questa zona, anche oggi, rischia di finire l’impresa delle Fs, Rfi, Tav appoggiata dalle lobby affaristiche dei costruttori e del cemento armato.

 

Il soggetto-chiave: il «General contractor»

L’introduzione della Legge obiettivo, la 443/2001 e Dl 190/2002, da parte del governo Berlusconi e del suo ministro delle infrastrutture, dà vita a un dinosauro economico chiamato «General contractor», cioè una mega-impresa a cui è affidato dallo stato il compito di decidere tutto: progettazione, affidamenti, appalti, direzione lavori, esecuzione e collaudo. La legge è stata giustificata col fatto che avrebbe «velocizzato gli iter procedurali» delle opere pubbliche, specie di quelle «grandi»: di fatto, ha cambiato radicalmente le regole di progettazione e di approvazione delle stesse.

Ne consegue che la Valutazione di impatto ambientale (Via) è effettuata su un progetto preliminare dell’opera (non più definitivo), ma il parere emesso non è più vincolante come prima: anche se la Commissione Via negasse il parere favorevole, l’opera potrebbe avere comunque inizio.

Dalla legge-delega sulle infrastrutture, la 166/2002, nasce il «Projet financing»: il privato realizza l’opera pubblica con capitale proprio o più spesso bancario (prestito); l’amministrazione pubblica, priva di risorse, per «compensare» il privato costruttore gli fa gestire l’opera permettendogli di ottenee degli introiti, ad esempio incassando un affitto sull’opera costruita, per un certo numero di anni (concessione).

La vera novità è stata, in realtà, la Legge salva-deficit (la 112/2002) che ha permesso la costituzione di due nuove società pubbliche, ma di diritto privato: la Patrimonio Spa e la Infrastrutture Spa. Patrimonio Spa, nelle intenzioni dei «creativi», è un contenitore che permette di «valorizzare i beni dello stato», vendendo quelli disponibili e affittando o cedendo in «concessione» quelli indisponibili. Facendo ciò si sarebbero ottenuti, secondo alcuni esperti, i mezzi economici da dare in garanzia alle banche che avrebbero successivamente concesso i finanziamenti per le Grandi opere all’altra società, la Infrastrutture Spa.

Dunque, il General contractor progetta e costruisce l’opera, ma senza rischi: sa che non dovrà ricavarci i soldi spesi, perché questi sono interamente pagati e garantiti dallo Stato. Non ci si potrà stupire, dunque, se il General contractor spingerà a far durare il più possibile i lavori e a far lievitare al massimo i costi. Inoltre, il General contractor, a differenza del concessionario tradizionale di lavori o servizi pubblici, potrà agire in regime privatistico: potrà affidare i lavori a chi vorrà, anche a trattativa privata, e qualunque cosa faccia non sarà mai perseguibile per corruzione.

I soldi arriveranno in parte dallo stato (40%), per il resto dai «privati». I privati saranno consorzi di banche che, in Project Finance, presteranno il denaro, ovviamente dietro congruo interesse. A questo punto, con quei capitali la società Infrastrutture Spa potrà appaltare i lavori dell’opera ai General contractors con un contratto privatistico.

Lo stato, per anni, dovrà pagare un debito «occulto», che non sarà iscritto in bilancio e non inciderà nel calcolo dei parametri del Patto di stabilità. Alla fine, però, i soldi dovranno essere restituiti agli istituti di credito. E di colpo si aprirà una voragine, capace di affondare l’Italia e i suoi cittadini-contribuenti.

 

(*) Adattamento da «Adesso o mai più», Edizioni Del Graffio.
Oscar Margaira, vicepresidente di Legambiente Valsusa, abita in valle.

Oscar Margaira