Padre F. J. Couto e Mugabe

Caro direttore,
nel luglio-agosto scorso la
sua rivista ha pubblicato
«Soliloquio africano» di
FILIPE J. COUTO (FJC), riguardante
lo Zimbabwe.
L’autore ringrazia: è dal
1969 che egli scrive, esprimendo
anche pareri non
sempre condivisi dalla redazione…
Però, nel caso
dell’articolo citato, c’è stata
una piccola confusione
che è bene chiarire.
L’articolo di FJC è preceduto
da un’introduzione
dove si legge: «Non
comprendiamo… perché
certi presunti padri della
patria (in Africa) debbano
continuare impunemente
a commettere delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali».
FJC non ha scritto questo.
Egli suggerisce di
considerare Mugabe, presidente
dello Zimbabwe,
«padre della patria». Afferma
che Mugabe non intende
fare la fine di Kaunda,
presidente dello Zambia:
cioè «non vuole
affrontare rappresaglie,
processi giudiziari o prigione;
perciò non se ne
andrà senza garanzia d’immunità»; si afferma che è
«saggezza democratica accordargliela». L’articolo
prosegue: «La democrazia
reale è fatta di compromessi,
non solo in Africa».
FJC propone una soluzione
politica offrendo una
«garanzia d’immunità»
a Mugabe. Però non dice
che Mugabe debba «continuare
impunemente a
commettere delitti e soprusi
contro i propri cittadini
», come si legge nell’introduzione
all’articolo.
FJC ritiene che sia la redazione
autrice di tale affermazione.
FJC pone alcune domande:
– Perché non si è detto esplicitamente
(come in
passato) che l’affermazione
era della redazione?
– La redazione ha le prove
che Mugabe sta «impunemente
commettendo delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali»?
– Può la redazione, a beneficio
di dubbio, tollerare la
seguente opinione di FJC:
cioè che su Mugabe, politico
e presidente dello
Zimbabwe, si dicono troppe
cose negative e che,
quindi, non bisogna credere
subito a tutto ciò che
si dice su di lui?…
Ora parlo in prima persona:
tutti vogliamo contribuire
alla soluzione dei
problemi in Africa. La nostra
rivista missionaria
può fare molto, ma sono
necessarie affermazioni
basate su una «sostanza
reale», e non su ciò che
sentiamo dalla radio e dalla
cronaca politica.

1. Da sempre le introduzioni
(o sommari) agli
articoli di Missioni Consolata
sono opera della
redazione.
2. Che alcuni «padri
della patria» siano stati
personaggi negativi è documentato
dalla storia: si
pensi a Mobutu in Zaire,
Bokassa in Centrafrica,
Barre in Somalia… Però
non ignoriamo i «padri
della patria» onesti (pur
con i loro limiti), come
Nyerere in Tanzania o
Senghor in Senegal.
Nel caso di Mugabe, egli
è stato attaccato anche
da Pius Nkube, arcivescovo
di Bulawayo, oltre
che dai mass media (secondo
The Economist
Global Agenda, 13 marzo
2002, la vittoria del presidente
nelle elezioni del
2002 fu un furto).
Le riflessioni di FJC sono
sempre gradite: essendo
anche discutibili, stimolano
la riflessione e il
pluralismo.

Filipe J. Couto




Il team «Mongolia»

Cari missionari,
complimenti per la scelta
del «team Mongolia»: due
uomini e due donne. Siete
in evoluzione, «crescendo
nella consapevolezza della
volontà di Dio».

Nel frattempo i missionari
sono diventati sette:
quattro donne e tre uomini
(4 Italia, 2 Argentina,
1 Colombia).

Sheila Warren




TOCCA A LULA!!

