ITALIA – Omar la piccola sentinella padana

 Un bimbo di 10 mesi morto di polmonite. È una storia del «Quarto mondo», quel mondo dell’esclusione
nato accanto alle nostre case.

Seguendo le acque del Po, che dalle sue sorgenti man mano scende formando la pianura Padana, laggiù sul versante sinistro e fino alle Alpi si estende il Nord-est. Chi lo conosce, sa bene che l’Adige, il Brenta, il Sile e il Piave, il Livenza e poi il Lemene fino ad arrivare al Tagliamento, attraversano queste terre fertili, dove crescono la barbabietola da zucchero, il mais, la soia ed oggi enormi vigneti, un numero infinito di case e casette, innumerevoli paesi e paesini, distese di capannoni industriali e insediamenti turistici. Una regione percorsa da strade (mai all’altezza del traffico che sopportano) e solcata da un’autostrada che collega l’Est europeo con l’Italia, la Francia e la Spagna e che ogni giorno si intasa di auto e camion.
Terra di piccola industria e grande turismo, di emigrazione e immigrazione, di povertà trasformata in ricchezza, di ricchezza ostentata e nascosta, di cultura e provincialismo, di dialetti ed eventi inteazionali, di solidarietà e abbandono, di generosità, ma anche di razzismo.

Terra di antica fame e di altrettanto antica malaria, pellagra e tubercolosi, di antico latifondismo, di cultura contadina, terra di vita e di morte come ogni terra. Terra di città senza piazze, ma costellata di villette, di paesi antichi circondati da periferie unite da strade provinciali, di ville storiche e nobiliari nascoste da obsoleti petrolchimici o trasformate in hotel, ristoranti e centri congressi. Terra di mia madre e mio padre, oggi terra anche mia.

UNA MORTE EVITABILE

Al nord-est del Nord-est, fra il Piave ed il Livenza, a pochi chilometri dalle spiagge di Jesolo, Caorle e Bibione, frequentate da austriaci, tedeschi, ungheresi e polacchi, a pochi passi dall’autostrada e dai capannoni industriali che sorgono uno dopo l’altro lungo la statale triestina, è vissuto poco ed è seppellito Omar, la «piccola sentinella padana».

Nei primi giorni di agosto, quando il caldo imperversava su tutta Europa e mieteva le sue vecchie vittime nelle grandi città, moriva Omar. Avrebbe compiuto 10 mesi di lì a pochi giorni; era figlio di una madre giovane, ma già con esperienza; viveva con i genitori, il fratello, i cugini, gli zii, i nonni, in una grande famiglia immigrata nel nostro paese da tanti anni.
Omar aveva il suo pediatra di base, la sua tessera sanitaria, il sistema che era pronto a proteggerlo ed a farlo crescere sano e robusto come tutti i bambini hanno diritto di fare. Invece, Omar è morto. A nemmeno 10 mesi, è morto di polmonite.

No, non dico niente, non posso dire niente. Lo specialista di pronto soccorso, il rianimatore, il pediatra e gli infermieri che lo hanno soccorso non potevano fare più niente. Era già morto.

Omar è morto, come si muore nel (mio) Perù, come si muore in Africa e in molti paesi dell’Asia. Come si muore nel Terzo mondo. Come un bambino, in Europa, non dovrebbe mai morire (perché mai è accettabile la morte di un bambino in un paese e non in un altro?).
Omar è morto, semplicemente perché non è stato in grado, lui, i suoi genitori, i suoi zii, i suoi nonni di utilizzare il sistema socio-sanitario di cui faceva parte con tutti i diritti. Omar è morto perché il sistema sanitario che hanno costruito i nostri padri con lotte di tanti anni, che finanziamo con il lavoro di noi tutti, che curiamo con tanta professionalità ed abnegazione (anche in mezzo a mille quotidiane polemiche), che difendiamo da volontà di risparmio e di privatizzazione… non si è reso conto di lui e della sua particolare debolezza.

Omar è morto come sono morti le migliaia di anziani in tutta Europa: per l’abbandono e l’indifferenza.
Era una morte evitabile e, come tale, ancor più per un piccolo bambino, è da considerarsi nell’epidemiologia (la scienza che studia cause e diffusione delle malattie nella comunità), come un «evento sentinella» di qualche cosa che non ha funzionato a dovere. Omar è diventato la «piccola sentinella padana».

IL «QUARTO MONDO»

Esiste oramai il «Quarto mondo», ovvero il mondo dell’esclusione all’interno del Primo mondo. In altri termini, il Terzo mondo che si è spostato nel Primo, con le persone che vi vivono come fossero nel Terzo, ma senza quella solidarietà che, spontaneamente, sorge tra pari e che, viceversa, sparisce quando tra pari non si è più.

È il mondo che non vediamo o che non vogliamo vedere, quello non più clandestino, ma ancora non integrato, che ha paura di chiedere aiuto e di utilizzare i meccanismi socio-sanitari che per noi sono un diritto scontato e preteso.

Non è un problema economico (la sanità è pressoché gratuita per bambini ed anziani), non è un problema di razzismo (i diritti sono pari a quelli di noi che siamo vissuti e cresciuti in queste terre), non è un problema di povertà (nella famiglia lavoravano in molti), è piuttosto un problema sociale e culturale.

Sociale perché, pur in mezzo a noi, non vivono con noi ma solo al nostro fianco ed in silenzio, come ombre a volte fastidiose e sfuggenti. Culturale perché hanno un timore per la nostra società, per i nostri servizi che noi usiamo quasi senza neanche accorgerci, per i nostri diritti che non sempre conoscono e per i nostri doveri che abbiamo imparato fin da bambini.

E, in questo Quarto mondo, piombano venendo da paesi lontani o vicini, scossi da guerre e catastrofi, da povertà e sofferenza e vanno ad aggiungersi al Quarto mondo nostrano, fatto di anziani abbandonati, di gente caduta per malattie fisiche e mentali, violenze, droga o alcornol. Un Quarto mondo senza frontiere, che vive al nostro fianco e che non vediamo, appena scalfito dal volontariato, ma irrecuperabile in una società che esclude chi non produce, chi è inutile, chi è di peso o chi è diverso (non per scelta, ma costretto da mille storie diverse).

Forse è per questo che il tasso di mortalità infantile in Italia e in Europa è sceso fino a livelli più bassi che negli Stati Uniti; loro sono «più avanti» di noi ed hanno oramai un Quarto mondo di grandi dimensioni, che convive con la loro opulenza.

È un Quarto mondo dove alcuni nascono, vivono e muoiono; altri vi piombano; altri ancora, più fortunati, riescono ad uscie. Un Quarto mondo che non solo è fatto di vittime, ma che è anche generatore di violenza e soprusi. Nasconderlo è inutile, trasformarlo difficile.
Che la «piccola sentinella padana» ci aiuti a riflettere.

Guido Sattin