GLI OGM (1)”Metti un gene nelle fragole”

Piante resistenti a climi avversi, prodotti che non marciscono, frutti senza semi, miglioramenti qualitativi e quantitativi… i risultati dell’ingegneria genetica sembrano entusiasmanti, ma i lati oscuri della medaglia sono tanti, a cominciare dagli impatti sulla salute umana e sull’ambiente. Per questo scienziati
ed organizzazioni inteazionali chiedono l’adozione di un «principio di precauzione», che però pare soccombere davanti alle regole del profitto dettate dalle multinazionali e dai loro potenti sponsors. (Prima parte)

Miglioramento genetico delle piante, sviluppo agricolo sostenibile, salvaguardia delle risorse naturali, contributo significativo a soddisfare la crescente domanda mondiale di derrate alimentari, miglioramento della qualità, della sicurezza e del valore nutrizionale degli alimenti (1): questi gli scopi della biotecnologia applicata al settore agricolo-alimentare secondo i fautori degli Organismi geneticamente modificati (Ogm o Gmo, dall’inglese Genetic modified organisms); miti da sfatare, al contrario, per gli oppositori.
Su quali termini, concetti e fatti si basa il dibattito sugli Organismi geneticamente modificati? La controversia coinvolge esclusivamente conoscenze scientifiche, oppure è strettamente connessa anche ad aspetti economici e commerciali non sufficientemente dichiarati? La complessità dell’argomento è un limite oppure un’opportunità utilizzata come pretesto per un’informazione parziale, o addirittura assente, nei confronti del cittadino- consumatore?

COSA SONO GLI OGM
Il termine «biotecnologia» deriva dalla congiunzione di biologia, intesa come studio degli esseri viventi e delle leggi che li governano, e tecnologia, intesa come studio dei processi e delle apparecchiature necessarie a produrre determinati beni e servizi.
Con biotecnologia si indica qualsiasi processo produttivo che preveda l’utilizzo di agenti biologici, cellule, o loro prodotti. Le sue origini sono molto antiche: basti pensare alle tecnologie fermentative applicate nella produzione di alimenti (ad esempio, del vino e della birra) e alle tecniche di selezione e reincrocio utilizzate in agricoltura e zootecnia. Solo negli ultimi decenni l’aumento delle conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico hanno fatto intravedere nuovi orizzonti sperimentali e applicativi, in particolare nel campo della medicina, del disinquinamento ambientale e dell’agricoltura. Tecniche di ingegneria genetica quali la ricombinazione del Dna, la fusione di cellule animali e vegetali, l’introduzione diretta di Dna in una cellula, costituiscono le basi delle biotecnologie avanzate.
Gli organismi transgenici o, più propriamente, gli Organismi geneticamente modificati sono appunto gli animali, i vegetali, i miceti, i lieviti e i batteri nel cui genoma viene incorporato artificialmente un gene estraneo, chiamato transgene.
In campo agricolo, lo scopo è quello di inserire, nel Dna della pianta che si vuole modificare, uno o più caratteri (geni) che conferiscano alla pianta modificata le caratteristiche desiderate. Tali geni possono essere ottenuti da altre piante, da microrganismi oppure anche da animali: le tecniche di ingegneria genetica rendono cioè possibili incroci che sono impossibili in natura. Ne è un esempio la nota introduzione di geni di pesci (passera di mare) nelle fragole per aumentae la conservabilità, in base all’assunto che il gene che consente al pesce di sopravvivere in acque ghiacciate conserverebbe le fragole.
Un Ogm è «un organismo il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura mediante incrocio o ricombinazione genetica naturale» (D.Lgs. 3.3.93, n.92). Se l’organismo transgenico è fertile, il gene estraneo potrà essere trasmesso alle successive generazioni, dando origine ad una «linea di organismi geneticamente modificati».
Attualmente sul mercato sono presenti soprattutto varietà Ogm di mais, soia, colza, pomodoro, cotone, patata, zucca e tabacco. Le principali modificazioni genetiche già in commercio o in fase di sperimentazione riguardano la resistenza agli erbicidi e ai parassiti, il controllo della fioritura della pianta, la produzione di frutti senza semi, la resistenza a stress (al freddo, alla siccità, alla salinità del terreno, ecc.), la ritardata marcescenza.
Le ragioni addotte per la diffusione degli Ogm in agricoltura sono essenzialmente due:
• aumenterebbero la produzione del raccolto, contribuendo così alla sicurezza alimentare;
• ridurrebbero l’uso delle sostanze chimiche, contribuendo così alla protezione ambientale.

