LA PACE NON PUÒ ATTENDERE

Guerriglieri senza scrupoli e squadroni della
morte, entrambi considerati anche terroristi.
Narcotrafficanti, corrotti, impuniti, profughi,
disoccupati… E soprattutto tanti morti
ammazzati. Di fronte alla violenza, il governo
è troppo debole? E la chiesa poco profetica?

Ho dovuto lasciare la Colombia
per motivi di salute. Potrei
parlare di questa mia
ultima esperienza, dura e improvvisa.
Oggi, come non mai, mi sento
nelle mani di Dio… Se detto queste
considerazioni sul paese è anche per
«distrarmi», per non crogiolarmi eccessivamente
nei miei guai. Ma non
sono «distrazioni» allegre.

Ndr: Padre Claudio Brualdi allude
alla propria maculopatia, che improvvisamente
l’ha reso quasi cieco.
All’origine della malattia c’è il diabete,
ma anche l’intenso stress cui il
missionario è stato sottoposto in Colombia.
Superiore dei missionari della
Consolata nel paese, padre Claudio
si è dovuto dimettere dal servizio.

IL DISTACCO DELLA GENTE
È arduo presentare la Colombia.
La nazione sta attraversando una situazione
assai complessa: forse è all’apice
del dissesto. Fino a ieri, parlando
della Colombia, si pensava al
narcotraffico come al problema numero
uno. Il narcotraffico esiste, ed
è una questione scottante, ma con
l’aggravante di altre.
Ciò che preoccupa maggiormente
non sono solo i problemi, ma che
si stenti ad intravvedee la soluzione,
una speranza per il futuro. Si aspetta
che le cose cambino, ed invece
la matassa si aggroviglia sempre
di più. Il governo è inetto da molto
tempo: non è capace di compiere
riforme serie. Ogni quattro anni si
vota: i nuovi governanti promettono
mare e monti, ma tutto rimane
come prima. La gente ha perso la fiducia.
Alle ultime elezioni del 1998 votarono
10 milioni di persone, cioè
meno del 40%. Esiste un distacco
dalla politica: forse per questo il governo
non è in grado di attuare le
riforme giuste. In parlamento, poi,
siedono personaggi che pensano di
più ai loro interessi che ad un cambio
positivo nel paese.
L’esercito nazionale non sembra
all’altezza per fronteggiare la guerriglia:
una guerriglia di estrema sinistra,
che dura quasi da 50 anni,
oggi divenuta più aggressiva. Spiccano
due movimenti guerriglieri:
Farc (Forze armate rivoluzionarie di
Colombia) e Eln (Esercito di liberazione
nazionale). Le Farc contano
15-20 mila uomini e l’Eln 6-8 mila.
Da 7-8 anni è all’opera un’altra
forza, paramilitare di estrema destra,
fonte di guai pari (se non superiori)
a quelli causati dai guerriglieri.
I paramilitari sono cresciuti molto
in poco tempo: se, in 50 anni, la
guerriglia ha raccolto 25 mila armati,
i paramilitari in 7-8 anni sono diventati
15 mila.
Come è sorta la terza forza eversiva?
Data l’incapacità dello stato di
tutelare gli interessi dei grandi ricchi
(fra cui i «baroni della droga»),
questi (con il sostegno di alcuni generali)
si difendono da sé, assoldando
squadracce armate. Il nome è eloquente:
Autodifese unite di Colombia
(Auc).
Farc, Eln e Auc sono stati dichiarati
gruppi terroristici. Sono tre forze
che contribuiscono a fare della
Colombia, forse, la nazione più violenta
del mondo. Ormai da tempo
nel paese si contano, in media, ogni
anno 25-30 mila morti ammazzati.
Sono circa 30 i gruppi terroristici
nel mondo, e tre di questi operano
in Colombia. Pertanto uno dei
bersagli possibili dell’amministrazione
di George W. Bush (che vuole
sradicare il terrorismo dal pianeta)
potrebbe essere anche la Colombia.
Tuttavia il «caso Colombia»
è particolare, in quanto lo stato non
appoggia i movimenti terroristici.

