Rispetto per la vita

Teologo, pastore evangelico, organista, medico nella foresta africana,
premio Nobel per la Pace, scrittore
di opere di filosofia della religione
e musica… oltre alla sua poliedrica vita, di Albert Schweitzer rimane
sempre attuale il messaggio etico
e l’esempio della sua azione per il «rispetto per la vita».

«L’uomo ha la possibilità di agire in favore della vita o di recarle danno, nei rapporti con il prossimo e nel suo atteggiamento nei confronti della natura, fino a toccare i grandi problemi del nostro tempo: la pace, la crescita sociale, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecologia», così Albert Schweitzer scriveva in Civiltà ed etica nel 1923, un’opera in cui propone considerazioni, suggerimenti e moniti su un argomento che è stato il credo di tutta la vita: il «rispetto della vita», applicato a ogni settore dell’attività umana che entri in contatto con esseri viventi.
Lo stesso principio fu da lui ribadito nel discorso tenuto nel 1953, in occasione del conferimento del premio Nobel per la Pace, e nel famoso Appello all’umanità, discorso sul problema della bomba atomica, lanciato da Oslo nel 1957 e trasmesso in varie lingue da molte reti radio.
Il «rispetto per la vita», come legge morale, mantiene il suo valore, oggi più che mai, per il comportamento del singolo e della società.

INCONTRO CON GLI IPPOPOTAMI

Fin dall’infanzia Schweitzer sentiva grande compassione per gli animali: nelle sue preghiere, prima di addormentarsi, non dimenticava di volgere un pensiero a tutti gli esseri viventi, compresi gli animali.
Grazie all’influsso del «Movimento per la protezione degli animali», sorto negli anni della sua giovinezza, tale sentimento diventò sempre più radicato nella sua coscienza, fino a diventare un autentico assillo, nella convinzione che anche la filosofia morale dovesse prendere in considerazione l’obbligo di un atteggiamento favorevole nei confronti degli animali.
Un giorno del 1915, mentre navigava il lungo fiume Ogooué per recarsi al capezzale di un ammalato, stanco per i tre giorni di viaggio, dovette costeggiare un isolotto. Sopra un banco di sabbia, quattro ippopotami si muovevano pacificamente nella sua direzione: ebbe come un lampo che illuminò un problema che da anni lo assillava: si convinse che un’etica limitata al nostro rapporto con altri esseri umani è incompiuta, parziale e priva di energia; gli venne in mente un’espressione che sintetizzava il suo pensiero morale e filosofico nei riguardi del mondo e dell’esistenza umana: «Rispetto per la vita».
Tale espressione era tradotta nella vita pratica: oltre ad essere vegetariano, il dottor Schweitzer era attentissimo a non calpestare i fiori; nella costruzione dell’ospedale di Lambaréné si preoccupava personalmente che, scavando le fondamenta o le buche per i recinti, non venissero uccisi insetti e lombrichi, fino a scavare con le proprie mani.

