Il mondo del «non profit»

Cari missionari,
esiste un mondo, dove si
lavora in sordina, senza
pretendere «posti al sole»,
un mondo criticato da chi
non lo conosce ed elogiato
da chi vi opera. Un «mondo
sommerso», che tuttavia
sostiene l’economia
vera con ideali veri, come
quello del «non profit».
È il mondo delle cornoperative
e dei consorzi sociali,
che si inseriscono nel lavoro
dei «grandi» con
«pietre scartate» dal «sistema
». È il mondo di chi
affronta i problemi senza
puntare esclusivamente al
tornaconto personale e investe
tempo come pochi
altri. È il mondo anche dei
«disgraziati»: carcerati,
handicappati, drogati, sieropositivi.
Comunità, cornoperative e
consorzi sociali stanno lavorando
con buoni esiti e
con persone qualificate,
che sentono il lavoro come
vocazione, e non solo
come fonte di guadagno.
Come sono strutturate
queste realtà? Le comunità-
alloggio offrono un
supporto psico-educativo
e un lavoro nella stessa comunità
(tui di pulizia, di
cucina e interventi specifici
di sostentamento). Le
cornoperative e i consorzi,
oltre al supporto educativo,
offrono un lavoro secondo
la specializzazione
professionale di chi vi opera
(si va dal settore agricolo
a quello informatico).
Economicamente come
sono gestite? Da convenzioni
regionali o comunali,
ma soprattutto si reggono
su lavori che gli utenti
del gruppo svolgono: lavori
scartati dal «nostro
mondo lavorativo», perché
umili, poco rimunerativi;
lavori che non si offrono
a nessuno, perché
troppo costosi per aziende
professionalmente preparate.
Tuttavia se un datore di
lavoro, quando la mano
d’opera è costosa, la cerca
in una cornoperativa sociale…
può anche trovarsi
soddisfatto.
Terminando l’anno in
attivo, s’investe una parte
dell’utile per migliorare la
comunità o cornoperativa
(strumenti tecnici più modei
per rendere il lavoro
meno faticoso, oppure educatori
laureati in scienze
dell’educazione, che seguono
gli utenti).
I direttori di questo
mondo, se prendono il loro
lavoro come una vocazione,
possono scoprire
nuovi orizzonti e nuove
mete da raggiungere. Allora
sì che si fa qualcosa di
socialmente utile…
Oggi tutti lamentano uno
stress, la malattia della
presente civiltà meccanica.
Già negli anni Cinquanta
esisteva una bevanda pubblicizzata
come il rimedio
«contro il logorio della vita
modea».
Nel lessico quotidiano
lo stress ha assunto una
connotazione generica;
più che ad una malattia,
allude ad una disposizione,
che con varie sfumature
passa dal «viola» del
soggetto (un po’ nervoso)
al «nero» del «malato»
(chiuso nel cerchio della
sofferenza).
Viviamo tempi che mettono
a dura prova l’animo
di tutti. I motivi per alzarsi
dal letto la mattina diventano
sempre più difficili
da intrecciare; il senso
del dovere (che in passato
agiva da farmaco), sembra
essersi perso, lasciando il
posto ad un’«autorealizzazione
» di cui tutti parlano,
ma che nessuno sa esattamente
mostrare.
Non intendo fare l’apologia
del mondo sotterraneo:
anche in questo, infatti,
esistono «nodi» irrisolti.
Tuttavia chi vive in
questo mondo appare meno
esposto allo stress.
Non è poco.

Siamo grati all’amico
Giovanni, già volontario
in Zaire (oggi Congo) con
i missionari della Consolata,
per la sua riflessione
sul mondo «non profit».
Un mondo meno «stressato
», dove non si esclude
il profitto. Un mondo
«socialmente utile».

Giovanni Fumagalli




«LE RADICI DELL’ODIO» E… NOI

Caro direttore, sono un professore di storia presso
l’Università di Torino, ora felicemente in pensione,
e sono lieto di presentarle il mio libro «Le radici
dell’odio». Si tratta, purtroppo, di una amarissima indagine
sul comportamento delle Società multinazionali
(e dei governi che le sostengono) a danno dei paesi
poveri del Terzo e Quarto Mondo. So che è un tema che
sta molto a cuore anche ai missionari e alla sua rivista.
Non a caso il mio libro è largamente debitore, tra le
tante fonti usate, a testimonianze, lettere e corrispondenze,
pubblicate dalla rivista Missioni Consolata.
Sono certo, signor direttore, che lei comprenderà
con quanta soddisfazione vedrei il mio libro segnalato
sulle pagine della sua rivista, sempre che venga giudicato
degno. Grazie.
Un cordiale saluto e un augurio di buon lavoro.

