LA SOCIETÀ DELL’«USA-E-GETTA»

L’uomo preleva dall’ambiente enormi quantità
di risorse e restituisce scarti e inquinamento.
In obbedienza a quell’approccio utilitaristico
che ha il suo totem nel «prodotto interno loro».
La salvaguardia dell’ambiente è dunque un lusso?
Le esigenze di protezione e conservazione
delle risorse naturali sono incompatibili con quelle
del sistema economico-produttivo? È impossibile
vivere in armonia con la natura? Al momento
pare di sì. Ma il futuro (vicino) non può
prescindere da un radicale cambiamento di rotta,
al quale può dare un contributo fondamentale
ogni singola persona, casalinga o manager che sia.

IL CONFLITTO UOMO-NATURA
Il prestigioso Worldwatch Institute
di Washington ha recentemente
presentato il suo ultimo rapporto
sullo stato del pianeta, «State of
the World 2002». Il presidente del
Worldwatch, Christopher Flavin,
sostiene: «Oggi l’instabilità ecologica
è collegata a quella degli avvenimenti
umani».
L’obiettivo primario è «creare un
mondo più sicuro», agendo in primo
luogo sulle emergenze ambientali:
ridurre l’effetto serra e l’inquinamento
chimico; ripensare l’agricoltura,
la logica e gli strumenti del
turismo mondiale; controllare lo
sfruttamento delle risorse naturali
per limitare i conflitti.
Al presente un miliardo e 100 milioni
di persone non hanno accesso
all’acqua potabile («il doppio di
quelli che usano il computer», sottolinea
Flavin); le emissioni di anidride
carbonica, responsabili dei
cambiamenti climatici, sono aumentate
del 9% su scala mondiale,
anziché diminuire del 5,2% (secondo
quanto fissato dal pur insufficiente
Protocollo di Kyoto); la barriera
corallina (che, oltre all’intrinseco
valore ambientale, rappresenta
una fonte di nutrimento per mezzo
miliardo di persone) è minacciata
non più per il 10%, ma per il 27%
della sua estensione totale; e, nonostante
la forte crescita economica
dell’ultimo decennio, i più poveri
del pianeta sono sempre un miliardo
di persone.
Il fatto che le emergenze ambientali
abbiano serie conseguenze non
solo sull’equilibrio degli ecosistemi,
(e quindi sulla stessa vita dell’uomo),
ma anche sugli equilibri sociali
è affermato anche nel «Libro
bianco su crescita, competitività ed
occupazione» della Commissione
europea (1993): «Per estendere all’intero
pianeta gli attuali modelli
europei di produzione e di consumo
occorrerebbe un quantitativo di
risorse naturali 10 volte superiore
all’attuale. Questo rende facile immaginare
quali problemi ambientali
e quali tensioni politiche potranno
verificarsi, se le tendenze in atto
non saranno orientate in modo diverso».
È evidente che le esigenze di protezione
e conservazione delle risorse
naturali e le esigenze del sistema
economico-produttivo siano, al momento,
incompatibili: la salvaguardia
dell’ambiente è ancora oggi
considerata come un lusso, un obiettivo
da perseguire solo dopo la
crescita economica, dimenticando
così sia le inevitabili e tragiche connessioni
tra degrado ambientale –
instabilità sociale – crisi economica,
sia la dipendenza del sistema produttivo
dall’ambiente stesso.
È necessario domandarsi quali
siano le radici profonde di questo
conflitto, di questa collisione tra
uomo e natura. Come mai, di fronte
all’evidente necessità di vivere in
armonia con l’ambiente, l’uomo si
mostra così indifferente ed insensibile
alle trasformazioni ecologiche
e quindi al destino stesso della specie
umana?

