DOSSIER NUOVI ITALIANI”Sì, potrei sposare un’italiana”

Difficoltà linguistiche e culturali, lavori soltanto con connazionali: quella cinese è una comunità molto chiusa. Eppure i cinesi di seconda generazione stanno smarcandosi dalla tradizione. Lizao ne è un esempio.

Lizao lavora in un ristorante cinese di Avigliana, in provincia di Torino: serve ai tavoli e prende le ordinazioni dei clienti. Ciuffo colorato di biondo su un caschetto castano, faccia simpatica e italiano fluente, accetta volentieri di rispondere a qualche domanda sulla sua vita di immigrato di «seconda generazione». Mentre i suoi colleghi-parenti lo osservano con un’espressione di curiosità mista a perplessità, il ventunenne cinese di Zhejiang (regione tra Shanghai e Pechino) racconta di quanto gli piaccia vivere in Italia e di come abbia imparato una lingua «così difficile» come la nostra, a scuola, dieci anni fa.
«Sono arrivato in Italia con la mia famiglia, nel ’93. Avevo undici anni e sono stato inserito in quarta elementare. Non capivo nulla: i suoni dell’italiano erano così diversi da quelli del cinese! Alla fine qualcosa è scattato e ho iniziato a comunicare. Ricordo le insegnanti, bravissime e accoglienti. Hanno messo tutto il loro impegno nell’aiutarmi ad inserirmi bene in classe. Era una scuola di San Salvario (un quartiere multietnico di Torino, ndr)».

Dopo le scuole dell’obbligo ha continuato gli studi?
«Mi sono iscritto in prima superiore: istituto professionale di costume e moda. Andavo bene e mi piaceva studiare, ma ho dovuto smettere per iniziare a lavorare: avevo già un posto che mi aspettava. Un ristorante. Ma non mi sono fermato lì: ho cambiato sia locale sia città. Questo ristorante è di altri miei parenti».

Lavorate sempre tra di voi. Ma questo non vi aiuta ad integrarvi con la società italiana…
«È vero. Ma ci sono varie motivazioni alla base della nostra scelta. Prima di tutto, le difficoltà linguistiche. Lavorare tra di noi permette di comunicare senza problemi. Poi, non è facile che un imprenditore italiano ci offra un posto di lavoro: c’è ancora molta diffidenza nei nostri confronti, anche se siamo grandi lavoratori. Mio zio, ad esempio, è stato assunto in un’azienda italiana e il suo titolare è molto soddisfatto di lui».

Terzo?
«Appena qualcuno di noi riesce a mettere del denaro da parte, apre un nuovo ristorante e crea opportunità di lavoro per parenti e conoscenti. Dunque, è più facile trovare un’occupazione all’interno della nostra comunità di quanto non lo sia all’esterno. E così rimaniamo tutti “in famiglia”. In questo modo, ovviamente, non siamo stimolati ad imparare l’italiano».

Nei suoi progetti futuri è previsto un ritorno in Cina?
Spero di andarci nelle prossime vacanze: non ci sono più tornato da quando ero bambino. Ma a viverci, no. Sono passati troppi anni e io sono cresciuto qui.
Non credo che troverei più a mio agio: il mio paese è sicuramente cambiato rispetto a quando l’ho lasciato. Può darsi che, da vecchio, deciderò di farvi ritorno per essere seppellito lì, nella mia terra. Ora però penso di stare qui, a lavorare. L’Italia mi piace molto».

Questo significa che metterà su famiglia qui?
«Credo proprio di sì».

Con un’italiana o con una cinese?
«Non so: per me è uguale. Per i miei genitori no: sono all’antica e vorrebbero che sposassi una connazionale. Quando si presenterà il problema ci penserò». •

Angela Lano

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