Il libro in questione è: Le radici dell’odio (Nord e Sud
ad un bivio della storia), Edizioni Dedalo, Bari 2002,
euro 14,50. L’autore, RENATO MONTELEONE, ripercorre la storia
dei popoli dominanti e subaltei dal colonialismo ottocentesco
fino ai nostri giorni, cercando la soluzione della
tragedia «odio» nelle pieghe della storia… Ed è con viva
soddisfazione che abbiamo registrato almeno otto citazioni
di Missioni Consolata.
Il libro del professore si impone per la tensione etica,
alimentata da speranza, con cui affronta i problemi. Sono
eloquenti le righe finali, dove
cita Petr Lavrov, militante
del partito populista russo
ed esule dal regime zarista.
«Ogni comodità di cui
godo – confessa Lavrov -, ogni
pensiero che ho il piacere
di formulare e acquisire,
è acquistato col sangue,
con le sofferenze e la fatica
di milioni di persone».
Il volume è acquistabile
anche presso LA LIBRERIA
«MISSIONI CONSOLATA», Via
Cialdini 2/A -10138 Torino
(tel: 011/447.66.95;
e-mail: libmisco@.it).

RENATO MONTELEONE




La «charta magna» delle BEATITUDINI

T orino, santuario della Consolata. La
coice è quella delle occasioni solenni.
Il tempio risplende di cascate di luci,
che si rinfrangono sui marmi multicolori e
preziosi. L’altare maggiore è ammantato di
gigli dall’intenso e inconfondibile profumo. È
il 19 maggio 2002, solennità di Pentecoste…
con l’apostolo Pietro, gli altri apostoli, la madre
di Gesù e alcune donne che annunciano
la discesa dello Spirito Santo.
Pietro e compagni sbalordiscono gli ascoltatori,
non solo per il contenuto del loro messaggio,
ma anche perché parlano in aramaico,
mentre l’uditorio è composto da «parti, medi, elamiti»… piemontesi e siciliani, cinesi e
tibetani, russi e ceceni, palestinesi e israeliani,
americani, indiani, australiani…
E tutti capiscono…
Nel santuario torinese pregano il cardinale
Crescenzio Sepe (massimo responsabile dell’evangelizzazione
dei popoli), il vescovo
Mino Lanzetti (che rappresenta l’arcivescovo
Severino Poletto), i superiori dei missionari e
delle missionarie della Consolata. Ma gli occhi
dei numerosi fedeli sono puntati sui padri
Paolo Fedrigoni e Giorgio Marengo, le suore
Lucia Bartolomasi e Maria Inés: sono «della
Consolata», stanno per ricevere il crocifisso
e partire per la Mongolia.
S antuario della Consolata, maggio
1902. Il cardinale Agostino Richelmi
consegna il crocifisso ai primi quattro
missionari della Consolata in partenza per il
Kenya. Sono «figli» di Giuseppe Allamano,
rettore del tempio, oggi «beato»; appartengono
all’Istituto Missioni Consolata, che
l’Allamano ha fondato dopo aver miracolosamente
superato una gravissima malattia. E
raggiungono ii kikuyu del Kenya.
Sull’allora carta geografica del paese africano
compare anche «hic sunt leones» (questa
è terra di leoni). I leoni ci sono, eccome! Ma
il Kenya è abitato soprattutto da uomini e
donne: r meru, samburu, turkana, borana, rendille, el molo, luo…
I missionari della Consolata li incontreranno
tutti per annunciare le beatitudini di Dio.
Questo «numero speciale»
KENYA, AMORE NOSTRO
insegue una (stra)ordinaria missione.