LE RADICI DEL CONFLITTO
Fritjof Capra è un fisico statunitense
noto non solo per le sue pubblicazioni
di carattere tecnico, ma
anche per gli studi sulle implicazioni
filosofiche della scienza modea.
Nel suo bellissimo libro «Il Tao
della fisica», egli spiega come la fisica
modea (atomica e subatomica)
abbia costretto a rivedere in maniera
radicale molti concetti della
scienza classica, portando lo studioso
verso una visione del mondo
vicina alle concezioni e filosofie orientali,
apparentemente molto lontane
dalla scienza occidentale.
L’evoluzione di quest’ultima mostra
come essa, partendo dai primi
filosofi greci, si sia sviluppata allontanandosi
progressivamente dalle
sue origini, fino a giungere ad una
concezione del mondo decisamente
contrastante rispetto alla visione
orientale, per poi ritornare nuovamente,
con la fisica modea appunto,
a condividee molti aspetti.
L’analisi di questo percorso storico
fa capire in che modo si sia
alimentato nel tempo il conflitto uomo-
natura.
La fisica, e quindi la scienza occidentale,
ha le sue origini nel primo
periodo della filosofia greca (VI sec.
a.C.), in un contesto culturale nel
quale scienza, filosofia e religione
non erano separate tra loro. Il termine
stesso «fisica» originariamente
indicava lo sforzo di scoprire la
natura essenziale di tutte le cose. I
filosofi del tempo (Talete, Anassimandro,
Eraclito…) vennero definiti
«ilozoisti»: pensando che la materia
fosse animata, non facevano
distinzione tra animato e inanimato,
spirito e materia.
In particolare, il filosofo Eraclito
sosteneva che il mondo fosse in eterno
«divenire», ossia fosse generato
dall’azione reciproca e ciclica
dei «contrari» (amore e odio, caldo
e freddo), mediante un continuo
trasformarsi.
Tale unità di spirito e materia iniziò
a disgregarsi con la scuola eleatica,
secondo la quale esisteva un
Principio divino al di sopra di tutti
gli dei e di tutti gli uomini, inizialmente
identificato con l’unità dell’universo.
Con Parmenide di Elea nacque il
concetto, destinato a diventare fondamentale
per il pensiero occidentale,
di «essere», «uno ed immutabile
», di sostanza indistruttibile,
causa di tutte le trasformazioni dell’universo.
Si tentò allora di superare
il contrasto tra l’essere immutabile
di Parmenide e l’eterno divenire
di Eraclito, sostenendo che
l’Essere fosse presente in alcune sostanze
invariabili che, mescolandosi
e separandosi, permettevano i
cambiamenti che avvengono nella
realtà.
Con Democrito si arrivò al concetto
di atomo, la più piccola unità
indivisibile di materia. In questo
modo gli atomisti greci separarono
definitivamente i concetti di spirito
e materia, quest’ultima immaginata
come costituita da diversi «mattoni
fondamentali», inerti, il cui moto era
spesso associato a forze spirituali
diverse dalla materia.
Nei secoli successivi, questa immagine
divenne un elemento fondamentale
del pensiero occidenta-
le, sempre più caratterizzato dal
dualismo tra mente e materia, anima
e corpo. In questo contesto, i filosofi
ritennero più importante il
mondo spirituale, l’anima umana ed
i problemi etici, piuttosto che il
mondo materiale.
Solo dopo duemila anni, con il Rinascimento,
nacque, accanto alla
matematica, un nuovo interesse per
la natura, il cui studio fu affrontato
per la prima volta con spirito scientifico
e sperimentale. Galileo Galilei,
il primo ad impiegare insieme
matematica e conoscenza empirica
(derivante non da affermazioni teoriche,
bensì da esperimenti pratici),
è considerato il padre della scienza
modea.
Lo sviluppo di quest’ultima continuò
fino a quando, nel Seicento,
René Descartes (Cartesio) fondò una
concezione della natura basata
sulla separazione netta tra la realtà
della mente e la realtà della materia.
Tale filosofia portò gli scienziati da
un lato a considerare la materia come
inerte e completamente distinta
da se stessi e, dall’altro, a rappresentare
il mondo materiale come un
insieme di oggetti diversi fra loro e
uniti insieme come a formare una
gigantesca macchina («meccanicismo
», cfr. puntata 1).
Su queste basi nacque la meccanica
e da questa la fisica classica; e
proprio il modello meccanicistico
(sostenuto da Isaac Newton) dominò
il pensiero scientifico fino alla
fine dell’Ottocento.
La famosa frase di Cartesio cogito
ergo sum, «penso quindi sono», mostra
come l’uomo occidentale si identifichi
con la propria mente anziché
con l’intero organismo: l’uomo
moderno vede se stesso, il più
delle volte, come un «io» che vive
«all’interno» del proprio corpo,
controllato dalla mente, e quindi
causa di conflitti tra volontà cosciente
(mente e razionalità) e istinti
involontari (corpo ed emozioni).
A sua volta, ogni individuo si schematizza
secondo le proprie capacità,
attività, sentimenti, opinioni…, con
la conseguente frammentazione in
tanti e differenti, spesso conflittuali,
compartimenti separati tra loro.
Analogamente, anche il mondo esterno
è visto come un insieme di
oggetti e fenomeni a se stanti: la natura
diventa così un insieme di parti
separate, sfruttabili da interessi
differenti. Questa visione non unitaria
investe infine anche la sfera
della società, suddivisa infatti in nazioni,
razze, gruppi religiosi, gruppi
politici.
La concezione che tutti i frammenti
(in noi, nell’ambiente, nella
società) siano effettivamente separati
potrebbe rappresentare la causa
profonda delle attuali crisi sociali,
ambientali, culturali.
L’uomo si è infatti estraniato dalla
natura e, allo stesso tempo, dagli
altri esseri umani, dimenticando
che egli stesso è, invece, parte della
natura ed assolutamente dipendente
da essa, e che la sua stessa esistenza
è inscindibilmente legata a
quella degli altri uomini. Come conseguenza,
egli ha trascurato sia il rispetto
per la natura sia la solidarietà
nei confronti dei suoi simili. In altre
parole, è diventato «egoista».

