Testimoni scomodi

Dal 12 al 17 ottobre 2004, a Bangkok (Thailandia) si è svolto
il 21° Congresso mondiale dei giornalisti cattolici, organizzato dall’Ucip (Union catholique inteational de presse).
Vi ha partecipato anche il rappresentante della Fesmi (Federazione della stampa
missionaria italiana), che ne sintetizza gli interventi e le impressioni.

Nata nel 1927, in un periodo in cui il fascismo era al potere in Italia, il nazismo stava acquistando forza in Germania e il comunismo dominava in Unione Sovietica, l’Ucip (Unione cattolica internazionale della stampa), raccoglie, oggi, migliaia di operatori dell’informazione di ogni angolo del pianeta.
Tra le numerose attività, intese a promuovere la collaborazione tra giornalisti del Nord e Sud del mondo, in un’ottica cristiana e d’indipendenza da condizionamenti politici, vi è l’organizzazione del Congresso mondiale dei giornalisti cattolici, che a cadenza triennale, si tiene di volta in volta in una diversa capitale mondiale. Il 21° si è svolto a Bangkok (Thailandia), dal 12 al 17 ottobre 2004. Vi hanno partecipato circa 500 professionisti dell’informazione, provenienti da Asia, Europa, Africa, Americhe, Oceania.
L’evento è stato preceduto dal Convegno mondiale dei giovani giornalisti cattolici (9-12 ottobre), occasione importante di confronto per quanti la condizione anagrafica pone come responsabili di un’informazione sempre più proiettata verso le nuove tecnologie e verso una globalizzazione delle esperienze, dei metodi e del linguaggio della comunicazione.
Il Congresso ha voluto essere insieme un punto di arrivo e un punto di partenza. Punto di arrivo, certamente, per il comitato organizzatore, una quarantina di professionisti dell’informazione thailandesi, che hanno lavorato duramente a partire dal dicembre 2001, quando il precedente Congresso di Friburgo votò per Bangkok come sede successiva.
Una scelta non casuale, visto che l’Asia aveva ospitato in precedenza un solo congresso dell’Ucip (a Delhi nel 1985) dal 1930; ma anche una scelta significativa, per dimostrare che l’Asia, e la Thailandia in particolare, hanno l’assoluta capacità in termini tecnologici, culturali, umani per confrontarsi alla pari con il resto del mondo.
In Asia, oggi e ancor più in prospettiva, si sono spostate le frontiere del dialogo, dell’inculturazione e della nuova evangelizzazione. Proprio la Thailandia, per la situazione geografica, etnica e religiosa, rappresenta una sintesi dell’intero continente, senza contare che la chiesa, assolutamente minoritaria nel paese, esprime una vivacità e vitalità sorprendenti, a confronto con un mondo buddista tradizionalista e in difficoltà di fronte alla necessità di accompagnare senza apparenti traumi lo straordinario sviluppo del paese.
L’organizzazione impeccabile in una coice di grande cordialità, la partecipazione attiva dei massimi vertici della chiesa thailandese e il saluto personale all’assemblea del primo ministro Thaksin Shinawatra, hanno introdotto i partecipanti (asiatici in maggioranza, ma con una presenza davvero internazionale) ai vari interventi e momenti di discussione attorno al tema «La sfida dei media di fronte al pluralismo culturale e religioso: per un nuovo ordine sociale, giustizia e pace».

Molti i temi affrontati nelle diverse comunicazioni e dibattiti, e tra questi: I media e la sfida del pluralismo culturale e religioso in Medio Oriente e in Iraq, proposto da mons. Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul; Tensione globale, pluralismo narrativo e pace, un’analisi sul potere dei media, proposta dalla professoressa thailandese Suwanna Satha-Anand; di più stretta attualità la riflessione di mons. Owen Campion su Impatto della religione nelle elezioni presidenziali del 2004 negli Stati Uniti.
Fuori dal programma degli interventi, la folta delegazione libanese ha distribuito ai partecipanti un documento in cui hanno chiesto l’impegno dei mass media cattolici nel mondo per favorire il pieno ripristino della sovranità nazionale in Libano.
Comunicazioni a parte, un ruolo di primo piano hanno avuto le tavole rotonde e i dibattiti, che hanno messo a confronto esperienze, posizioni e sensibilità di partecipanti provenienti da aree geografiche ed esperienze assai diverse.