VIVERE E FAR VIVERE

Cos’è il rispetto per la vita? come nasce in noi? «Per far luce su se stessi e sul rapporto con il mondo – spiega il dott. Schweitzer – bisogna accantonare la congerie di elementi che costituiscono il nostro pensiero e cultura, per rifarsi al primo fatto della propria coscienza, il più immediato, perennemente presente: la volontà di vivere. Solo da qui può giungere a una visione ragionata del mondo… Affermare la vita è l’atto spirituale con cui si cessa di lasciarsi vivere e si comincia a dedicarsi alla propria vita, per elevarla ai suoi massimi valori. Affermare la vita è approfondire, interiorizzare, esaltare la volontà di vivere… Il rispetto per la vita, nato nella volontà di vivere, divenuta consapevole, contiene strettamente congiunte l’affermazione del mondo e l’esigenza morale. Essa cerca di creare valori e realizzare progressi che giovino all’ascesa materiale, spirituale ed etica del singolo e dell’intera umanità».
Fin dai primi anni del secolo scorso, Schweitzer si dedicò a una lunga ricerca sul pensiero etico dei filosofi degli ultimi decenni, per mettere a fuoco il nostro comportamento nei confronti del creato e fondare razionalmente il suo concetto di rispetto per la vita.
Mentre Descartes dice: «Penso, dunque esisto», ma poi si perde nell’astratto; Schweitzer, rimanendo sul concreto, afferma: «Io sono la vita che vuole vivere, in mezzo alla vita che vuole vivere. Bisogna dunque rispettare la vita. L’uomo morale possiede il coraggio di lasciarsi tacciare di sentimentalismo, ma rispetterà la vita universalmente». Ossia, l’essere umano può chiamarsi «essere etico» soltanto se considera sacra la vita in se stessa, sia quella umana che quella di ogni altra creatura.
Il «rispetto per la vita» nel pensiero di Schweitzer non è una semplice, pur nobile, affermazione di principio, ma una chiave di volta per la modea capacità di giudizio del progresso tecnologico e le sfide culturali che ne derivano. Anzi, tale principio diventa una professione di fede incrollabile: il sì alla vita diventa etica collettiva. Il suo compito primario è la realizzazione del progresso e la creazione di quei valori che possano favorire la crescita materiale, spirituale ed etica del singolo individuo e di tutta l’umanità.
Tale concetto è legato a quello di «moralità» come principio fondamentale. «Un uomo è veramente morale – sosteneva – soltanto quando osserva l’obbligo impostogli di aiutare ogni vita che può assistere e quando si fa scrupolo di uscire dalla sua strada per evitare di danneggiare un essere vivente. Non chiede quanta comprensione meriti questa o quella vita a causa del suo intrinseco valore; neppure chiede di quanta sensibilità sia dotata. Per lui la vita, come tale, è sacra».

LA GUERRA È DISUMANITÀ

Ma con il passare degli anni, analizzando i due conflitti mondiali e relative conseguenze, Schweitzer constatava che la mancanza di umanità era aumentata rispetto alle generazioni precedenti; e affermava: «Siamo venuti in possesso di armi nucleari: la possibilità e la tentazione di distruggere la vita superano ogni limite. Oggi, grazie al grandioso progresso della tecnica, il destino dell’umanità è segnato dalla possibilità di un orribile annientamento della vita». E si domandava come presentare a tutti e in modo nuovo, il problema della pace.
Se un tempo si considerava la guerra un male accettabile, se non addirittura utile per il progresso umano, almeno dei popoli più forti, dopo i due conflitti mondiali tale ipotesi era fortemente messa in dubbio. Il dottor Schweitzer non aveva esitazioni: «È evidente che una guerra rappresenta una orribile calamità e non bisogna lasciar nulla di intentato pur di evitarla; e ciò, soprattutto per una ragione etica. Nelle due ultime guerre ci siamo macchiati delle colpe di un’orribile disumanità, e sarebbe ancora peggio in una guerra futura. Questo non deve avvenire».
Un monito caduto nel nulla: nell’ultimo mezzo secolo le guerre si sono susseguite e intensificate in tutto il mondo. «Quello che oggi ci manca – proseguiva il grande pensatore – è riconoscere che siamo tutti colpevoli gli uni verso gli altri di atti disumani. L’orrenda esperienza collettiva, attraverso la quale siamo passati, deve scuoterci, perché la nostra volontà e la nostra speranza siano impegnate verso tutto ciò che può portare a un’epoca in cui non ci siano più guerre. Questa volontà e questa speranza sono possibili solo se, attraverso uno spirito nuovo, raggiungiamo un’intelligenza superiore, che sia in grado di trattenerci da un uso infausto delle energie di cui disponiamo».
Il suo pensiero non è nuovo. Quattro secoli prima, nel 1517, Erasmo da Rotterdam (1469-1539) aveva pubblicato un volume intitolato Querela Pacis (Lamento della Pace), in cui la Pace (retoricamente personificata) espone al tribunale dell’umanità il suo desolato lamento e chiede di essere ascoltata. Il grande umanista olandese, per primo, ha osato opporsi alla guerra con motivazioni puramente etiche, definendola contraria alla natura umana; ma non ebbe seguaci. Il suo appello alla pace, come imperativo etico, fu considerato un’utopia.
Nel 1795, Immanuel Kant (1724-1804) pubblicò un’opera dal titolo significativo: Per la pace perpetua; per realizzarla, suggeriva il filosofo tedesco, c’è bisogno di un’autorità arbitrale internazionale, che abbia l’autorevolezza di dirimere le controversie tra i popoli.