L’UOMO È NATURA
Si è visto come la concezione cartesiana
abbia comportato allo stesso
tempo benefici e danni: da un lato
lo sviluppo della fisica classica e
della tecnologia, dall’altro la frammentazione
interiore, con l’ambiente
e con la società.
Contrariamente alla concezione
meccanicistica occidentale, la concezione
orientale è di tipo «organicistico
»: ossia considera collegati
tra loro tutte le cose e i fenomeni
percepiti dai sensi, come se fossero
solamente differenti aspetti o manifestazioni
della stessa realtà ultima.
La tendenza della nostra mente a
misurare e a classificare sarebbe la
causa della percezione frammentata
del mondo e della separazione fra
l’uomo e la realtà estea.
Come si è accennato nella prima
puntata di questa inchiesta (MC
gennaio 2002, pag.53, Glossario), la
fisica modea, con lo studio a livello
atomico e subatomico, si è riavvicinata
a molti aspetti della concezione
orientale, infrangendo parecchi
concetti sui quali si basava la
fisica classica, fra i quali quello di
particelle solide elementari, di natura
causale dei fenomeni, di descrizione
oggettiva della natura.
La fisica modea, infatti, mostra
che, per quanto ci si addentri nella
materia, non viene rilevata la presenza
di un «mattone fondamentale
» isolato, bensì una rete complessa
di relazioni tra le varie parti del
tutto, le cui caratteristiche dipendono
da chi osserva. Ossia, nella fisica
atomica non esiste la separazione
cartesiana tra «io» e «mondo»; non
si può parlare di natura senza parlare,
allo stesso tempo, di noi stessi.
Molto spesso concetti ovvi e dati
per scontati sono invece i più facilmente
dimenticati e non considerati.
Tra questi, sicuramente, svetta il
fatto che l’uomo non solo è collegato
con la natura, ma «è natura». Il
nostro corpo scambia con l’ambiente
energia e materia in modo continuo.
La natura ci offre gratuitamente
servizi essenziali alla vita: purificazione
di aria ed acqua, protezione
dai raggi ultravioletti, stabilizzazione
climatica, rigenerazione del suolo,
mantenimento della biodiversità,
decomposizione dei rifiuti, nonché
valore estetico, stimolo intellettuale,
valore scientifico: sono proprio i servizi
che lo sfruttamento eccessivo
delle risorse e l’inquinamento stanno
compromettendo.
Trascorrere la propria vita in una
città, lontani dal luogo di origine e
di smaltimento finale dei beni consumati
(beni oltretutto importati da
tutto il mondo) ha una forte influenza
sulla concezione attuale della
natura, vista come luogo ricreativo
o di produzione delle materie
prime, piuttosto che come l’elemento
che ci permette la vita stessa.