ALCUNI NODI CRUCIALI
Le guerriglie sono ormai divenute
«storia». Sono forti non solo per
il numero dei loro membri, dotati di
armi potenti, ma anche perché possono
imporre condizioni allo stato
di diritto.
Negli ultimi quattro-cinque anni
si è manifestata una forma straordinaria
di guerriglia, che ha attaccato
i piccoli centri della nazione: nessuno
è rimasto indenne. I mezzi usati
sono rudimentali: cilindri di gas esplosivo,
imbottiti di chiodi e vari
oggetti contundenti, che scoppiano
contro persone e cose… Non sono
«bombe intelligenti»!
Gli ordigni esplodono presso le
sedi di polizia, nel cuore del paese,
vicino alle chiese. Per cui le bombe
fanno scempio pure degli edifici sacri
(cfr. Missioni Consolata, giugno
2000). Una conseguenza del terrore
è l’esodo dalle campagne verso i
centri urbani, anche perché dal
campo la popolazione non trae più
mezzi sufficienti per vivere. E le città
diventano megalopoli, circondate
da misere favelas. Ogni anno a Bogotà
arrivano circa 300 mila individui,
si dice… Nel paese si contano 2-
3 milioni di sfollati interni: devono
lasciare tutto per sfuggire alla violenza;
ma, approdati altrove, non
trovano lavoro. La disoccupazione
è al 21%.
Né si dimentichi il narcotraffico.
I cartelli di Medellín e Cali sono spariti.
Però ci sono gli eredi. E le guerriglie
controllano le coltivazioni di
coca e i ricchi traffici di cocaina.
Un altro problema gravissimo è la
corruzione politica, con fiumi di denaro.
E tutto resta impunito. Impuniti
anche i reati contro i diritti umani,
che riguardano spesso i paramilitari.
I processi iniziano, ma non
finiscono, perché di solito mancano
le prove di colpevolezza.

QUALE PROCESSO DI PACE?
Bisogna accennare anche del processo
di pacificazione. Il presidente
della repubblica, Andrés Pastrana,
ne ha fatto la bandiera del suo
governo. Non ancora eletto, si incontrò
subito con Manuel Marulanda,
capo delle Farc, sorprendendo
tutti. Qualcuno criticò il gesto.
Pastrana incominciò a governare
il 7 agosto 1998 tra grandi aspettative.
In vista della pacificazione con
la guerriglia, il presidente stabilì una
«zona di distensione», smilitarizzata:
42 mila chilometri quadrati
nel Meta e Caquetà (dove operano
i missionari della Consolata).
Fino al natale 1998 ci furono ostacoli
per iniziare i colloqui tra governo
e Farc: per esempio, a San Vicente
del Caguán, c’era un battaglione
di 1.500 soldati, che secondo
le Farc dovevano essere tutti ritirati;
ima, secondo il governo, almeno
100 dovevano restare per opere di
manutenzione. Alla fine vi fu il ritiro
di tutti i soldati; solo il sindaco
poteva restare. Intanto si organizzò
una guardia civica, composta da
simpatizzanti delle Farc, per controllare
il territorio.
Il 7 febbraio del 1999 Pastrana
subì un grave smacco. Quel giorno
si doveva inaugurare ufficialmente a
San Vicente il processo di pace. Tutto
era pronto, però Maluranda non
si presentò. Il processo tuttavia incominciò,
ma senza risultati concreti.
L’unico aspetto positivo è stato
«un inizio» di dialogo, varie volte sospeso
e ripreso.
Nell’agosto 2000 Pastrana lanciò
anche il «Piano Colombia», ispirato
e finanziato dagli Stati Uniti, con
il quale progettava di sradicare 60
mila ettari di coltivazioni di coca.
Dato il legame tra guerriglia e coca,
il Piano mirava a indebolire le Farc
e i narcotrafficanti, invece di affrontarli
sul campo di battaglia.
Però gli attacchi ai civili sono continuati
fino ad oggi, con numerose
vittime. Il governo, criticato per il
suo atteggiamento arrendevole verso
la guerriglia, ha imposto alle Farc
delle condizioni per continuare il
dialogo, e cioè: rispettare la vita dei
civili e non coinvolgerli in conflitti;
sospendere i sequestri di persona e
abbandonare i blocchi stradali per
estorsioni (la cosiddetta «pesca miracolosa»).
Ma la matassa non si dipana, perché
le Farc (ad esempio) comprendono
72 fronti, e ognuno fa ciò che
vuole. Si pone allora il quesito: nelle
trattative Marulanda chi rappresenta?
La guerriglia, una parte e quale?

