L’Africa nel cuore

All’età di 92 anni, 65 spesi in Mozambico, padre Luigi Wegher
si è spento come una candela. È rimasto sino alla fine accanto alla «sua» gente, condividendone giornie e speranze, insieme alle sofferenze di 30 interminabili anni di guerra civile.

Aveva appena due anni, quando il piccolo Luigi domandò alla madre perché le campane della chiesa suonassero così a lungo. «È morto un santo» rispose la mamma Luigia.
Il santo in questione era il papa Pio x. A distanza di 90 anni, Luigi ricorda quel 20 agosto 1914 come fosse ieri: «Ha condizionato la mia vita» dice sorridendo.

Padre Luigi Wegher

nasce il 9 settembre 1912, a Sanzeno, in Val di Non (Tn). Fin da giovane dichiara la sua vocazione. I frati lo allettano perché si faccia francescano; un padre stimmatino gli propone di entrare nella sua congregazione; il parroco lo spinge nel seminario di Trento. «Ma non mi piaceva», racconta padre Wegher.
Un giorno passa per Sanzeno la signora Teresa Tommasini: incontra Luigi e gli parla delle missioni e dei missionari della Consolata. Il giovane è conquistato dall’avventura missionaria: ai primi di settembre del 1925 Luigi lascia Sanzeno, nonostante le lacrime di mamma Luigia, e raggiunge Rovereto.
Da appena due mesi, infatti, presso l’antico «romitaggio» del santuario della Madonna del Monte si sono stabiliti i missionari della Consolata e la signora Teresa ne è diventata un’entusiasta «zelatrice»: gira per il Trentino e fa «propaganda» per le vocazioni missionarie.
Quello di Rovereto è il primo centro di reclutamento o «casa apostolica», come si diceva a quei tempi, che i missionari della Consolata hanno stabilito fuori del Piemonte. Per ora, si legge nelle cronache del tempo, «gli allievi vengono solo accettati e disgrossati, ossia aiutati a comprendere cosa significa diventare missionari della Consolata, e preparati ai corsi ginnasiali nelle case in Piemonte».
Dopo un anno di «disgrossamento», il giovane Luigi, passa a Cavour (TO), poi a Torino per gli studi ginnasiali e il noviziato. Nel 1933 emette la professione religiosa e il 13 marzo del 1937 è ordinato sacerdote.

Scalpita per un anno

nella casa di Gambettola, come insegnante degli alunni del piccolo seminario, finché riceve la destinazione alle missioni in Mozambico.
Nell’estate del 1939 si imbarca sulla nave tedesca Usambara. «Il bastimento era infarcito di ritratti di Adolf Hitler – racconta padre Wegher -. Dopo 40 giorni di navigazione approdammo a Porto Amelia, oggi Pemba. Mentre fervevano le operazioni di sbarco, venimmo a sapere che era scoppiata la seconda guerra mondiale». A titolo di curiosità: nel viaggio di ritorno, l’Usambara viene affondata presso Calais da un siluro inglese.
Altri cinque giorni di viaggio in camion per raggiungere il Niassa ed eccolo nella missione di Massangulo, dove rimarrà per 40 anni, 30 dei quali al fianco di padre Pietro Calandri, il primo missionario cattolico giunto in quella terra, nel 1926, e fondatore della stessa missione.
A padre Wegher è affidata la direzione della scuola elementare, dove studiano centinaia di giovani provenienti da ogni parte del Mozambico e anche dal Malawi: Massangulo, infatti, è l’unica missione che, insieme agli africani, accoglie i mulatti che nessuno vuole.
Siamo in tempo di guerra. In Mozambico, colonia portoghese, le conseguenze del conflitto mondiale non sono così disastrose come nelle colonie inglesi, dove i missionari della Consolata vengono espulsi o imprigionati, perché italiani; ma i numerosi razionamenti si riflettono anche sulla missione di Massangulo e sulla gente del posto.
Le difficoltà spingono la missione a imboccare la strada dell’autarchia: coltivazione di campi e orti, allevamento del bestiame e altre ingegnosità foiscono ai missionari e agli alunni quanto è necessario per la sopravvivenza. Anzi, tali attività diventano altrettanti progetti di formazione. I missionari si rendono conto che non basta insegnare a leggere e scrivere, ma bisogna offrire agli alunni altri strumenti per affrontare le sfide della vita: così la scuola elementare si prolunga in quella di arti e mestieri, affidata alla direzione di fratel Ugo Versino.
Oltre a insegnare nei corsi professionali, padre Wegher dà vita a vari laboratori, che sono una vera primizia in tutto il Mozambico: insegna dattilografia, impianta una piccola tipografia; avvia uno studio fotografico, organizza un laboratorio di rilegatoria, dove vengono rilegati libri e bollettini ufficiali del governo.
Per 40 anni la formazione scolastica è il pane quotidiano di padre Wegher, tanto da essere chiamato «o professor», il professore per eccellenza. Ma rimane soprattutto il missionario, che usa tutti i talenti per evangelizzare piccoli e grandi. Appassionato di teatro, scrive copioni che i giovani rappresentano in varie occasioni; ogni sabato pomeriggio proietta pellicole ricreative ed educative per gli alunni e la popolazione circostante. I film di Charlot sono i più attesi, ma piacciono anche filmini e diapositive di scene di vita locale, da lui registrate nelle visite alle varie comunità dove svolge i suoi servizi religiosi.