L’INVASIONE SILENZIOSA
Secondo il rapporto del Servizio internazionale per l’acquisizione delle applicazioni agrobiotecnologiche (Isaaa), le coltivazioni di piante geneticamente modificate (Gm) aumentano in tutto il mondo, con una superficie complessiva pari a 67,7 milioni di ettari e con una crescita, nel 2003, pari al 15% rispetto al 2002. Aumentano le colture Gm anche in Europa, in particolare in Romania, Bulgaria, Spagna.
Gli agricoltori che nel 2003 hanno utilizzato sementi geneticamente modificate sono diventati 7 milioni, un milione in più rispetto al 2002, e la maggior parte di essi (l’85%) vive in paesi in via di sviluppo; proprio in questi paesi si trova quasi un terzo della superficie mondiale coltivata con piante Gm, rispetto al 25% circa registrato nel 2002. Brasile e Sudafrica si sono aggiunti ai principali coltivatori di prodotti agricoli gm, ossia Stati Uniti, Argentina, Canada e Cina. Gli altri 4 paesi che coltivano superfici geneticamente modificate superiori ai 50.000 ettari sono Australia, India, Romania e Uruguay.
Nei paesi dell’Unione europea, invece, dopo una rapida crescita e raggiunto il massimo nel 1997, i rilasci di Ogm si stanno rapidamente contraendo. Le sperimentazioni sono state infatti scoraggiate dalla moratoria e dalla regolamentazione imposte su scala europea, e hanno subito un declino rilevante soprattutto in Francia e in Italia, i due paesi nei quali si erano più concentrate (rispettivamente il 29% e il 16% del totale europeo). Le diverse specie interessate, più di 70, riguardano principalmente le colture industriali quali mais, colza, barbabietola e patata (2).
Essendo una tecnologia coperta da brevetto, gli Ogm sono monopolizzati da un numero estremamente ridotto di multinazionali. La maggior parte del mercato delle sementi e dei prodotti fitosanitari è controllato da tre colossi: la Monsanto (gruppo Pharmacia), la Syngenta (già Novartis), e Aventis (creato dalla Hoechst e dalla Rhone-Poulenc e acquisito dalla Bayer nell’ottobre 2001 (3).

ALLERGIE ED ALTRI
IMPATTI SULLA SALUTE

Il dibattito affrontato dai media sugli Ogm riguarda soprattutto i possibili effetti sulla salute dei consumatori. I sostenitori degli alimenti Gm dichiarano che l’introduzione di cibi manipolati nella nostra dieta non possa causare rischi di nuove allergie. Come esempio, viene spesso citata l’introduzione del gene di banana nel pomodoro.
Secondo l’associazione Greenpeace, da sempre contraria all’applicazione delle biotecnologie in agricoltura, i biotecnologi omettono di precisare che l’esempio riportato considera cibi consumati abitualmente. «L’ingegneria genetica, però, riguarda spesso geni, e dunque proteine, che non fanno parte del consumo alimentare tradizionale: i rischi non sono prevedibili se il gene “trapiantato”, ad esempio nel grano, con cui facciamo pane, pasta ecc., proviene da uno scorpione o da una petunia o da altri organismi finora mai utilizzati nell’alimentazione».
La società Pioneer, prima compagnia mondiale nella produzione di semi, ha prodotto una soia più ricca di metionina (amminoacido essenziale che il nostro organismo non sa produrre) grazie ad un gene proveniente dalla noce brasiliana nota per la sua forte potenzialità allergenica (cioè molte persone sono allergiche a questo alimento). Test indiretti di laboratorio, finalizzati proprio a valutare la possibile insorgenza di nuove allergie, avevano dato tutti esito negativo. Un test allergologico ha invece dimostrato che persone allergiche alla noce brasiliana, ma non alla soia normale, erano allergiche anche alla soia manipolata della Pioneer, la cui commercializzazione è stata bloccata in extremis. Il problema è che la maggior parte degli Organismi geneticamente modificati può essere sottoposta solo a test di tipo indiretto, la cui affidabilità è messa in discussione.
Inoltre, negli Ogm viene inserito un gene resistente agli antibiotici, definito «marcatore», che permette di identificare le cellule in cui è riuscito il «trapianto» dei geni; successivamente esso non svolge più alcuna funzione, ma la sua eliminazione sarebbe troppo costosa e difficile.
Ecco perché c’è chi teme che la resistenza agli antibiotici possa trasferirsi all’uomo, rendendo inefficaci gli antibiotici comunemente assunti. Anche se il problema sembra superabile con nuove tecnologie che non prevedono l’utilizzo di geni marcatori, non ci si può non chiedere come mai, nonostante una tale eventualità, sia stata consentita la commercializzazione di tali prodotti. L’impatto sulla salute, tuttavia, non è il solo aspetto preoccupante che riguarda la diffusione degli Ogm.