«I VESCOVI LAMENTANO…»
Il processo di pacificazione, nato
tra grandi speranze, sta naufragando?
Le critiche verso il presidente
Pastrana sono dure, perché avrebbe
scontentato tutti. Ma anche i governi
precedenti non hanno conseguito
risultati. Pastrana, se è stato
indulgente verso la guerriglia, è stato
pure coraggioso. Gli altri non lo
sono stati altrettanto.
E l’atteggiamento della chiesa? In
questo contesto ho la sensazione che
non stia svolgendo il ruolo che dovrebbe.
La chiesa è presente nel processo
di pace, però non con una posizione
autonoma: infatti la guerriglia
ritiene che il presidente della
Conferenza episcopale al processo
sia quasi una voce del governo.
L’analisi della realtà è buona; però
le belle riflessioni terminano con un
generico «i vescovi lamentano…». È
troppo poco in un clima di violenza
e ingiustizia. La presenza della chiesa
non appare incisiva, profetica.
Si sapeva che il processo di pace
sarebbe stato lungo e tortuoso. Ma
sono già trascorsi tre anni! Quanto
bisogna attendere ancora? C’è chi
ricorda con amarezza il detto latino:
dum Romae consulitur Saguntum espugnatur
(mentre a Roma si discute,
Sagunto viene presa).
In Colombia le vittime
sono già state un esercito.

San Vicente del Caguán, 19 gennaio 2002: il governo e i portavoce delle
Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) siglano un accordo
per attuare il piano di pace. Sono presenti anche membri della chiesa cattolica
(fra cui Francisco Múnera, missionario della Consolata e vescovo di
San Vicente) e rappresentanti delle Nazioni Unite.
Per uscire dal conflitto, che da 37 anni insanguina il paese, si dovrà seguire
i punti concordati. Le Farc non si oppongono allo sradicamento manuale
delle coltivazioni illegali di coca, pur ribadendo che devono essere
consultate le comunità interessate. I punti principali dell’intesa:
– immediato studio sulle modalità per il «cessate il fuoco»;
– sospensione dei sequestri di persona da parte della guerriglia;
– lotta del governo contro i paramilitari.
Una commissione internazionale verificherà che i punti siano stati rispettati
e aiuterà a superare eventuali ostacoli. La firma dell’accordo concreto
sulla cessazione delle ostilità si dovrà avere entro il 7 aprile 2002.
L’«area di distensione» resterà in vigore fino al 10 aprile.
L’incontro era iniziato male. Infatti il giorno prima era stato assassinato
padre Arias Garcia, 30 anni, impegnato nella sua parrocchia di Florencia
(Caldas) in un negoziato tra guerriglieri e paramilitari locali.
D’altro canto i paramilitari hanno denunciato l’accordo; hanno tacciato
il presidente Pastrana di codardia, accusandolo di «aver concesso tutto
in cambio di niente».

Claudio Brualdi




Parentesi che contano

Non entro in polemiche… Cerco
di essere propositivo con tre riflessioni.
1. Non dobbiamo dimenticare
che, come lettori di Missioni Consolata,
siamo probabilmente tutti
dalla stessa parte: ovvero, vogliamo
un mondo pacifico che dia a
tutti la possibilità di una vita dignitosa.
Pertanto non ha senso dividere
il mondo fra occidente e resto
del mondo. Gli estremi spesso
si toccano, e il grigio comunismo
«reale» della miseria non era migliore
delle metropoli dell’occidente.
È importante che le persone conoscano
i fatti, affinché capiscano
e decidano, evitando però interpretazioni
di parte e facili generalizzazioni.
2. La nostra libertà di azione,
purtroppo, non è così ampia come
si potrebbe credere. Questo perché
noi stessi siamo «pedine» dei meccanismi
economici-tecnologici.
Sarebbe disposta Missioni Consolata
a diminuire il numero di pagine,
a rinunciare al colore ed accettare
tempi di invio ancora maggiori?
La rivista può fare a meno di
fax o telefono?
Rinunciare a molte distorsioni
della nostra civiltà (ad esempio, il
ricorso esasperato all’«usa e getta
», spesso un controsenso economico-
ecologico) è possibile; ma richiede
un cambiamento di mentalità,
oltre (sarebbe auspicabile) ad
un intervento degli stati che dovrebbero
penalizzare economicamente
(per esempio, tassando) i
prodotti non indispensabili, che
generano inquinamento ed impoverimento
delle risorse.
3. È bene fare attenzione, nel
guardare lontano, a non perdere di
vista ciò che ci succede vicino. Un
esempio: quante donne in Italia
sono schiave, costrette contro la loro
volontà a prostituirsi? Quante di
queste, spesso giovanissime, verranno
segnate per tutta la vita?
Trovo giusto prendere a cuore gli
indios u’wa della Colombia ed infuriarsi
contro un’economia distorta
che chiede il sacrificio di un popolo
per profitto, ma credo che sia
giusto anche provare rabbia per le
nostre vite sconvolte, se non distrutte,
che potremmo salvare senza
la necessità di attraversare continenti.
MAURO SILVERINI – TORRE DEL LAGO
(LU)

