Clericalismo

Egregio direttore,

ritorno sull’argomento «clericalismo» non per polemica, ma per favorire un libero dibattito sul «laicato missionario».

La Civiltà Cattolica, nel recensire il volume del sacerdote Gian Franco Poli «Osare la svolta», ha scritto: «La svolta che bisogna avere il coraggio di fare deve essere ampia e profonda…».

Con molta amarezza, dopo aver letto il volume citato ed altre opere sull’argomento, devo concludere che è di attualità la frase del vangelo dove si parla di scribi e farisei: «Fate ciò che dicono e non quello che fanno, perché non fanno ciò che dicono».

È tuttora estraneo al pensiero e alla mentalità della maggioranza del clero secolare e regolare la necessità di valorizzare i laici, riconoscendo concretamente il loro ruolo di autentici collaboratori all’attività della chiesa (cfr. 1 Corinti 12, 24-25).

Non demorda, signor Ferruccio. La sua giusta causa è avallata anche dal magistero della chiesa.
Tenga pure conto delle osservazioni di un missionario, che affermava: non servono né «chierici» né «laici» (Missioni Consolata, maggio 2003).

Ferruccio Gandolini




Idiozie e idioti

Spettabile redazione,

da tempo ho modo di apprezzare il vostro lavoro, ma lo stimolo per dirvelo mi viene dall’articolo di Giulietto Chiesa su Missioni Consolata, settembre 2003. A lui e a voi va la mia solidarietà.

Condivido ogni riga di Chiesa (insegno storia e qualcosa ne so), ne dico bene e benedico la sua semplice, lineare lucidità e obiettività. Forse Giulietto non voleva concludere amaramente la sua pagina, ma l’epilogo coerente con l’articolo non sembra essere l’ottimistica constatazione che «l’Italia di oggi sia ben migliore di quella delle leggi razziste e di quella del 1939».

Oggi l’Italia dovrebbe essere migliore, proprio perché è passata attraverso le cose di allora e non ci si può più nascondere dietro l’ingenuità della prima volta. I fatti del ’39 si mostravano da prima, e si mostrano oggi. Ma al presente c’è una rabbiosa, pericolosa voglia di rivincita verso «la cultura che ha imposto la sua egemonia dal dopoguerra a oggi», e che ha impedito che si potessero dire idiozie come quelle del signore di Perugia.

Ben venga quell’egemonia culturale! Peccato, invece, che tale cultura non sia riuscita a divenire patrimonio genetico degli italiani. L’Italia qualunquista, impolitica e fascistella sta rialzando la testa? Forse non siamo migliori di allora. E spiace constatare che ciò avvenga anche tra i lettori di una rivista come la vostra: il che lascia supporre si tratti di gente anche caritatevole e pronta a spandere lacrime sui negretti malnutriti, ma non un pensiero sulle cause e sui possibili rimedi, che sono (e sono!) economici e politici, non estemporanei e caritatevoli. Per non parlare del vangelo.

Ma di questo non sempre si parla negli ambienti cattolici.

Tutti possiamo incappare in qualche idiozia, ma nessuno è idiota.

Claudio Belloni




Serenate nostalgiche

Cari missionari,

era necessario, per mantenersi «progressisti e anticonformisti», assumere Giulietto Chiesa? Siamo ancora legati al pregiudizio che essere marxisti o di estrazione marxista sia garanzia di apertura mentale?
L’affermazione che fu la Russia ad abbattere la dittatura nazista richiede una precisazione. Con la battaglia di Stalingrado si decisero le sorti della potenza militare germanica, non l’avvento della libertà dopo il nazismo: in molti stati liberati ci fu la sostituzione con una dittatura altrettanto feroce. Quanto ai 20 milioni di morti russi, essi non furono vittime del conflitto, ma delle «purghe» del sistema marxista (leggere «Il libro nero del comunismo»).

Sono stanca di serenate nostalgiche ad un’ideologia aberrante e dalla complicità ideologica con i suoi ultimi esponenti…

Giulia Guerci

Ci sforziamo di essere evangelici, non anticonformisti. Né siamo di estrazione marxista: l’abbiamo affermato, ancora una volta, con l’editoriale di maggio prendendo le distanze, per esempio, da Fidel Castro.

Giulia Guerci




Una pace che non dà pace

Cari amici di Missioni Consolata, prima di tutto vogliamo ringraziarVi per le attestazioni di simpatia con cui avete accolto il numero speciale della nostra rivista su «La guerra. Le guerre». Non ci aspettavamo una risposta così straordinaria: per telefono, posta e via elettronica, abbiamo ricevuto tante testimonianze di apprezzamento, alcune delle quali pubblicheremo nel numero di gennaio.

Qualcuno ci ha detto che siamo stati coraggiosi. Diciamo semplicemente che abbiamo fatto il nostro dovere, un servizio alla pace e alla verità, perché «la pace ha bisogno di verità – scriveva Giovanni Paolo ii nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1980 -. Verità significa, anzitutto, chiamare col proprio nome l’omicidio e i massacri di uomini e donne, qualunque sia la loro appartenenza etnica, chiamare col loro nome la tortura e tutte le forme di oppressione e di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, dell’uomo da parte dello stato, di un popolo da parte di un altro popolo».

Tempo fa, Beppe Grillo disse che «ormai restano poche voci a cantare fuori dal coro: quelle dei comici e dei missionari». Ne siamo lusingati; ma diciamo che sono tante, prima tra tutte quella del papa; anzi, è una schiera innumerevole di persone di ogni etnia, popolo e nazione che, a gran voce, condanna la guerra e chiede la pace. E ci siete anche voi, cari lettori, perché siete convinti, come noi, che la prima vittima della guerra è la verità.

Come ogni anno, il natale di Cristo Signore fa risuonare il suo annuncio: «Pace in terra agli uomini di buona volontà». Non si tratta, però, di una pace qualsiasi, che si acquista al supermercato, fatta di pacchetti, nastri e palle colorate, ma di quella vera, totale, che viene solo da Dio. È dono suo; anzi, è beatitudine da chiedere, accogliere, coltivare, costruire: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».

Ma non la si costruisce con la potenza e la prepotenza delle armi. Non basta disarmare le mani, come ci ricorda spesso il papa; ma occorre «disarmare le coscienze e i cuori», dove si annidano i nemici della pace: egoismo, odio, vendetta, prepotenza, menzogna, ingiustizia…

Dalla grotta di Betlemme al Calvario, il Dio della pace non si presenta con il braccio armato, ma nell’umiltà e nello svuotamento, nella mitezza e nel perdono, in una parola, nell’amore.

Per i credenti, e per ogni uomo di buona volontà, le armi della pace si chiamano: giustizia, solidarietà, mutua convivenza, accoglienza reciproca, ascolto e stima dell’altro, accettazione, perdono, riconciliazione, dialogo a tutti i livelli…

«La pace, prima che traguardo, è cammino, cammino in salita. Ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere partito, ma chi parte» (don Tonino Bello).

Buon natale, cari amici lettori. In voi e attorno a voi trabocchi la pace, quella vera, che viene dall’alto, annunciata e promessa a tutti gli uomini di buona volontà.

Ricordiamo, però, che tale pace è dono dinamico, che «non lascia in pace», ma rimette in marcia.

Benedetto Bellesi

Benedetto Bellesi