COME STA FATOU? Manuel Antonio ce la farà


Prima di partire per una nuova destinazione, un medico dell’Organizzazione mondiale della sanità fa il bilancio della propria esperienza in un paese uscito distrutto da una lunga guerra civile. Tanti problemi, tanta sofferenza, ma anche esperienze umane indimenticabili.

Manuel Antonio mi guarda con un sorriso aperto. Anche sua madre sorride. Il medico le ha appena detto che questa volta suo figlio è salvo. Sì, Manuel Antonio ce la farà. Era stato colpito dalla malaria 5 giorni fa. La malaria si era subito complicata perché il bambino era molto denutrito.
Il villaggio di Manuel Antonio è alla periferia del mondo, in una Angola martoriata dalla guerra per tanti anni e dove la maggior parte della popolazione vive nella povertá estrema. Non c’erano farmaci antimalarici, né un medico o un infermiere per aiutare Manuel Antonio.

MAMMA ANGELINA
Come tante altre mamme angolane, Angelina ha dovuto percorrere piú di 200 chilometri, in parte a piedi, in parte con veicoli di fortuna, o militari, prima di arrivare all’ospedale provinciale. È durata tre giorni la corsa disperata contro il tempo per portare Manuel Antonio all’ospedale di Kuito, la capitale della provincia di Bié: è una zona che è stata a presa in mezzo da una guerra che ha distrutto un paese e la sua gente per più di 30 anni. Duecento chilometri di polvere, fame, fatica e paura, per strade, sentirneri e campi seminati di mine antiuomo.
Nel paese oggi c’è la pace, dopo che, nell’aprile 2002, l’esercito nazionale ha firmato l’armistizio con le forze dell’Unita. Angelina ha perso gli altri figli nella guerra. Dopo gli accordi di pace, si è ricongiunta con suo marito da cui era rimasta separata per 5 lunghi anni. Lo aveva dato per morto o per disperso in guerra. Angelina, come altri 4 milioni di persone, è tornata al suo villaggio, con la speranza di rivedere i suoi cari e rifarsi una vita.
La lunga guerra non ha piegato gli angolani. Sono fieri della loro terra e ora sperano che la pace durerà per sempre. È incredibile come sia stato possibile che, in così breve tempo, tanta gente sia ritornata a casa. È incredibile che, dopo 30 anni di guerra tutti adesso sembrano essersi già dimenticati che il loro vicino di casa era il nemico da abbattere.