D’accordo, anche sulle «parentesi
». Il «lontano» non indebolisce il
«vicino»… Noi proponiamo «la sobrietà
felice: non è quella del “barbone”,
perché a questi manca la letizia.
La sobrietà felice è un vivere
meglio consumando meglio; deve
essere pure un modo di giudicare il
mondo con lo sguardo dei poveri»
(Antonio Nanni). Anche la sobrietà
felice è una strada da percorrere.

MAURO SILVERINI




Cari… struzzi

Apprezzo molto gli articoli di
Paolo Moiola. Considero un atto
di coraggio scrivere la verità e,
soprattutto, farlo non su un giornale
che a priori si schiera con lui,
ma su una rivista come Missioni
Consolata, letta anche da cattolici
moderati.
È inutile fare lo struzzo. Le denunce
di Moiola toccano la realtà,
che solo gli struzzi non vogliono (o
non osano) vedere. La sua penna
fa ancora sperare che esista un vero
giornalismo: scrivere su ciò che
si vede e crede, non per opportunismo
o secondo una linea editoriale,
ma per onestà intellettuale.
Non aver paura degli insulti altrui
è un atto di valore nel mondo
attuale, in cui tutto è sempre più
omologato (idee, costumi, persone).
Tutti per insicurezza tendiamo
ad omologarci. Persino i partiti
sembrano tutti uguali.
Invito i lettori, scandalizzati da
alcuni articoli, a rispondere con onestà
alla domanda: la vostra opinione
rimarrebbe sempre la stessa
se foste nati in una baraccopoli, cibandovi
dei rifiuti dei ricchi?
– morendo di Aids, perché il business
del mercato farmaceutico impedisce
ai paesi poveri l’accesso ai
farmaci?
– morendo di fame, freddo o colpiti
da una mina (l’Italia è ai primi
posti nella fabbricazione di armi:
vedi il marchio Beretta) o trascinandosi
per tutta la vita con protesi
agli arti?
– morendo avvelenati dai pesticidi
riversati su ananas e banane, che
giungono sulle nostre tavole sempre
più imbandite, anche del superfluo?…
La decantata globalizzazione
genera anche questi «effetti collaterali
». Potrebbe essere positiva,
ma è impostata molto male. Contro
questo sistema di morte, per
fortuna, c’è ancora gente che lotta
pacificamente: non solo per altruismo,
ma anche per un «sano egoismo».
Cari struzzi, è ora che alziate la
testa e guardiate la realtà in faccia:
forse capirete che il sistema
perverso, prima o poi, si ritorcerà
contro di noi che l’abbiamo creato
o contribuito a tenerlo in piedi.
L’alternativa è un mondo solidale,
in cui si abbattono non le barriere
dei mercati, ma quelle del cuore.
SILVANA VERGNANO – TORINO

L’«onestà intellettuale» rifiuta pure
il processo alle intenzioni; si manifesta
nell’impegno solidale e nel
confronto con tutti, richiedendo e
concedendo libertà. Più che un’idea
da sbandierare, è una faticosa via da
percorrere.

