Il corridoio dell’Aids (e quello della speranza)


Beira (Mozambico)

Un paese che tenta di uscire dai guasti della guerra civile,
una giovane università che personifica la speranza.

Beira è molto diversa da come mi era stata descritta dai miei colleghi universitari. Quale radicale cambiamento è sopraggiunto negli ultimi anni?, mi sono chiesto appena giunto nella seconda città del Mozambico.
Sono stato subito colpito dalla multiculturalità del luogo. Sapevo già che, prima dell’avvento dei portoghesi, alla fine del quindicesimo secolo, si era avuto un flusso immigratorio di commercianti arabi. Non avrei però immaginato che esistesse una comunità che fosse riuscita a segregarsi (o ad essere segregata) così bene, tanto da conservare, immodificati, i caratteri somatici, gli abiti e la lingua. Quanto all’uso del velo per le donne, a coprire tutto il volto meno gli occhi, non me lo sarei aspettato.
Anche gli indiani sono numerosi e si distinguono bene per la caagione olivastra, le rotonde geometrie del volto, i capelli lisci, l’agilità nel passare all’uso della lingua inglese dalla «esse» sibilata, nonché per il continuo argomentare tra loro su qualità di prodotti, prezzi e convenienze, in stretta simbiosi con il luogo fisico dove commerciano.
Beira conta tra i suoi abitanti diversi cinesi, impiegati in opere infrastrutturali mastodontiche nel controllo delle acque e nello sviluppo delle vie di comunicazione, che sono sempre state le prerogative della loro cooperazione, in quanto esperienza storica maturata nel problematico dominio dei bacini dei fiumi Giallo ed Azzurro.
La multietnicità e multi-culturalità è completata da una variegata comunità di occidentali. Vi si comprendono russi e cubani, retaggio dello sforzo di sostenere la Frelimo durante la guerra civile. Vi sono statunitensi e britannici impegnati nelle ricerche petrolifere ed in alcuni servizi. Vi sono tedeschi, austriaci ed olandesi impegnati nei servizi ad alto valore aggiunto.
Vi sono gli italiani, i quali hanno fortemente contribuito al processo di pace tra Frelimo e Renamo e stanno accompagnando la ripresa del paese. E, naturalmente, vi sono i portoghesi.
Beira è una città troppo estesa per il suo mezzo milione scarso di abitanti. La bassa densità è evidente anche in centro. Qualche condominio a 10 piani non offre lo stesso paesaggio di un centro a grattacieli, come per esempio si osserva nella capitale zambiana Lusaka, che è poco più popolata di Beira. Il traffico automobilistico nelle ampie strade è scarso ed anche le attività commerciali del centro sono poco animate. Lo stesso traffico di navi al porto non è degno della fama del «corridoio di Beira».
Prende questo nome quella via di comunicazione che lega Beira con Mutare ed Harare in Zimbabwe, facendo tappa a Chimoio.
Avendo avuto la Renamo la sua base militare lungo questo corridoio, in quello che oggi è il parco della Gorongosa, ed avendo avuto la sua base di reclutamento nel centro-nord del Mozambico, lo Zimbabwe ha visto per lungo tempo insidiato il cammino verso il mare per i suoi scambi d’oltreoceano. La guerra civile poteva chiudere il corridoio ed interrompere il flusso dei prodotti. Per questo, all’epoca, la presenza militare zimbabwiana fu sempre molto forte, spingendosi fino alla periferia della città. Molte delle mine che ancor’oggi insidiano le gambe dei mozambicani nelle province di Sofala, Chimoio e Tete, sono state piazzate da loro.
Il «corridoio» ha purtroppo contribuito a veicolare anche un flusso supplementare: il virus Hiv, agente eziologico dell’Aids. A tutt’oggi, sembra che la più alta percentuale di sieropositività dell’Africa australe sia in Botswana ed in Zimbabwe, che si trovano all’altro capo di quel corridoio.
Il contingente militare zimbabwiano, all’epoca della guerra civile, era ben fornito di generi alimentari, verso i quali erano attratte le madri, bisognose di cibo per sé e per i propri figli e con un’unica merce di scambio disponibile: il proprio sesso.
Poiché anche il Sud Africa è un’area ad alta incidenza di sieropositività per Hiv, sarebbe ingiusto affermare che, senza quel canale, il Mozambico non avrebbe avuto l’Aids tra le calamità da fronteggiare. Tuttavia, la città ha avuto una pesante eredità da quell’epoca, soprattutto negli strati più poveri e meno educati della popolazione: oggi Beira, nell’area urbana, conta il 35.7 (+/- 5.4) % di donne gravide infettate.
Beira vide passare grandi quantità di merci per il suo porto, ma oggi, a pace raggiunta, nel momento in cui le opportunità si dovrebbero ampliare, ecco che gli scambi sono più fiacchi. Le ragioni stanno ancora una volta in Zimbabwe. Il declino politico ed economico degli ultimi anni di quel paese ha colpito, di riflesso, anche Beira, che si trova con meno investimenti.
Con i suoi ampi viali, le piazze con le rotonde di svincolo, il discreto stato di pulizia, i quartieri residenziali con edifici a due piani, avrebbe potuto essere un grande contenitore da riempire, ma così non è stato.
Al Club Nautico continuano a chiedere un obolo d’ingresso ai non soci, come ad eccitare la fantasia per un luogo esclusivo pieno di stabili frequentatori (i soci per l’appunto), ma per la cena del sabato sera non c’è bisogno di prenotare. Il Tropicana promette una giornata festiva fatta di buoni cibi, nuoto ed altri sports, ma sulle acque della piscina galleggiano foglie morte ed arbusti. Il Club Palmeiras, anche se ben visibile e architettonicamente concepito per abbracciare il cliente, è chiuso.
La seconda città del Mozambico sta insomma soffrendo una seria impasse sociale ed economica. Tuttavia, allo stesso tempo, è anche il tavolo dove si sta giocando la stabilità degli accordi di pace. Ad un Mozambico lungo quasi 3mila chilometri, con una capitale, Maputo, posta al suo confine meridionale, dove si accentrano scuole ed altri servizi e dove la Frelimo continua a dominare, Beira si pone come la soluzione per le popolazioni del Centro e del Nord del paese. Così anche la seconda firmataria degli accordi di pace, la Renamo, che ha i suoi sostenitori in queste province, può trovare soddisfazione nella pacifica convivenza.
In questo quadro, a Beira è nata e si è sviluppata l’Università cattolica (dossier su MC del febbraio 2003), un’istituzione che sta cercando di collaborare attivamente nel consolidamento della pace in Mozambico, offrendo alle nuove generazioni un’istruzione qualificata a costi accessibili, un esempio per molti paesi africani.

(*) Il dottor Nando Campanella è il vincitore della prima edizione del «Premio giornalistico dottor Carlo Urbani». Il dottor Campanella è stato premiato con un viaggio a Beira, per visitare la facoltà di medicina dell’Università cattolica del Mozambico, istituto fondato dai missionari della Consolata.
Da gennaio 2005, il dottor Campanella lavora a Kampala, in Uganda, per cornordinare un progetto sanitario internazionale sull’Aids.

Nando Campanella

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