Dunque 100 anni sono trascorsi dalla
prima partenza dei missionari per il Kenya. «Dal 1902 ad oggi ogni missionario
della Consolata – afferma il cardinale
Sepe – parte idealmente da questo santuario;
parte con l’intento di vivere la missione ad
gentes con le caratteristiche suggerite dal titolo
“Consolata”, consegnato dal fondatore
Giuseppe Allamano come principio ispiratore
dell’attività: “elevare” la condizione delle
persone attraverso l’annuncio del vangelo, la
promozione umana, la difesa dei diritti umani,
la lotta contro le ingiustizie; incontrare la
gente e stare con essa, specialmente con chi è
emarginato, solo, triste, sfruttato; preoccuparsi
delle sue necessità e mirare al bene integrale
delle persone».
Al presente i missionari e le missionarie della
Consolata sono circa 2 mila, presenti in 25
nazioni: in Africa, nelle Americhe, in Asia, in
Europa. E oggi puntano verso le sterminate
steppe del mitico Gengis Khan, con una piccola
squadra multiculturale (vi sono pure una
colombiana e un argentino). È «una partenza
insieme»: non a caso per l’Asia, dove vive e
soffre la stragrande maggioranza dei non cristiani.
«La Pentecoste continua oggi – prosegue il
cardinale -. La consegna del crocifisso a questi
missionari ci ricorda che il dovere di annunciare
il vangelo in ogni parte del mondo è
di tutti i battezzati. “Non possiamo starcene
tranquilli – afferma pure Giovanni Paolo II –
di fronte a milioni di fratelli e sorelle, anch’essi
redenti dal sangue di Cristo, che vivono
ignari dell’amore di Dio. Per il singolo credente,
come per l’intera chiesa, la causa missionaria
deve essere la prima, perché riguarda
il destino eterno degli uomini e risponde
al disegno misterioso e misericordioso di
Dio” (Redemptoris missio, 86)».
È«lo zoccolo duro» o «la natura» della
chiesa cattolica, che è tale (cioè universale)
solo se missionaria. Lo ribadì con
forza il Concilio ecumenico Vaticano II, che 40
anni fa (l’11 ottobre 1962) aprì i battenti per
celebrare l’evento ecclesiale più significativo
del secolo.
Un evento attualissimo, per rilanciare la pace
e la giustizia, il dialogo interculturale, la libertà
religiosa, senza tuttavia demordere dall’annunciare
Gesù Cristo.
Ma la missione non è un andare a senso unico:
è «andata e ritorno». Così, Joseph Gitonga,
Reuben Kanake e James Lengarin (rispettivamente kikuyu , meru e samburu) sono missionari
della Consolata in Italia.
Cent’anni fa i «nostri» partivano
per il Kenya. Oggi si
assiste al processo inverso.
Questo perché la
«casa», in Africa o in
Europa, è di tutti. Con
la certezza che invano
si affaticano i loro costruttori,
se non lo fanno
secondo le «beatitudini»
del vangelo.
La «charta magna» di
tutti i cristiani.

FRANCESCO BERNARDI




IL MEGLIO È LA CARITÀ

Carissimi fratelli e sorelle!
La missione della
chiesa è l’annuncio
dell’amore e della misericordia
di Dio, rivelati agli uomini
mediante la vita, la morte
e la risurrezione di Gesù Cristo…
È la proclamazione che
Dio ci vuole tutti uniti nel suo
amore, perdonandoci e chiedendoci
di perdonare.
La riconciliazione ci è stata
affidata, perché è Dio a riconciliare
a sé il mondo in
Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando
a noi la parola del perdono
(cfr. 2 Cor 5, 19). E Cristo
stesso sulla croce ha pregato:
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che
fanno» (Lc 23, 34).
La missione è annuncio di perdono. Lo si ripete sempre,
ma il fatto non perde il suo significato e la sua importanza,
perché la missione costituisce la nostra risposta
al comando di Gesù: «Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni… insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19).
Si impone con maggiore urgenza il dovere della
missione, perché «il numero di coloro che ignorano
Gesù Cristo e non fanno parte della chiesa è
in aumento; anzi, dalla fine del Concilio, è quasi raddoppiato.
Di fronte a questa umanità immensa, amata
dal Padre che per essa ha inviato
il suo Figlio, è evidente
l’urgenza della missione
(cfr. Redemptoris missio, 3).
Con il grande evangelizzatore
san Paolo, vogliamo ripetere:
«Non è per me un
vanto predicare il vangelo;
è un dovere: e guai a me se
non lo faccio!» (1 Cor 9,
16).
Solo l’amore di Dio, capace
di affratellare gli uomini di
ogni razza e cultura, farà
scomparire le dolorose divisioni,
i contrasti ideologici,
le disparità economiche
e le violente sopraffazioni
che ancora opprimono l’umanità.
Conosciamo le guerre e le rivoluzioni che hanno
insanguinato il secolo trascorso, nonché i conflitti
che continuano ad affliggere il mondo. Non sfugge, al
tempo stesso, l’anelito di tanti uomini e donne che, pur
vivendo in grave povertà spirituale e materiale, sperimentano
la sete di Dio e del suo amore misericordioso.
Pertanto l’invito del Signore ad annunciare la buona
notizia rimane valido; anzi diventa sempre più urgente.
Nella lettera apostolica Novo millennio ineunte
ho sottolineato l’importanza della contemplazione
del volto dolente e glorioso di Cristo. Il
cuore del messaggio cristiano è l’annuncio del mistero