In un continente dove l’influenza dei mass media è allo stesso tempo improntata al conformismo verso i poteri forti e alla critica di sistemi spesso iniqui, in un paese come la Thailandia, dove il primo ministro Thaksin Shinawatra controlla un’impressionante concentrazione di mezzi d’informazione e comunicazione, in un contesto dove il cattolicesimo è spesso fenomeno «esotico» o stigmatizzato come «straniero», è emerso anzitutto il ruolo del giornalista come «testimone».
Testimone scomodo, che deve unire qualità professionali e capacità di entrare in simpatia con le realtà locali. «Nel riferire la verità, i giornalisti si devono attenere ai massimi livelli di professionalità e di integrità morale», ha dichiarato l’arcivescovo John Foley nel suo discorso di saluto al Congresso.
Il presidente del Pontificio consiglio per le Comunicazioni sociali ha proseguito, sottolineando come la stessa vita dei giornalisti «dovrebbe riflettere la sovranità di Dio su tutti gli aspetti della vita umana» e che i giornalisti devono riflettere i «più alti livelli professionali e etici, sia come persone, sia come professionisti dell’informazione».
Ricordando il ruolo positivo dell’informazione cattolica in un contesto – quello asiatico – dove la chiesa è spesso assai minoritaria o in difficoltà, l’arcivescovo ha sottolineato il positivo impatto sulla società: «Voi non siete giornalisti cattolici per caso; e neppure cattolici prestati al giornalismo: siete invece giornalisti cattolici, con una sincera vocazione a comunicare la verità con amore e ad aiutare altri a fare lo stesso».
Dialogo e libertà sono state le linee-guida del Congresso, come sintetizzato dal presidente dell’Ucip, Ismar De Oliveira Soares: «Siamo venuti qui per ascoltare, per imparare, per dialogare e cercare nuove strade per essere presenti nel mondo contemporaneo come professionisti e come giornalisti cattolici, professionisti dei media e comunicatori. Noi non siamo soltanto invitati a proteggere i nostri stessi diritti, ma anche a dialogare con popoli, nazioni, organizzazioni da una prospettiva multiculturale… Per noi, la libertà personale e la libertà di espressione sono valori inscindibili. La libertà è più che il diritto professionale di parlare e scrivere. La libertà è il diritto della gente a scegliere come far progredire le proprie culture e a decidere delle modalità con cui informare sulla propria vita».

Thailandia paese buddista. È stato quindi con interesse che i congressisti hanno ascoltato e commentato gli interventi del portavoce del governo thailandese, Jakrapob Penkair, e del venerabile Somchai Kusalacitto, monaco buddista e docente all’Università Maha Chulalongko.
Il primo ha incentrato il suo intervento sul concetto di «sforzo etico individuale», finalizzato alla pace, alla condivisione e, a partire da un ambito tradizionalmente rurale come quello thailandese, all’«autosufficienza», via mediana fatta di moderazione, convivenza e uso di tecnologie sostenibili. Il secondo ha focalizzato gli aspetti morali dell’attività giornalistica e dell’uso dei modei mezzi di comunicazione di massa.
Interessante l’analisi di Somchai Kusalacitto riguardo la sfida che la comunicazione pone oggi al buddismo, religione che, come parte di una più vasta presa di distanza dai «vincoli» mondani allo sforzo di liberazione individuale, ha sempre ignorato proselitismo, missionarietà, propaganda, conoscenza che non fosse trasmessa per via diretta dai maestri o dalle scritture.
La mutata realtà dei paesi dove il buddismo è forte e strutturato, la necessità di partecipare in modo attivo alla crescita della società, l’apertura a nuove istanze religiose, sociali e culturali in un contesto globale, il crescente disinteresse religioso incentivato dal benessere sempre più diffuso, spingono, oggi, anche i seguaci della dottrina del Budda a cercare un nuovo e diverso rapporto con i mass media.

Occasione di contatto e scambio di informazioni e idee tra i singoli operatori dell’informazione, fra testate e associazioni professionali iscritti all’Ucip, il Congresso non ha sintetizzato i propri lavori in un comunicato finale. Tuttavia la sensazione è che l’evento sia davvero servito, come ha suggerito il presidente De Oliveira Soares, a «rafforzare il nostro impegno come giornalisti a essere più vicini alla gente e alla sua cultura, difendendo la libertà di espressione. Siamo venuti qui per osservare, ricevere e riportare nei nostri paesi d’origine le esperienze vitali che rendono questo luogo un orizzonte illuminato».

Stefano Vecchia