UN SISTEMA CONTRO NATURA
L’attuale approccio dell’uomo nei
confronti della natura è di tipo utilitaristico.
L’intera economia, infatti,
ha le sue fondamenta sia sulle risorse
naturali messe a disposizione
gratuitamente dal pianeta sia sulla
capacità degli ecosistemi di assorbire
rifiuti ed inquinamento. Il sistema
economico preleva dalla natura
energia e materia (minerali, petrolio,
carbone, acqua, aria, suolo,
biomassa vegetale ed animale…), le
quali vengono impiegate per la produzione
di merci e servizi; sia durante
la produzione sia durante il
consumo vengono prodotti rifiuti
(solidi, liquidi, gassosi), finché è il
bene stesso a diventare rifiuto.
Ebbene l’economia preleva dall’ambiente
enormi flussi di materia
che tornano all’ambiente stesso sotto
forma di scarti ed inquinamento.
Due sono le considerazioni che scaturiscono
da quest’analisi, tanto banale
quanto ignorata: i limiti alla
crescita continua e la mancanza di
consapevolezza da parte del singolo
consumatore.

I LIMITI FISICI E BIOLOGICI ALLA CRESCITA
Dal momento che tutto ciò che
viene prelevato dall’ambiente come
risorsa vi ritorna in qualche altra
forma come rifiuto, è necessario che
la velocità con cui si estraggono le
risorse (legname, acqua, massa vegetale…)
non sia maggiore della velocità
con cui queste si rigenerino, e
analogamente che la rapidità con
cui si producono rifiuti (solidi, liquidi,
gassosi) non sia maggiore della
velocità di assorbimento degli
stessi da parte degli ecosistemi (aria,
acqua, suolo, foreste…).
Due sono i fronti sui quali operare
per evitare le emergenze ambientali:
lo sfruttamento eccessivo
delle risorse a monte dei processi
produttivi e la produzione di rifiuti
e inquinamento a valle.
Non considerare questi aspetti significa,
da un lato, mettere a repentaglio
la materia prima su cui si basa
l’economia stessa e, dall’altro,
provocare trasformazioni irreversibili
negli ecosistemi, con effetti non
sempre prevedibili sull’uomo (effetto
serra, diminuzione della fascia
di ozono stratosferico o «buco dell’ozono
», cambiamenti climatici,
piogge acide, desertificazione e siccità,
alluvioni, smog fotochimico in
città).
Ciò che preoccupa non è solo il
fenomeno in sé (ad esempio la diminuzione
dei ghiacciai, le alluvioni,
le estati particolarmente calde…),
ma la maggior velocità e frequenza
con cui il fenomeno stesso
si presenta rispetto ai secoli scorsi.
Esistono, quindi, dei limiti fisici
e biologici alla crescita continua
dell’economia, economia che dovrebbe
essere organizzata non in
base ad interessi a breve termine
ma, al contrario, su considerazioni
di lungo periodo.