SILVANA VERGNANO




Padre Gabriele, continua…

Caro padre, grazie del bellissimo ricordo che ha
pubblicato su Missioni Consolata di ottobre-novembre,
relativo alla scomparsa di mio cugino, padre
Gabriele Soldati. Mi ha commosso, ed è stato
molto apprezzato anche da tutti gli amici e i compaesani.
Padre Gabriele mi manca molto: soprattutto
la sua telefonata (quasi quotidiana), la sua
bontà, i suoi rosari…
IOLE MASOERO – CORNO GIOVINE (LODI)
Signor direttore, ha fatto bene a ricordare padre
Gabriele Soldati, ex direttore di Missioni Consolata
e non solo. Proprio per questo, non le sembra di
essere stato avaro nel parlare di lui? Ad altri missionari
dedicate tre, quattro pagine. A padre Gabriele
una sola!
LUIGI BELLOTTI – BERGAMO

Abbiamo incontrato padre Gabriele un mese prima
della morte. «Me ne sto andando per sempre» ci
disse dolcemente con voce fioca.
– Gabriele, cosa desideri che scriva su «Missioni Consolata
» alla tua «partenza»?
– Assolutamente nulla.
– Non è giusto, Gabriele. Molti amici si lamenteranno,
e giustamente!
– E tu lasciali dire. Per noi missionari conta il vangelo,
che dice: «Quando avete compiuto il vostro dovere,
dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto soltanto
quello che bisognava fare».
– D’accordo, Gabriele. Ma…
– Nessun «ma». Guarda che, se scriverai su di me,
non pregherò più per te! Hai capito?…
Non abbiamo capito. Infatti abbiamo scritto
qualcosa, anche se poco.
«Però tu, Gabriele, continua a pregare per tutti».

LUIGI BELLOTTI




Congo, rd: guerra e vulcano

Carissimi amici,
non c’è proprio pace per il
Congo. Il 6 gennaio ad Isiro
ci sono state sparatorie
fino all’una di notte. I soldati
di Nyamwuisi (sostenuti
dall’Uganda) scappando
hanno saccheggiato
alcuni negozi con poche
mercanzie e rubato qualche
moto (altro non c’è in
città). Da noi, missionari,
non sono venuti (avevamo
pronti un po’ di soldi, per
evitare il peggio).
Stamattina per strada
c’era molta gente per accogliere
i soldati (liberatori?)
di Bemba. Ora il caos
è immane. Le autorità locali
si sono nascoste; di
poliziotti neppur l’ombra.
Sono le 16,30 e si spara
attorno all’aeroporto. In
città non c’è anima viva; si
attende la notte sperando
che non ci siano militari
nascosti e che i ladri non
approfittino della situazione.
La paura è tanta…
Ore 17,30: sono entrati
in gloria i soldati di Bemba.
Noi siamo preoccupati
per il futuro… Piove. Una
benedizione? Potesse la
pioggia lavare anche le idee
di tanti!
p. Rinaldo Do
Isiro (Congo, rd)

Il Congo è in guerra
dall’agosto 1998: un conflitto
interafricano tra
Angola, Zimbabwe e Namibia
da una parte e, dall’altra,
Uganda, Rwanda
e Burundi (con l’avallo di
Stati Uniti e Francia). La
guerra ha già seminato
due milioni di vittime.
E ci si è messo pure il
vulcano Nyiaragongo, al
confine con il Rwanda, le
cui eruzioni hanno aggiunto
distruzioni a distruzioni
(17 gennaio).

p. Rinaldo Do




Un altro sogno

Cari missionari,
ho 72 anni e faccio parte
del Gruppo missionario
della parrocchia. Fin da
ragazza ho simpatizzato
per i missionari e ho cercato
di fare qualche cosa.
Da anni coltivo il desiderio
di aiutare a portare
a termine, attraverso gli
studi, la vocazione missionaria
di qualche seminarista
bisognoso, italiano o
straniero.
In passato mi mancavano
le possibilità; ora, pur
essendo in pensione e non
ricca, penso di poter realizzare
il sogno: diventare
la madrina di un missionario
e creare un legame
epistolare e spirituale con
un bravo giovane, anche
per dare un senso cristiano
agli ultimi anni che il
Signore mi concederà. Io
sono sola, con gli acciacchi
della terza età. Ho fatto
l’impiegata per 37 anni
in uno stabilimento (eravamo
in 6 mila) e ora vivo
con la mamma di 96 anni.
La mia vita comporta
pazienza e sacrifici, fatti
volentieri, per dovere e amore.
Ma vorrei riempirla
anche con qualche iniziativa
di evangelizzazione e
promozione umana nei
paesi di missione.
Lettera firmata
Sesto S. Giovanni (MI)

Ecco un altro modo di
«inseguire i propri sogni
». O, con un’espressione
più impegnativa, di
essere «poveri in spirito»
(Mt 5, 1).