I GENI COME
VITI E BULLONI

Se i fautori degli ogm sostengono che da sempre l’uomo ha modificato le piante, i critici ribattono che non tutte le modifiche sono equivalenti dal punto di vista ecologico e non tutte hanno impatti analoghi. I biotecnologi hanno dato infatti origine a nuovi organismi nati dall’ibridazione di specie diverse, che mai si sarebbero incrociati in natura.
«L’assunto è che una caratteristica possa essere trasferita da una specie all’altra semplicemente spostando un gene. In realtà, spostando geni da una specie all’altra produrremo effetti imprevedibili», dichiara Brian Goodwin, uno dei maggiori teorici della biologia. Mentre i sostenitori dell’ingegneria genetica dichiarano che questa tecnica è più precisa e prevedibile rispetto ai metodi tradizionali di ibridazione, la nota fisica indiana Vandana Shiva, insieme ad altri scienziati più cauti sull’argomento, pone l’accento sul fatto che «indipendentemente da come il transgene viene introdotto, c’è una totale impossibilità di prevedere quale sarà l’esatta collocazione del gene nel cromosoma», e continua affermando che «il luogo comune secondo cui l’ingegneria genetica è precisa e prevedibile è falso. Di fatto, non si tratta di vera ingegneria». Inoltre sottolinea come la selezione tradizionale non prevede affatto il trasferimento di geni da batteri e animali alle piante, ma incrocia «il riso con il riso e il grano con il grano».
Anche se molti scienziati iniziano a vedere i geni non più come semplici viti e bulloni di una macchina, che possono essere spostati o riordinati a piacere, proprio questa visione è invece la base fondante delle nuove biotecnologie, della nuova industria delle scienze della vita e del nuovo commercio genetico.

IL PRINCIPIO
DI PRECAUZIONE

Come ricorda il biologo Giuseppe Barbiero dell’Università di Torino, la comparsa degli ogm ha accelerato significativamente il processo di selezione naturale, in quanto si svolge in un periodo di tempo molto ridotto e in condizioni del tutto differenti rispetto alla selezione artificiale utilizzata tradizionalmente in agricoltura e zootecnia. La comunità scientifica sembra oggi riconoscere che è necessario approfondire le conoscenze prima di commercializzare gli Ogm, per evitare una sorta di esperimento globale su scala planetaria. Non sono pochi, infatti, gli esperti che ritengono insufficienti le attuali conoscenze scientifiche sull’argomento.
Ci troviamo cioè in «condizioni di ignoranza», di fronte a fenomeni complessi e non prevedibili come quelli biologici, in presenza del rischio reale di commettere errori gravi da cui non si può tornare indietro e, soprattutto, in una situazione in cui nessuno sa come eventualmente correggere gli errori: in questo contesto dovrebbe valere il «principio di precauzione», ossia un approccio prudente al problema (4). Per questa ragione l’etichettatura dei prodotti agrobiotecnologici, il rispetto dei protocolli di sicurezza, l’adozione di particolari cautele finalizzate a non compromettere l’equilibrio ecologico danneggiando la biodiversità sono alcune delle misure che dovrebbero essere considerate sempre necessarie, in quanto, in caso di errore, è più facile risalire alle cause e porvi rimedio in tempi ragionevoli. «Tuttavia – continua Barbiero – anche il rispetto più rigoroso dei protocolli di sicurezza non ci garantisce contro il rischio intrinseco delle nuove biotecnologie, dovuto esclusivamente alla nostra ignoranza riguardo la fisiologia del genoma. Siamo allora di fronte a un nodo ineludibile: la comunità scientifica deve dare segni di disponibilità e rimettere in discussione l’intera filiera che dalla ricerca porta alla commercializzazione dei prodotti delle nuove biotecnologie».
La necessità di adottare il principio di precauzione non è evidente solo alla luce delle possibili conseguenze sulla salute umana, ma anche dei potenziali, e in alcuni casi già effettivi, impatti sull’ambiente.