Dal 1° gennaio il Brasile ha un nuovo presidente:
Luis Inácio da Silva, soprannominato
Lula, vincitore delle elezioni presidenziali
tenute lo scorso ottobre, candidato del
Partido dos trabalhadores (Pt). Il 39° presidente
della Repubblica brasiliana proviene dalla classe
dei poveri e degli emarginati: è la prima volta
nella storia del paese.
Dopo tre tentativi andati a vuoto (nel 1990,
1994 e 1998), Lula sembrava deciso a gettare la
spugna, come confessò in un’intervista rilasciata
alla nostra rivista nel 1999 (cfr. M.C. dicembre
’99). Ci ha riprovato e i brasiliani ne hanno premiato
carisma e caparbietà; soprattutto, hanno
dato credito al programma condensato nel motto
elettorale: «Per un Brasile decente».
Contro la più grande concentrazione al mondo
di latifondi, Lula ha promesso la riforma agraria a
favore di centinaia di migliaia di famiglie «senza
terra»; a oltre 34 milioni di persone che vivono
con meno di un dollaro al giorno ha dichiarato
«zero fame»; ad altri milioni al di sotto della soglia
della povertà ha assicurato una più equa distribuzione
delle ricchezze; di fronte al dilagare della criminalità
organizzata e di quella spicciola ha promesso
di garantire la sicurezza di tutta la popolazione;
di fronte a un’economia alla deriva ha
dichiarato guerra alla corruzione.
Per garantirsi il sostegno delle classi medie e
medio-alte e per non allarmare i «poteri forti»,
Lula ha fatto capriole ideologiche: ha moderato la
sua abituale retorica contro il capitalismo, Stati
Uniti e istituti finanziari inteazionali, ha abbracciato
vari principi dell’economia di mercato,
ha abbandonato l’intenzione di rifiutare il pagamento
del debito estero e di rompere i rapporti col
Fondo monetario. Idee che hanno causato travasi
di bile ai più radicali leaders del suo partito.
«Più che povero, il Brasile è un paese ingiusto»
ha affermato il suo ex rivale F. H. Cardoso. Forse
per questo anche i «poteri forti» gli hanno dato
credito, convinti che prendersi cura dei poveri,
combattere l’analfabetismo, riformare la distribuzione
della terra e delle pensioni, non mettono a
rischio i loro interessi. Anzi.
I l 1° gennaio in tutto il mondo si celebra la
Giornata mondiale della pace: sia di buon auspicio
anche per Lula e il popolo brasiliano.
Nel messaggio per tale occasione, Giovanni
Paolo II ripropone i valori dell’enciclica Pacem in
terris, pubblicata 40 anni fa da Giovanni XXIII e
indirizzata a «tutti gli uomini di buona volontà»,
per costruire un’autentica convivenza umana.
Anche Lula appartiene a questa categoria e tali
valori, come «bene comune, diritti umani fondamentali,
verità, giustizia, carità, libertà», fanno
parte del suo programma di governo.
Fare in modo che, come diceva Giovanni XXIII,
non rimangano «solo un suono di voce», non è facile
neppure in Brasile. Cinque secoli di squilibri e
ingiustizie non si risolvono con un decreto presidenziale.
Lula lo sa.
I pericoli ci sono, dentro e fuori: c’è il conflitto
tra la cruda realtà e le aspettative della gente;
ci sono le resistenze del mondo finanziario e
imprenditoriale. Lo «zio Tom» gli ha fatto tanti
auguri, ma lo aspetta al varco, pronto a stringere i
cordoni finanziari.
Egli sa pure che la sua elezione è un’occasione
storica per il suo paese e tutta l’America Latina, da
oltre 20 anni laboratorio mondiale del liberalismo
più selvaggio. Il Brasile potrebbe diventare il laboratorio
per un mercato dal
volto umano e uno sviluppo
sostenibile.
Sempre che Lula
riesca a mantenere
le promesse.
«Ce la faremo
» ha detto il
neopresidente il
giorno della vittoria.
Glielo auguriamo
di cuore,
per il bene dei brasiliani
e di tutti i latinoamericani!

BENEDETTO BELLESI