Inseguire i sogni

Cari missionari,
è mia convinzione che ogni
persona, per condurre
una vita serena e appagata,
abbia bisogno di inseguire
i propri sogni.
Per «inseguire i propri
sogni» non intendo mettersi
alla finestra con il viso
tra le mani, gli occhi
socchiusi verso il cielo, aspettando
che il sogno si
realizzi. È con tutt’altro
spirito che vorrei coronare
il mio più grande desiderio:
e cioè partire per una
missione di volontariato
in Africa.
Questa passione è nata
tempo fa, attraverso incontri
e importanti esperienze,
che hanno lasciato
in me la voglia di dare amore
alle persone, così da
arricchirmi giorno dopo
giorno, sentirmi sempre
di più piena di vita, là dove
la vita è fatta di aiuto
reciproco per la sopravvivenza,
di fede e forza d’animo.
La frateità è facilmente
dimenticabile nella nostra
società, in continua
ricerca di immagine e apparenza.
Persino le opere
di bene, così giuste, possono
a volte nascondere
secondi fini, rischiando di
scadere anch’esse nel
«commercio» del bene.
Ma questo non capita
quando una persona trova
che la migliore ricompensa
al bene sia il non volere
nulla in cambio. Nulla è
paragonabile alla missione
di proclamare l’amore
come «unica politica».
Qualora abbiate informazioni
utili al mio progetto,
vi prego di rispondermi.
Lettera firmata
Treviglio (BG)

Lettera che ha richiesto
una risposta personale.
Tuttavia la pubblichiamo,
perché altre persone
possano trarre stimoli
per «inseguire i propri
sogni».
I missionari della Consolata,
da diversi anni,
hanno aperto anche un
centro per la formazione
di laici. Il centro si chiama
MILAICO (Missionari
Laici della Consolata).
Per informazioni:
p. Angelo, via Solstizio 2
31040 Nervesa (TV)
tel 0422/77.12.72
fax 0422/77.17.00
e-mail: milaico@libero.it




Ma che rivista è?

Egregio direttore,
ogni tanto leggo Missioni
Consolata. Dopo aver letto
il numero di dicembre,
mi sono chiesto: «Perché,
sotto il titolo della rivista,
è scritto “rivista missionaria
della famiglia”»?
L’impressione netta che
si ricava, dai vostri articoli,
è che la salvezza non
venga da Gesù Cristo
(quante volte è nominato?),
né che l’annuncio
del vangelo sia il primo
compito dei missionari
(almeno loro!), ma che la
salvezza sia un problema
sociale, politico ed economico.
Senza dire che, in una
rivista di cristiani, è auspicabile
una minore parzialità.
Perché tirare in
ballo sempre Berlusconi,
anche quando c’entra come
i cavoli a merenda?
Volendo essere Missioni
Consolata la rivista missionaria
della famiglia, date
alle famiglie la consapevolezza
che il mondo cambia
e che il male è vinto,
anzitutto e realmente, con
la conversione dell’uomo
al vangelo. Non inculcate
(certo senza intenzione)
lo spirito di lotta tra ricchi
e poveri, che innesca la
spirale dell’odio da cui
vengono tutti i mali.
Cristo ci libera dal peccato,
e chi ne è libero fa le
opere della giustizia.
don Emilio Colombo.
Buscate (MI)

Certamente l’annuncio
del vangelo è il primo
compito-dovere dei missionari,
sicuri che Cristo
ci libera dal peccato…
Ma non tutti si lasciano
liberare e, quindi, non
fanno «le opere della giustizia
». Così nella chiesa,
«esperta in umanità», fin
dai suoi inizi si è sviluppata
anche «la sollecitudine
sociale». Lo scrive
Giovanni Paolo II nell’enciclica
Sollicitudo rei
socialis.

don Emilio Colombo




Benedizione divina?