MASSE DA SPIRITUALIZZARE

Constatava che le istituzioni inteazionali (Società delle nazioni e Onu) non sono state in grado di promuovere una situazione di pace, perché hanno dovuto operare in un mondo in cui manca una mentalità orientata alla realizzazione della pace. «Essendo istituzioni giuridiche, non potevano creare tale mentalità: questo è possibile soltanto allo spirito etico. Kant si sbagliava quando pensava di poter ottenere la pace senza questo spirito etico».
Secondo Schweitzer la pace dipende dalla formazione di tale mentalità nei singoli e nei popoli, la quale consiste nel rifiutare la guerra in base a motivi etici, cioè, perché essa ci rende colpevoli di disumanità.
I tempi di Schweitzer e i nostri attuali si equivalgono: i popoli si sentono tuttora minacciati da altri popoli. «È inevitabile – precisava il premio Nobel nel ricevere il premio – riconoscere ancora ai popoli il diritto di usare, per legittima difesa, le terribili armi di cui disponiamo». Convinto di esprimere la speranza di milioni di persone, che in molte parti del mondo temono per la pace, concludeva: «Quelli che tengono in mano il destino dei popoli possano riflettere, per evitare tutto ciò che potrebbe peggiorare la situazione in cui ci troviamo e metterci in ulteriore pericolo, e possano prendere a cuore quella meravigliosa parola dell’apostolo Paolo: “Per quanto sta in voi, siate in pace con tutti”».
La figura di Albert Schweitzer e il suo concetto di «rispetto per la vita», sono più che mai attuali, fonte di ispirazione per chi lotta per conservare la propria umanità: un bene da tutelare a ogni costo. Ma è una lotta che non si combatte unilateralmente, è la spiegazione sottile ma concreta del filosofo alsaziano. «Essa chiama a riflettere sul fatto che molta umanità e molta libertà interiore possono conciliarsi con la realtà della propria vita, ben più di quanto di fatto si realizzi. È una lotta che spinge a conservare, se qualcuno vi avesse rinunciato, la meditazione e il raccoglimento interiore. Bisogna arrivare a una spiritualizzazione delle masse. Ogni singolo deve giungere a riflettere sulla sua vita, su ciò che vuole ottenere per la propria vita mediante la lotta per l’esistenza, sulle difficoltà legate alle circostanze estee e su ciò a cui è disposto spontaneamente a rinunciare».

Non c’è dubbio che, nei decenni passati, il filosofo alsaziano ha contribuito allo sviluppo storico e spirituale del nostro tempo, che ne rispecchia le tendenze, le speranze, le angosce. Il principio del «rispetto per la vita» è ancora un’affermazione che obbliga tutti, in qualunque situazione si trovino, a occuparsi e farsi carico del destino degli esseri umani. Responsabilità che si traduce in vari modi e vari nomi: nonviolenza, pacifismo, neutralità, difesa dei popoli, impegno per la giustizia, salvaguardia del creato.

(*) Gioalista scientifico, addetto stampa
Associazione Italiana Albert Schweitzer

Eesto Bodini

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