I POSTUMI DELLA GUERRA
In una Angola traboccante di petrolio, diamanti ed altre ricchezze minerarie, con una potenzialità enorme anche per le risorse turistiche ed agricole, è incredibile che la povertà estrema riguardi il 69 per cento della popolazione.
È incredibile ma è vero che, seppur la guerra sia finita da piú di due anni, ancor oggi la gran parte della popolazione si ritrovi a lottare disperatamente per la sopravvivenza, per poter mettere i figli in una scuola e per riuscire a trovare un infermiere per curarsi. Sono i postumi della guerra la nuova condanna da cui ora ci si deve liberare. Sono i suoi effetti devastanti, fisici e culturali. I signori della guerra, interni ed estei al paese, hanno mantenuto acceso il conflitto a lungo per potersi arricchire; ma ora la popolazione vuole costruire un futuro di pace, fatto di scuole elementari, centri sanitari periferici, amministrazioni municipali funzionanti.
Solo pochi dei 163 municipi del paese possono già permettersi il lusso di una organizzazione e di un finanziamento pubblico che consenta gettare le basi di uno sviluppo produttivo, di una ricostruzione del tessuto sociale della comunitá, e l’accesso all’istruzione primaria e alla sanità di base.
Guardo Manuel Antonio e vedo in lui un milione di bambini che in Angola sono colpiti ogni anno dalla malaria, una malattia ormai scomparsa dal mio paese che qui invece uccide ogni anno almeno 30.000 bambini sotto i cinque anni e piú di mille donne gravide. Quando penso a questi bambini che muoiono ogni anno, non voglio vederli come cifre, statistiche da manuali asettici. Voglio vedee i volti, per capire che dietro questi numeri in realtá ci sono persone, bambini come i miei figli, donne come mia moglie.
Guardo Angelina ed il suo Manuel Antonio. E mi chiedo come sia possible che tante Angeline e tanti Manuel Antonio vivano la tragedia della malaria nell’era della tecnologia. Cosa sta succedendo in questa strano mondo perché, nella sola Angola, ogni anno altri 40.000 muoiano di malattie contagiose ma facilmente prevenibili, come la denutrizione, la diarrea, le malattie respiratorie, il morbillo e la malattia del sonno.
Per questo, appena arrivato in Angola, mi sono sentito preso dal lavoro, nell’impossibile pretesa di fare qualcosa di sostanziale per cambiare le cose, per rendere l’organizzazione dei servizi piú funzionale, piú efficiente e migliorare la qualitá dell’accesso alla sanitá di base.
Ora, con l’avvento della pace, c’è bisogno di lavorare ancor piú sodo e senza sosta con il governo per ricostruire il paese in fretta, per evitare tante morti e tanta sofferenza. C’è bisogno di lavorare con le Ong e le altre agenzie delle Nazioni Unite. Di coinvolgere maggiormente le ambasciate, le compagnie private e sostenere la crescita della società civile angolana, ancora così debole e dare una voce a chi non ce l’ha mai avuta.
In quattro anni, dal 2000, l’ufficio dell’Oms in Angola è cresciuto da 17 a piú di 100 dipendenti, di cui tre quarti medici gestori e tecnici sanitari e sono stati aperti dai due iniziali, altri 18 uffici a livello provinciale per aiutare le autoritá sanitarie.
Le attivita hanno dato priorità all’analisi sistemica della realtá socio-sanitaria e identificazione delle prioritá sanitarie; essere in grado di riconoscere le malattie, notificarle e combatterle d’accordo alle risorse disponibili, preparazione di schemi di diagnosi e cura per evitare le morti matee e infantili; integrazione dei programmi e implementazione di una strategia che consenta, attraverso la presenza a livello periferico di stock di farmaci essenziali e di professionisti della sanitá, di garantire un pacchetto ‘minimo di servizi’ a tutta la popolazione, dalla vaccinazione contro la polio, il morbillo ed il tetano, alla lotta alle malattie sessuali e al’Aids.
Mentre ho ancora nel cervello l’immagine di Manuel Antonio che mi sorride, penso alle molteplici inizitive che abbiamo instancabilmente prodotto in questo paese. Penso ai generatori consegnati, ai tre Tir e ai due camion di zanzariere con insetticida, materiali di laboratorio e farmaci antimalarici che abbiamo distribuito in sei province con alta mortalitá infantile e matea per malaria in questi ultimi mesi grazie al finanziamento dell’Unione europea. Penso al sistema di sorveglianza delle malattie a trasmissione sessuale, tra cui l’Aids, che è stato possibile costruire grazie a finanziamenti italiani.
Penso ai colleghi dell’Oms, medici e tecnici, che lavorano senza risparmiare energie nelle 18 province del paese ed al loro impegno costante per aiutare i direttori sanitari provinciali a capire le prioritá di gestione, a elaborare piani d’azione, a eseguire e valutare le attivitá.
Quando al mattino corro nella ‘marginal’ di Luanda, penso a come potrei migliorare le nostre azioni sul territorio e creare migliori opportunitá di politica sanitaria per i piú vulnerabili con le poche risorse a disposizione. Quando dormo, penso a come meglio appoggiare le attivitá dei nostri colleghi del ministero della sanità angolano. A come pappoggiare il vice-ministro, generoso e convinto della sanità di base, ad accelerare le strategie integrate per aumentare l’accesso ai servizi sanitari, attraverso la sua influenza. Spero che possa continuare in questa lotta quotidiana e generosa a favore della sua gente troppo martoriata dalla miseria e dalle malattie. Penso a come potremmo accelerare gli sforzi, aggirare le lentezze, gestire le difficoltá di comprensione e le paure nell’esecuzone delle strategie.
Penso a Manuel Antonio, sei mesi, diagnosi di malaria grave che questa volta è riuscito a scamparla. Ma ci riuscirà anche nelle altre due volte che prenderà la malaria? Già, perché ogni bambino in Angola, si prende la malaria in media tre volte all’anno…
Angelina mi guarda e sorride. Si sente meglio oggi. Ha lottato per il suo bambino, con disperazione e dignità. E ce l’ha fatta. Manuel Antonio è sfuggito al destino impietoso che ogni anno non risparmia migliaia di bambini come lui. La sua mamma che ci ha creduto, i medici e gli infermieri che l’hanno curato, chi l’ha accompagnata nella lunga strada che separava il suo villaggio dall’ospedale, i colleghi del ministero della sanità angolano, il mio amico e compadre vice- ministro ed io, questa volta ce l’abbiamo fatta. Tutti i nostri sforzi ne valevano la pena: Manuel Antonio è salvo.
Guardandomi allo specchio, credo di essere invecchiato 8 anni in questi 4 anni, ma credo di poter dire che ce l’ho messa tutta. Ora mi aspetta un nuovo paese e una nuova avventura umana.

Pier Paolo Balladelli