Caro direttore,
forse esagero nel dire che
Missioni Consolata è una
benedizione divina. Sono
convinto che Dio opera in
voi secondo i suoi benevoli
disegni e, nonostante le
avversità (non potrebbe
essere diversamente), Egli
sarà sempre con voi (cfr.
Fil 2, 13; Ef 6, 12; Rm 8,
31; Is 50, 7-9).
A don Andrea Magni
(Missioni Consolata, dicembre
2001), ricordo che
Dio non fa preferenze di
persona; chi teme il Signore
e pratica la giustizia, a
qualunque popolo appar-tenga, è a Lui accetto. Dio
vuole che tutti gli uomini
si salvino e giungano alla
conoscenza della verità
(cfr. At 10, 34-35; 1 Tim 2,
4). Giustizia e verità, attributi
di Dio, trionferanno,
perché contro di esse ogni
tentativo destabilizzante
sarà inutile (cfr. At 5, 39).
Missioni Consolata adempie
un compito primario:
elencando le ingiustizie
nel mondo ed enumerandone
gli autori, non
fa altro che ammonirli, affinché
si ravvedano (cfr.
Ez 3, 16-21).
Riguardo ai fratelli che
avversano il vostro operato,
ricordo che non si può
servire Dio e Mammona e
che bisogna obbedire a
Dio piuttosto che agli uomini
(cfr. Mt 6, 24; At 5,
29). Dio ci ammonisce di
guardarci dai superbi (cfr.
2 Cor 6, 14; 2 Tim 3,1-5)…
Consapevole che la presunzione
è il lievito della
superbia, gli ammonimenti
valgono anche per me;
però, grazie ai vostri articoli,
la mia coscienza
spesso viene scossa.
Il vero cristiano-cattolico
va contro corrente; non
ricerca l’utile proprio, ma
quello altrui (cfr. Lc 2, 34;
1 Cor 10, 24; Fil 2, 4). Gesù
dice che i poveri li avremo
sempre, ma ci ricorda
pure che il principe di
questo mondo è satana,
cioè il capo delle menti
malvagie ((cfr. Mt 26, 11;
Dt 15, 11; Ef 2, 2). Ecco
perché ci sono i poveri.
Caro direttore, come vede
in questa lettera di mio
non c’è nulla; mi sono servito
della parola di Dio.
La rovina dell’umanità è
dovuta al fatto che ci si lascia
trasportare da falsi
venti di dottrina (cfr. Ef 4,
14; Col 2, 8; Is 29, 13),
partoriti da menti che
hanno per fine il dio-quattrino
(neoliberismo). Così
il mondo precipita verso
l’autodistruzione.
L’uomo, allontanatosi
dalla fonte divina (Sacra
Scrittura), è diventato
schiavo della propria razionalità.
Infatti che cosa
hanno prodotto il modeismo,
il secolarismo ed
altre correnti di pensiero?…
San Paolo ammonisce:
«Non conformatevi
alla mentalità di questo
secolo, ma trasformatevi
rinnovando la mente per
poter disceere la volontà
di Dio, ciò che è
buono e a Lui gradito»
(Rm 12, 2).
Grazie a voi, noi siamo
al corrente di quanto accade
nel mondo. Consultare
Missioni Consolata è un
sostegno morale e ci incoraggia
a non cedere al dilagare
della massificazione
che spinge alla rassegnazione.
I vostri articoli
ci scuotono dal torpore
causato da infiniti messaggi
subliminali degli
pseudo mass media. PAOLO MOIOLA
e colleghi sono
«un ottimo concime»
per far fruttificare gli orti
del Signore.
Sforziamoci di rispecchiarci
nell’unico e vero amore,
descritto da san
Paolo (1 Cor 13, 1-13).
Ricordiamoci che chi non
ama il fratello che vede,
non può amare Dio che
non vede (cfr. 1 Gv 4, 1-
21). Ricordiamoci, ancora,
che Gesù ha ammonito
le classi dirigenti di tutti i
tempi, che è venuto per
salvare i perduti, per servire
e non essere servito
(cfr. Mt 23, 1-39; Lc 19,
10; Mc 10, 45). Pur essendo
Dio, spogliò se stesso
e fu obbediente fino alla
morte di croce (Fil 2, 8).
Giuseppe Banditelli
Castellammare di Stabia (NA)

Lettera straordinaria,
che si avvale di testi eccelsi…
Però noi non siamo
«una benedizione divina», perché nessuno
può sostituirsi a Lui. Ci
basta essere un «buon
concime». È sufficiente
per farci tremare di fronte
a tanta responsabilità.