AGRICOLTURA BIOLOGICA O
RIVOLUZIONE «GENETICA»?

In molti sostengono che l’incremento dei raccolti registrato negli ultimi 50 anni, con la cosiddetta «rivoluzione verde», non sia dovuta ad una migliore gestione delle risorse locali, bensì all’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, all’allevamento industriale di animali, e ad altre pratiche di agricoltura intensiva che hanno generato importanti conseguenze per l’uomo e per l’ambiente.
Oggi, le stesse aziende che si sono procurate una pessima fama con l’utilizzo di sostanze chimiche nelle produzioni agroalimentari, stanno proponendo una nuova «soluzione»: la cosiddetta «rivoluzione genetica», ossia l’utilizzo di semi modificati geneticamente, che ridurrebbe la dipendenza dai dannosi pesticidi di loro stessa produzione.
La maggior parte degli Ogm viene prodotta con caratteristiche che li rendano resistenti agli erbicidi; anziché comportare una diminuzione dell’uso degli erbicidi stessi, alcune stime dimostrano che ciò implica invece un aumento dell’utilizzo di tali sostanze.
Secondo Greenpeace, «che il meccanismo serva a far vendere più erbicidi lo prova il fatto che negli Usa le sementi transgeniche vengono vendute con un contratto, nel quale si stabilisce che gli agricoltori che utilizzano erbicidi che non siano della ditta produttrice della semente manipolata, possono essere perseguiti legalmente. Lo stesso contratto vieta agli agricoltori di conservare i semi provenienti dal raccolto per riseminarli l’anno successivo».
Ad esempio, la soia manipolata della Monsanto resiste a dosi massicce di Roundup, un erbicida prodotto dalla Monsanto stessa. In generale, una coltivazione di piante Gm di questo tipo può essere trattata con l’erbicida a dosi tali da uccidere le piante infestanti: sopravviverà soltanto la pianta Gm che è resistente. «Che poi – puntualizza Greenpeace – essa possa contenere dosi più o meno elevate di veleni chimici, è un fatto che non preoccupa l’industria chimica».
Tra gli «effetti collaterali», secondo i critici, anche lo sviluppo sia delle cosiddette «super-erbacce», in grado di invadere le altre specie presenti e causa di un ulteriore utilizzo degli erbicidi stessi, sia di «insetti super-infestanti».
L’utilizzo di prodotti chimici si estenderà inoltre in aree del mondo in cui attualmente non si fa uso di tali sostanze.
Alcune piante sono modificate geneticamente, invece, per produrre da sole i propri pesticidi: ciò provocherebbe fenomeni di resistenza a tali sostanze col conseguente aumento del loro utilizzo. Senza contare che l’inserimento di una tossina in una pianta rischierebbe di aumentare la tossicità della stessa e la sua diffusione nell’ecosistema.
«Ad oggi – continua Greenpeace – ciò che l’ingegneria genetica ci nega è la scelta delle tecniche genuine dell’agricoltura sostenibile sviluppate dalla modea agricoltura biologica. Ingegneria genetica e agricoltura biologica sono incompatibili».