Nel 1964 scoppia

la guerra d’indipendenza contro il colonialismo e la dittatura di Salazar. Padre Wegher legge la situazione senza compromessi e senza estremismi. Scriverà più tardi: «La dittatura non è stata una cosa buona; non lo nego. Dio me ne liberi! L’indipendenza è una cosa sacra. Ma non bisogna pensare che tutti i portoghesi presenti in Mozambico siano stati crudeli verso i neri».
Le autorità politiche, in particolare i governatori delle province, si rendono conto dell’utilità del lavoro dei missionari: li rispettano e sanno apprezzare la formazione tecnica foita dalle loro scuole.
Ma nella situazione di lotta per l’indipendenza e relative repressioni, scoppia il contrasto tra chiesa e colonia; i missionari non hanno altra alternativa: o fare come i portoghesi chiedono, o andarsene. Alcuni sono costretti a partire; padre Wegher sceglie di rimanere con la sua gente, accompagnandola nel cammino della liberazione.
Nel 1970 è nominato superiore della missione di Massangulo: sono gli anni cruciali della lotta armata. Nel 1975 assiste alla proclamazione dell’indipendenza del paese. Si pensa che sia la fine di tutti i problemi; ma non è così. Il nuovo governo marxista-leninista comincia a perseguitare apertamente la chiesa e le missioni, nazionalizzandone le opere e costringendo i missionari a domicilio coatto: alcuni abbandonano il paese; padre Wegher continua a restare accanto alla sua gente.
Ma il 23 maggio 1979 anche Massangulo viene nazionalizzata e la chiesa-santuario della Consolata chiusa. Il 6 giugno, senza salutare nessuno, con il cuore sanguinante, il padre deve lasciare la sua missione.
Tutto in fumo? Non secondo padre Wegher: «Per 40 anni ai miei ragazzi ho dato… i denti; ora vedo che sanno masticare bene». Migliaia dei suoi alunni, infatti, occupano posti di responsabilità nel paese; tre sono rettori universitari: Brazão Mazula all’università Eduardo Modlane e Carlos Machili all’università pedagogica, entrambe a Maputo; padre Filipe Couto è rettore dell’università cattolica di Beira.

«Il ricordo più bello?»

gli domandano i compaesani il giorno in cui festeggia 60 anni di sacerdozio. «Massangulo… Ma non riesco più a tornarvi» risponde sospirando, mentre qualche lacrima solca il volto rugoso. Prima la nazionalizzazione, poi la guerra civile hanno ridotto la missione in una situazione disastrosa: gli edifici sono in rovina, i macchinari della scuola professionale depredati, alberi e orti distrutti. Rivederla in quello stato lo farebbe morire di crepacuore.
Padre Wegher, però, non vive di nostalgie, né si rassegna all’idea di rientrare in patria. Chiede al suo vescovo cosa potrebbe fare. «Vieni con me e… scrivi!» gli ordina il vescovo. E ubbidisce (l’unica volta nella sua vita, scherzano le malelingue). Si installa nella casa del vescovo, fa da vice parroco della cattedrale di Lichinga e si mette a scrivere.
Fin dal suo arrivo a Massangulo, padre Wegher ha accumulato una mole enorme di appunti e scritti su tutto quanto gli è capitato a tiro: ricordi del suo caro amico padre Calandri, osservazioni sulla geografia del Niassa, storia e costumi delle popolazioni della regione, composizioni poetiche e teatrali.
Obbedendo all’ordine del vescovo, raccoglie e mette ordine a tutto questo materiale. Nel 1985 appare in Portogallo il primo volume di Um olhar sobre o Niassa (Sguardo sul Niassa); il secondo volume viene pubblicato in Mozambico nel 1997. Si tratta di una vera summa su storia e geografia, usi e costumi, miti e leggende, racconti e proverbi del popolo tra cui padre Wegher ha speso tutta la sua vita.
Nel 1982 viene insignito con la medaglia Pro Ecclesia et Pontifice. Nel 1986 è nominato vicario generale della diocesi; molte volte sostituisce il vescovo, costretto ad assentarsi per vari giorni quando visita le parrocchie della vasta diocesi.
Nel 1992 scoppia la pace, finalmente. La gioia è grande, ma, nonostante i suoi 80 anni, padre Wegher non si sente affatto in pensione. Oltre a continuare il lavoro di vicario diocesano, incarico che ricoprirà fino alla morte, si occupa delle vittime più sfortunate della guerra civile, poveri e handicappati, la maggioranza dei quali mutilati dallo scoppio di mine antiuomo. Ogni giorno ne incontra qualcuno, condividendo con loro quello che riceve da amici lontani e benefattori.
Nel 2000 viene deciso di rivitalizzare Massangulo. Il compito è affidato a padre Mario Teodori, che ogni settimana fa la spola tra Lichinga e la missione, 90 km di strada sterrata, per incontrare la gente e ricostruire le strutture essenziali. Per padre Wegher è una grande gioia; ma non ha più il coraggio di ritornare a Massangulo: tanti ricordi giorniosi e altrettanti dolorosi gli manderebbero il cuore in cortocircuito. Ma esprime il desiderio di ritornarvi dopo la morte.
Questa arriva, silenziosa, il 24 luglio 2004. «La sera trascorre come al solito – racconta padre Mario -, tra battute scherzose e vecchi ricordi. Poi accompagno il padre nella sua camera, dove si affloscia all’improvviso tra le mie braccia e si spegne come una candela».
Come aveva chiesto e come la popolazione della missione aveva subito reclamato, padre Wegher rientra nella sua missione, scortato da un imponente corteo di cristiani e musulmani e viene sepolto accanto al suo grande amico, padre Calandri.
Dal cielo continuerà a «olhar sobre o Niassa»: lo ha promesso nel suo testamento. •

Benedetto Bellesi

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