COSA C’È DIETRO UN PRODOTTO?
Esiste un modo molto semplice
per diventare consapevoli:
a) di come l’economia dipenda dalla natura;
b) di come qualsiasi gesto quotidiano,
da un lato, comporti enormi
flussi di materiali trasportati da un
luogo all’altro del pianeta e, dall’altro,
rappresenti un contributo alle
trasformazioni negli ecosistemi;
c) del ruolo attivo di ogni cittadino
nei confronti della distruzione o, al
contrario, della protezione e conservazione
della natura.
È sufficiente chiedersi, per ogni
oggetto utilizzato e per ogni azione
compiuta quotidianamente, la storia
di quell’oggetto o di quell’azione.
Purtroppo, nella società attuale,
il cittadino si comporta quasi esclusivamente
da consumatore: si entra
in un negozio, si vede una cosa, la si
prende e la si paga. Non ci si accorge
che quella transazione in denaro
nasconde una transazione con la natura.
Ogni oggetto è costruito da
qualcuno, in certe condizioni lavorative,
depauperando risorse naturali,
emettendo determinate sostanze
inquinanti; poi l’oggetto viene
trasportato (con ulteriore impiego
di materiali ed energia) nel luogo di
vendita, e qui consumato e utilizzato,
per poi diventare rifiuto e necessitare
di uno smaltimento finale
(discarica, inceneritore…).
In gergo tecnico si parla di «studio
del ciclo di vita di un prodotto
», ossia l’analisi delle materie e
dell’energia impiegate durante tutte
le fasi della vita di un bene, «dalla
culla alla tomba», ossia dall’estrazione
delle materie prime allo
smaltimento finale. Un’analisi simile
consente di individuare le varie
interconnessioni fra ambienteeconomia-
società, delle quali si è
parlato nella prima puntata di questa
inchiesta.

DIVENTARE CONSUMATORI RESPONSABILI
L’impatto sulla natura (nonché
sulla società: sfruttamento, lavoro
minorile, violazione dei diritti umani)
può essere diminuito diventando
consumatori responsabili.
Questi sono uomini e donne che
consumano meno e meglio: ossia attenti
alla storia dei prodotti acquistati
(sia dal punto di vista ambientale
sia sociale), a produrre meno rifiuti
(privilegiando prodotti di lunga
durata, evitando l’usa-e-getta e gli
imballaggi superflui, riparando gli
oggetti prima di cambiarli), a modificare
i propri stili di vita in nome di
un benessere fisico e psichico autentico,
ad informarsi costantemente
e ad informare gli altri.
(fine 2.a puntata)

BIBLIOGRAFIA e SITI INTERNET

Worldwatch Institute, State of the
World 2002 (il Worldwatch Institute
di Washington è considerato uno dei
più autorevoli centri studi mondiali
sullo stato di salute del pianeta)
Wuppertal Institut, «Futuro Sostenibile
», EMI, Bologna 1999
Gianfranco Bologna (a cura di),
Italia capace di futuro, EMI, Bologna 2000
Fritjof Capra, Il Tao della fisica,
Adelphi Edizioni, Milano 1999
Franco Tassi, L’Ecosociologia: una
nuova disciplina per l’ambiente,
Edizioni Parco Nazionale dell’Abruzzo,
Roma 1993
Giorgio Nebbia, «Corso di Economia
ecologica», sul sito
http://web.tiscali.it/casalepodererosa/
univerde/uvee99.htm
www.worldwatch.org
www.altronovecento.quipo.it
«Altronovecento – ambiente, tecnica,
società», Rivista on-line, Direttore
Giorgio Nebbia