Giuseppe Banditelli




Affari e religioni

Caro direttore,
in riferimento a Missioni
Consolata, dicembre 2001,
pagg. 20-26, dico che faremmo
un grave torto ai
credenti di tutte le religioni
(islam compreso) se ci
limitassimo ad affermare
che la sharia è un sistema
di leggi troppo punitive e
una risposta esagerata al
permissivismo, all’ateismo,
all’indifferentismo
religioso dell’occidente.
In Sudan, Pakistan, Nigeria,
Malaysia, Indonesia…
per il musulmano
«fedele» sharia significa
facoltà di espropriare,
schiavizzare, torturare,
stuprare e inquinare campi,
foreste, fiumi… degli
«infedeli» o dei musulmani
«non troppo fedeli», come
gli pare ed è comodo.
Però, quando gli infedeli
sono ricchi e potenti e
c’è la possibilità di intascare,
grazie al petrolio e ad
altre materie prime, milioni
e milioni di occidentalissimi
dollari, le gerarchie
religiose di Khartoum, Islamabad,
Lagos, Kuala
Lampur, Djakarta… non
pongono ostacoli alle autorità
politiche e a chi dirige
grandi gruppi imprenditoriali
e finanziari.
Non mi risulta, ad esempio,
che in Sudan Hassan
El Tourabi abbia mai chiesto
alla China National Petroleum
Company, alla canadese
Talisman Energy
Inc, all’austriaca OMV
Aktengesellschaft, all’italiana
Eni o ai costruttori
del supercanale Jongley…
la conversione all’islam,
pena la sospensione dei
contratti. Così i massacri e
saccheggi in terra dinka
(la parte meridionale del
Sudan) sono continuati e i
dinka continuano a vivere
e morire nel terrore.
È quanto succede a chi
«pretende» di rimanere
nelle terre che i grandi del
mondo hanno decretato
essere di «cruciale importanza
» per l’economia,
perché ricche di petrolio:
gli u’wa della Colombia, i
waorani dell’Ecuador, i lacandones
del Messico, gli
ogoni della Nigeria, i karen
della Birmania e Thailandia,
i pigmei del Camerun
e Gabon, e molti altri.
Avendo a che fare con
interlocutori differenti per
lingua, cultura e fede, gli
uomini che si spartiscono
i profitti del business (petrolio,
cotone, ma anche
droga, legname, diamanti)
recitano parti diverse, ma
complementari:
– quelli che governano
paesi a dominanza musulmana
spiegano che la
guerra e gli attentati dipendono
dall’insufficiente
conversione del mondo all’islam;
– quelli che predicano dai
pulpiti di Washington dicono
che i bombardamenti
sono necessari, perché
gli Usa non sono ancora
abbastanza amati e rispettati;
– in Europa prevale l’idea
che gli interventi armati
(per brutti che siano) sono
necessari per eliminare
la barbarie, che contraddistingue
certi popoli e rappresenta
il sostrato ideale
per l’estremismo religioso
e il terrorismo.
In realtà tra guerra e terrorismo,
tra sharia e commercio
d’oppio, tra ateismo
e fanatismo religioso
non c’è alcuna incompatibilità:
uno ha bisogno dell’altro
e, insieme, concorrono
a consolidare le posizioni
di chi è già tanto
ricco e potente.
Francesco Rondina
Fano (PS)

Missioni Consolata di
dicembre ha riportato la
testimonianza (anteriore
all’«11 settembre») di un
profugo afghano in Pakistan,
che affermava:
«La sharia è giusta!
Quando ad un ladro viene
tagliata una mano,
non è solo una punizione,
ma anche un esempio per
far comprendere agli altri
che rubare è male».
È una convinzione pericolosa,
perché dalla mano
tagliata di un ladro
(fatto di non poco conto)
all’uccisione di una presunta
adultera… il passo
può essere breve.

Francesco Rondina