IL BIO-INQUINAMENTO
L’agricoltura si caratterizza per la complessità di saperi, tecniche e coltivazioni evoluti con le caratteristiche dei territori e delle popolazioni che li abitano: si è così sviluppata una moltitudine di sistemi agrari complessi e diversificati, da cui si sono sviluppate specifiche culture alimentari e gastronomiche.
Questa diversità è oggi a rischio: come evidenzia Greenpeace, la dispersione nell’aria del polline, il trasferimento dei transgeni dalle colture Gm alle erbe spontanee, la dormienza dei semi che li può portare a germinare a distanza di qualche stagione, l’alterazione dei microrganismi del suolo, possono rappresentare un pericoloso mezzo di dispersione degli Ogm e di inquinamento genetico. Una volta rilasciato in natura, un nuovo organismo creato dall’ingegneria genetica potrebbe essere in grado di interagire con altre forme di vita, riprodursi, trasferire le sue caratteristiche e mutare in risposta alle sollecitazioni ambientali. Addirittura «è possibile che colture trasformate per produrre farmaci o altri composti di interesse industriale possano fecondare piante destinate all’alimentazione umana, con l’inevitabile risultato di trovare nuove sostanze chimiche nella catena alimentare umana» (5).
A tutt’oggi non è infatti possibile prevedere le conseguenze dell’immissione di Ogm in un ecosistema. L’elemento preoccupante è che il materiale genetico possa trasferirsi da un organismo all’altro al di fuori del controllo umano. Ad esempio, è stato verificato che i geni «trapiantati» possono velocemente passare dalla colza Gm a piante affini, infestanti e non. Ricerche condotte in Germania hanno mostrato che il gene per la resistenza al glufosinato può trasferirsi, mediante il polline, in piante distanti 200 metri e dati più recenti indicano che l’inquinamento genetico può avvenire anche a distanze maggiori. La commercializzazione di mosche, zanzare e vermi, ingegnerizzati in laboratorio per diversi scopi, porterebbe ad una loro rapida diffusione nell’ambiente.
L’evidenza ha dimostrato l’alta frequenza ed entità delle contaminazioni non solo in campo aperto, ma anche nelle fasi di stoccaggio e trasporto. «Le attuali strategie di contenimento genetico non possono funzionare in modo affidabile in campo aperto. Possiamo ragionevolmente attenderci che gli agricoltori ripuliscano meticolosamente i propri macchinari agricoli, tanto da rimuovere tutti i semi geneticamente modificati?» (6).
«Poiché il bioinquinamento si verifica quando gli Ogm non sono confinati in ambiente chiuso, gli scettici degli Ogm vorrebbero sospendere i test sul campo e le coltivazioni Gm, non le medicine ottenute tra le mura di un laboratorio», chiarisce Vandana Shiva (7).
(Fine prima parte – continua)

BOX 1 Le iniziative anti OGM di regioni e comuni

• Il 13 ottobre 2003, in seguito alla semina illegale di mais Ogm nel comune di Sant’Elpidio a Mare (AP), la regione Marche ha avviato le operazioni di smaltimento dell’intero raccolto.
• Nell’aprile del 2003, il Tar del Lazio ha respinto il ricorso delle multinazionali di produttori e importatori di Ogm che chiedevano di sospendere la circolare del ministero delle politiche agricole e forestali che vietava la produzione e commercializzazione di sementi, soia e mais che anche accidentalmente contenessero Ogm.
• La regione Friuli ha proposto nel giugno 2002 la creazione di una macro-regione europea «Ogm-free».
• Nel luglio 2003 la regione Piemonte ha disposto la distruzione di 381 ettari di mais geneticamente modificato con un’ordinanza del presidente. Respinto il ricorso al Tar della multinazionale Pioneer, la regione ha provveduto al rimborso degli agricoltori coinvolti nella vicenda.
• La regione Campania ha approvato una legge (n. 15 del 24 novembre 2001) per la quale «i prodotti contenenti organismi geneticamente modificati non devono essere somministrati nelle attività di ristorazione collettiva riguardanti le forme scolastiche e prescolastiche, negli ospedali e nei luoghi di cura della regione Campania appartenenti alle Aziende sanitarie locali e alle Aziende ospedaliere, ai comuni, alle province, alla regione, agli altri enti pubblici ed ai soggetti privati convenzionati».
• La regione Veneto con la legge regionale n. 6 del 1° marzo 2002 «tutela la salute quale fondamentale diritto dell’individuo e promuove tutte le azioni necessarie a prevenire i possibili rischi alla salute umana derivanti dal consumo di alimenti contenenti organismi geneticamente modificati (Ogm) o prodotti derivati da Ogm».
• La regione Liguria con legge regionale n. 13 del 19 marzo 2002 impone il «divieto di introduzione di organismi geneticamente modificati sia vegetali che animali, in particolare in agricoltura e allevamento, compresi gli allevamenti ittici e le attività di trasformazione dei prodotti».
• La regione Basilicata ha emanato una legge (n. 18 del 20 maggio 2002) in cui è fatto divieto di coltivazione in pieno campo di piante transgeniche.
• La regione Abruzzo ha disposto con la legge regionale n. 6 del 16 marzo 2001 che il principio di precauzione sia applicato «nelle decisioni che riguardano l’uso per qualunque fine di organismi geneticamente modificati o di prodotti da essi derivati».