pasquale di Cristo crocifisso e risorto. Il volto dolente
del Crocifisso ci conduce ad accostare l’aspetto più paradossale
del suo mistero, quale emerge nell’ora della
croce (cfr. 25). È la croce la chiave che dà libero accesso
ad una sapienza che non è di questo mondo, né dei
suoi dominatori, ma alla sapienza divina, misteriosa, che
è rimasta nascosta (cfr. 1 Cor 2, 6.7).
Dalla contemplazione della croce impariamo a vivere
nell’umiltà e nel perdono, nella pace e nella comunione.
Questa è stata l’esperienza di san Paolo, che scriveva
agli Efesini: «Vi esorto io, prigioniero del Signore,
a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete
ricevuto, con umiltà, mansuetudine e pazienza,
sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare
l’unità dello Spirito nel vincolo della pace» (Ef
4, 1-3).
E ai Colossesi aggiungeva: «Rivestitevi come eletti di
Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, bontà,
umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportandovi a vicenda
e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno
abbia da lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore
vi ha perdonato, fate anche voi. Al di sopra di tutto
vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la
pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete
stati chiamati in un solo corpo» (Col 3, 12-15).
Il grido di Gesù sulla croce non tradisce l’angoscia
di un disperato, ma è la preghiera del Figlio che offre
la sua vita al Padre per la salvezza di tutti. Dalla
croce Gesù indica a quali condizioni è possibile esercitare
il perdono. All’odio, con cui i persecutori lo avevano
inchiodato sulla croce, risponde pregando per
loro. Non solo li ha perdonati, ma continua ad amarli e
intercede per loro.
La sua morte diventa la realizzazione dell’amore.
Davanti alla croce non possiamo che prostrarci in adorazione.
«Per riportare all’uomo il volto del Padre,
Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell’uomo,
ma caricarsi persino del volto
del peccato. “Colui che non aveva
conosciuto il peccato, Dio lo
trattò da peccatore, perché potessimo
diventare per mezzo di
lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21)»
(Novo millennio ineunte, 25).
Dal perdono di Cristo anche per
i suoi persecutori inizia la nuova
giustizia del regno di Dio.
Cristo risorto dona ai suoi
discepoli la pace. La chiesa,
fedele al comando del
suo Signore, continua a proclamae
e diffondee la pace. Mediante
l’evangelizzazione, i credenti
aiutano gli uomini a riconoscersi
fratelli: pellegrini sulla terra
e su strade diverse, sono tutti incamminati verso la patria
comune che Dio, attraverso vie solo a Lui note, non
cessa di additare.
La strada maestra della missione è il dialogo sincero
(cfr. Ad gentes, 7; Nostra aetate, 2); il dialogo che
«non nasce da tattica o interesse» (Redemptoris missio,
56), e neppure è fine a se stesso. Il dialogo, piuttosto,
fa parlare all’altro con stima e comprensione, affermando
i principi in cui si crede e annunciando con
amore le verità profonde della fede, che sono gioia,
speranza e senso dell’esistenza. Il dialogo è la realizzazione
di un impulso spirituale, che «tende alla purificazione
e conversione interiore, la quale, se perseguita
con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa» (ibid., 56).
L’impegno ad un dialogo attento e rispettoso è conditio
sine qua non per un’autentica testimonianza dell’amore
salvifico di Dio.
Questo dialogo è profondamente legato alla volontà
di perdono, perché colui che perdona apre il cuore agli
altri e diventa capace d’amare, di comprendere il fratello
e di entrare in sintonia con lui. La pratica del perdono,
sull’esempio di Gesù, sfida e apre i cuori, risana
le ferite del peccato e della divisione, crea una vera comunione.
Con la giornata missionaria mondiale è data a tutti
l’opportunità di misurarsi con le esigenze dell’amore
di Dio. Amore che domanda fede; amore
che invita a porre tutta la propria fiducia in Lui.
«Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti
si accosta a Dio deve credere che Egli esiste e che ricompensa
coloro che lo cercano» (Eb 11, 6).
In questa annuale ricorrenza siamo invitati a pregare
per le missioni e a collaborare con ogni mezzo alle attività
che la chiesa svolge in tutto il mondo per costruire
il regno di Dio. Siamo chiamati anzitutto a testimoniare con la vita l’adesione totale a Cristo e al suo vangelo.
Non ci si deve mai vergognare del vangelo, né avere
paura di proclamarsi cristiani, tacendo la propria fede.
È necessario, invece, continuare a parlare, allargare gli
spazi dell’annuncio della salvezza, perché Gesù ha promesso
di rimanere sempre e comunque presente in
mezzo ai suoi discepoli.
La giornata missionaria, vera festa della missione, ci
aiuta a meglio scoprire il valore della nostra vocazione
personale e comunitaria. Ci stimola, altresì, a venire in
aiuto ai «fratelli più piccoli» (cfr. Mt 25, 40) attraverso
i missionari sparsi in ogni parte del mondo.
Fratelli e sorelle carissimi! Affidiamo il nostro impegno
per l’annuncio del vangelo, come pure l’intera
attività evangelizzatrice della chiesa, a Maria
Santissima, regina delle missioni. Sia lei ad accompagnarci
nel nostro cammino di scoperta, annuncio e testimonianza
dell’amore di Dio, che perdona e dona la
pace all’uomo.

IOHANNES PAULUS II