L’1 maggio 2004, entreranno in Europa 620 mila greco-ciprioti; 180 mila abitanti di origine turca dovranno attendere ancora.
Ma nel muro, che da 30 anni li divide, si è aperto uno spiraglio di speranza.
Sta crollando l’ultima vergogna dell’Europa? Nel muro, che dal 1974 divide l’isola di Cipro e le etnie greca e turca, è stata aperta una prima breccia, permettendo alle due comunità di visitare le zone prima a loro proibite. La storica decisione presa da Rauf Denktash, presidente dell’autonominata Repubblica Turca di Cipro Nord (riconosciuta solo dalla Turchia) «potrebbe essere un passo decisivo verso la soluzione del problema dell’isola» ha dichiarato Walter Schwimmer, segretario generale del Consiglio d’Europa.
Ma Kypros Chrisostomides, portavoce del governo della Repubblica di Cipro, ha subito raggelato gli entusiasmi, affermando che «la decisione (di Denktash) è illegale; è un tentativo di sviare l’attenzione della comunità internazionale sulla illegittimità dell’occupazione turca nella parte settentrionale dell’isola. Il muro non sta cadendo e questo non è il modo per risolvere i problemi di Cipro».
Tali problemi sono la presenza di 40 mila soldati turchi e 100 mila coloni immigrati dalla Turchia, stanziatisi nel nord dell’isola dopo il 1974, occupando case e terreni appartenenti ai greco-ciprioti fuggiti al sud. Le forze di destra greco-cipriote si sono scagliate contro l’apertura e hanno sconsigliato i greco-ciprioti di entrare al nord, mentre il quotidiano in lingua greca Phileleftheros ha chiesto al governo di adottare misure di sicurezza, per prevenire infiltrazioni di agenti turchi al sud, definendo criminale il regime turco-cipriota.
Al di là della retorica del dialogo, la mossa di Denktash è stata dettata dalla necessità di recuperare la fiducia di migliaia di turco-ciprioti, scesi in piazza chiedendo le sue dimissioni, dopo il suo rifiuto al piano di Kofi Annan. Proposto nel marzo 2003, tale piano prevede un modello di confederazione simile a quello svizzero.
Inoltre, la decisione di tale apertura è giunta una settimana dopo la visita del primo ministro greco Costas Simitis, che sanciva la firma dell’ammissione della Repubblica di Cipro alla comunità nel 2004.
A tal proposito, Simitis ha parlato di «enosis di Cipro all’Ue», suscitando vivaci proteste da parte turca: nell’isola la parola enosis (unione) è storicamente intesa come annessione alla Grecia. La gaffe di Simitis ha riproposto il problema dell’indipendenza nazionale, anche se George Vassiliou, capo delegazione cipriota per i colloqui d’integrazione, in un’intervista rilasciataci in esclusiva (vedi pag. 38), ha affermato che «a Cipro non esiste alcuna idea di enosis, come non c’è nessuna possibilità che la parte turco-cipriota raggiunga l’integrazione con la Turchia».
La preoccupazione del presidente greco-cipriota, Tassos Papadopouls, è soprattutto diplomatica: le migliaia di greco-ciprioti che, incuranti delle raccomandazioni del governo, si sono riversati al nord devono mostrare alle autorità della parte settentrionale il proprio passaporto, come se stessero entrando in un paese straniero; mentre la polizia greco-cipriota richiede ai turco-ciprioti diretti al sud l’esibizione della sola carta d’identità.
Ma la libera circolazione della popolazione ha avuto anche un effetto boomerang imprevisto per le autorità turche: approfittando della possibilità di varcare il muro, molti abitanti della parte settentrionale hanno richiesto il passaporto della Repubblica di Cipro, che permetterebbe loro di circolare liberamente in Europa e nel mondo intero.
La cicatrice che sfregia l’isola di Cipro sembra abbia finalmente iniziato a rimarginarsi. L’Onu, che da anni preme affinché le due parti riescano a trovare un accordo che ponga fine alla costosa presenza del contingente di 1.400 persone dell’Unificyp (45,6 milioni di dollari Usa annui), non deve lasciarsi sfuggire questa occasione, per riabilitarsi di fronte alla comunità internazionale dopo il disastro iracheno.
Piergiorgio Pescali