Intanto, dall’agosto del 1999, sono state 445 le amministrazioni italiane che hanno deliberato contro l’introduzione di ogm sul proprio territorio. Dal primo comune dichiaratosi «anti-transgenico», Bubbio, in provincia di Asti, all’ultimo in ordine di tempo, Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi.
Per poter piantare il cartello con il logo di «Comune Ogm Free» le amministrazioni devono prima deliberare il loro impegno a tenere lontani dal proprio territorio gli organismi geneticamente modificati, impedendo le coltivazioni e le sperimentazioni agricole.

Fonti: www.legambiente.com; www.comuniantitransgenici.org

BOX 2 la chiesa e gli OGM…

La chiesa deve prendere coraggio e restare coerente con la sua morale per dichiarare inaccettabili gli Ogm. Lo chiede padre Alex Zanotelli sull’ultimo numero della rivista Nigrizia. Zanotelli teme che il Vaticano possa cedere alle pressioni americane in questa materia e chiede ai teologi, ai missionari, agli episcopati del Terzo mondo di farsi sentire con decisione sull’argomento per evitare che la chiesa usi due pesi e due misure nella morale che riguarda la manipolazione della vita. «Già la scorsa estate – scrive padre Alex – sono rimasto di stucco nel leggere sulla Stampa l’intervista del card. Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, sulla possibilità di usare cibi geneticamente modificati per risolvere il problema della fame. In molti hanno reagito all’intervista – ordini religiosi e istituti missionari soprattutto. Anche per questo, credo, il cardinale ha convocato, il 10-11 novembre scorso, 67 esperti per avere più pareri sugli organismi geneticamente modificati. Il fatto è che gli esperti scelti erano quasi tutti favorevoli agli Ogm. Non a caso uno dei convocati, Dorine Stabinsky, americana, ha parlato di “squilibrio”».

Dello stesso parere due gesuiti che operano in Zambia, Peter Henriot e Roland Lesseps, i quali hanno rimarcato: «Gli Ogm non possono trovare riscontro nell’insegnamento della dottrina sociale della chiesa, perché non rispettano né i diritti umani né l’ordine della creazione». Netta anche la reazione dei missionari italiani (Conferenza degli istituti missionari d’Italia, Cimi). Si noti che alla conferenza in Vaticano non c’era nessun rappresentante degli episcopati del Sud del mondo. Mentre sappiamo che gli episcopati sudafricano, brasiliano, filippino e zambiano si sono espressi negativamente sugli Ogm.
Sulla questione, critico anche l’intervento di padre Giulio Albanese, comboniano, direttore dell’agenzia Misna. E anche l’opinione di don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di pace), Lidia Menapace e Francesco Iannuzzelli (Peacelink) che, sulla questione Ogm, hanno inviato una lettera aperta a mons. Martino.

Fonti: Ettore Colombo, www.vita.it (08/01/2004); www.oneworld.net. (02/04/2004)

Silvia Battaglia