IL MOBILIERE
Essere un consumatore responsabile non è sempre facile. Per alcuni
prodotti è molto difficile. Uno di questi è rappresentato dal legname.
Da dove proviene il legno con cui sono costruiti i nostri mobili?
Chiedo ad un negoziante se la materia prima dei suoi mobili provenga
dalle foreste a rotazione, ossia foreste dedicate alla produzione
di legname, ma opportunamente gestite secondo i cicli di crescita delle
piante (molto note sono quelle svedesi): «Foreste a… cosa?» risponde
stupefatto. Forse è meglio lasciar perdere? No, non demordo. Entro
in un altro negozio e domando da dove provengano il noce ed il ciliegio
di due bellissime librerie. Guardandomi come se avessi chiesto
delle assurdità, il mobiliere mi risponde: «Beh… tutti i noci vengono
dall’Africa!». Sì, compresi soprattutto quelli derivanti dal taglio della
foresta pluviale, destinata quindi a trasformarsi in deserto…
Una buona notizia è rappresentata dalla nascita (lo scorso dicembre)
dell’Associazione non-profit Gruppo FSC-Italia. L’FSC (Forest Stewardship
Council o Consiglio per la Gestione Forestale Sostenibile) è un’organizzazione
internazionale non governativa, indipendente e senza scopo
di lucro, che ha l’obiettivo di fornire al consumatore strumenti concreti
per uno sfruttamento corretto delle risorse del pianeta e per un
rapporto equo verso le popolazioni che abitano le foreste e spesso le
utilizzano come unica fonte di sussistenza.
In Italia, i prodotti certificati FSC sono ancora rari, ma in paesi come
Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, mobili, infissi, matite, carta igienica
e migliaia di altri articoli con il marchio FSC occupano percentuali
significative di mercato.
L’industria italiana del legno è una delle maggiori del mondo. I produttori
comprano legname in tutto il mondo, inclusi i paesi dove la deforestazione
procede a ritmi devastanti, come Camerun,Gabon, Malesia,
o dove la gestione non proprio sostenibile degrada la biodiversità, come
in molti paesi europei.
Ecco perché il WWF Italia ha lanciato una campagna per trovare imprese
che si impegnino nella commercializzazione di prodotti costituiti
da materie prime forestali certificate FSC.

Per informazioni: Club per il legno Eco-certificato (rivolgersi al dr. Edoardo Isnenghi,
tel. 06.844.97.389);
www.fscoax.org, www.panda.org/forests4life

IL VIGILE URBANO
Piemonte, gennaio 2002. Allarme siccità e inquinamento atmosferico.
Non piove da più di tre mesi, i letti dei fiumi sono spaventosamente
secchi, l’agricoltura è a rischio. Torino è la città più inquinata
d’Italia. Superati ripetutamente i limiti di molti inquinanti, in particolare
le polveri (le cosiddette «PM 10»). Allarme patologie respiratorie.
Provvedimenti per limitare il traffico automobilistico: targhe altee il
mercoledì e giovedì ed uno sporadico blocco totale domenicale della
circolazione.
È in una situazione come questa che può manifestarsi il grottesco ed
al momento insanabile conflitto tra «crescita economica» e «sviluppo civile
». Sì, perché in questi giorni critici (settimane…) è possibile vedere
quei famigerati macchinari che, stendendo l’asfalto, a dispetto delle innovazioni
tecnologiche, regalano ai nostri polmoni fumi irritanti e tossici
i quali, uniti ai famigerati inquinanti atmosferici, rendono l’aria della
zona interessata irrespirabile. Nei momenti di maggior crisi da inquinamento
atmosferico non sarebbe più utile posticipare questi lavori,
spesso superflui?
La gentile operatrice dell’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) passa
la patata bollente al nucleo di Polizia ecologica, che mi rimanda ai vigili
di zona. «Non è possibile fermare questi lavori, l’impresa ha un appalto
e deve rispettare i tempi, altrimenti dovrà pagare delle penali»,
mi risponde il vigile. «D’altronde è un servizio di utilità pubblica!». Scusi,
ribatto, forse la salute pubblica non lo è? «E poi – insiste – il lavoro
durerà al massimo un’ora!» Sì, ma quando finisce sotto casa mia si sposterà
da qualche altra parte! «Comunque non si preoccupi, viene emesso
solo vapor d’acqua». Solo vapor acqueo?… Tutto quadra con la
«cultura» dominante: meglio avere la viuzza sotto casa con l’asfalto liscio
come la pista di Monza, ed i polmoni neri. Tanto i polmoni non si vedono…

L’approccio dell’uomo alla natura
SFATARE IL MITO DEL «PRODOTTO INTERNO LORDO»
Lo studioso americano Stephen Kellert ha cercato di elaborare una
scala di valori dell’approccio umano alla natura, sulla base di inchieste
e sondaggi effettuati negli USA dal Servizio naturalistico del
ministero dell’Inteo (anni ’80). I risultati (riportati da Franco Tassi,
cfr bibliografia) sono molto interessanti e sono rappresentati da una
decina di atteggiamenti dai contenuti anche molto diversi fra loro:
1. approccio negativistico: indifferenza, ripugnanza o paura portano ad evitare gli animali e l’ambiente naturale in generale;
2. dominativo: prevale la soddisfazione derivante dalla padronanza e dal controllo, in particolare sugli animali, per esempio in molte situazioni sportive (caccia, equitazione…);
3. utilitaristico: l’interesse principale è rivolto all’utilità e quindi al valore,
pratico e materiale, di animali e piante;
4. estetico: qui l’interesse primario concee le caratteristiche artistiche
e simboliche degli esseri viventi e del paesaggio;
5. scientifico: considera le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche;
6. moralistico (o umanitaristico): pone attenzione a come vengono
trattati gli animali, valutandoli come individui e denunciando qualsiasi
tipo di sfruttamento e crudeltà nei loro confronti (anche se, generalmente,
l’interesse è rivolto soprattutto ad animali grandi ed attraenti,
con legami di tipo antropomorfico);
7. ecologistico: l’interesse fondamentale verte sull’ambiente come sistema
e sulle interrelazioni tra le specie viventi e gli habitat naturali;
8. naturalistico: si distingue per un’affezione profonda per la vita selvatica
ed il suo ambiente naturale in genere;
9. conservazionistico: mira alla conservazione della natura e al razionale sfruttamento delle sue risorse;
10. ambientalistico: aspira ad una situazione in cui la specie umana viva in armonia con la natura, intesa come l’ambiente originario per tutti gli esseri viventi.
Questi studi, analizzando la psiche umana, permettono di capire in
che direzione la società si stia orientando, ossia se continui a inseguire
il prodotto interno lordo o, come disse un capo di stato africano,
la «felicità complessiva netta», frutto non solo di consumi materiali,
ma anche e soprattutto di un benessere fisico e psichico, garantito
da un rapporto armonioso con la natura.

Le parole-chiave…
Prodotto interno lordo (Pil): è il
valore totale dei beni e servizi finali
prodotti in un anno dal sistema economico.
Ritenuto dai vari soggetti
della società civile (politici, economisti,
media, opinione pubblica) un
indicatore del benessere di una
nazione, il Pil misura esclusivamente
il valore economico del flusso di
attività.
Felicità complessiva netta: non è un
termine tecnico, ma una «formula»
che intuitivamente vuole contrapporsi
al concetto di Prodotto interno
lordo, rivalutando un benessere
psico-fisico diverso dal mero benessere
materiale.
Ciclo di vita: il ciclo di vita di un
prodotto è rappresentato dall’insieme
degli stadi che concorrono alla
sua realizzazione. Analizzare il ciclo
di vita significa esaminare il percorso
che va dall’estrazione delle materie
prime, a tutti i processi di trasformazione
e di trasporto che esse
subiscono, fino allo smaltimento del
prodotto stesso come rifiuto. Si
parla di analisi del prodotto «dalla
culla alla tomba» o «dalla culla alla
culla», se si prevede un riutilizzo o
un recupero del prodotto stesso.
Limiti alla crescita: per «crescita» si
intende uno sviluppo esclusivamente
quantitativo, tradotto generalmente
nell’aumento del Pil di un
Paese. Si differenzia dalla modea
accezione di «sviluppo», termine che
vorrebbe sottolineare l’importanza
degli aspetti qualitativi del benessere
(«qualità della vita»). I limiti alla
crescita sarebbero rappresentati
non da motivazioni etiche, bensì
dalla limitatezza delle risorse del
pianeta e dalla limitata capacità di
assorbimento di rifiuti ed emissioni
da parte degli ecosistemi.

Silvia Battaglia