NEISU (R.D. Congo): storica assemblea su una questione scottante


È possibile rimanere fedeli alla propria identità, pur
rinnovando tradizioni non più compatibili con la dignità umana e il
rispetto delle persone? Ci hanno provato i «mangbetu», con un’assemblea
che, certamente, farà storia.

 

15 maggio
2001: una data che oserei definire «storica» per i miei mangbetu, famosa
etnia nel nord della Repubblica democratica del Congo. È il giorno del
loro grande incontro sul tema: «Si deve ancora pagare il cadavere?».

Nessuno si
stupisca, perché la questione non è così strana come sembra; anche perché,
dopo un interessante dibattito, ne è uscita una risposta che rivoluziona
consuetudini secolari.

Ma
procediamo con ordine.

 Nelle
relazioni familiari tra i mangbetu un posto di primo piano spetta senza
dubbio agli zii matei, chiamati banoko. Tra zio e nipote si instaura una
fortissima relazione. Se qualcuno vuol manifestare vicinanza e simpatia,
chiama l’interessato noko, zio. È usanza, consolidata tra i mangbetu, che
i propri figli siano affidati per anni agli zii. In molti casi i genitori
(zii a loro volta di altri) allevano nipoti, mentre i propri figli sono
allevati dagli zii.

La
famiglia come è concepita in Europa (papà, mamma, figli) va un po’ stretta
all’Africa. Il bambino deve, fin da piccolo, conoscere molto bene gli zii
matei, perché la vita viene di là. Quando è ormai cresciuto, torna dai
genitori, oppure, se ha raggiunto la maturità, inizia egli stesso una
nuova famiglia.

Solamente
la morte del nipote rompe definitivamente questo strettissimo legame
vitale. Inizia, allora, un cerimoniale, e chi ne fa le spese è la famiglia
ristretta dove il nipote è deceduto.

Perché
avviene questo? Qual è il significato di avvenimenti che si ripetono ad
ogni morte? Gli antropologi parlano di risarcimento o compensazione. È
come se il congiunto (degli zii matei) fosse stato solamente «prestato»
alla famiglia (come sposo, sposa, figlio); la sua morte impoverisce la
famiglia di origine (zii matei) e, quindi, occorre risarcirla, darle un
compenso. E chiamano questa operazione «kofuta ebembe», ossia pagare il
cadavere.

I banoko
partono dal luogo della sepoltura del nipote con capre, polli, maiali,
soldi e vari oggetti (coltelli, pentole, vestiti…). Ma questo crea
l’impoverimento improvviso (a volte totale) della famiglia dove è avvenuto
il decesso. Si scoprono sempre più vere tragedie familiari.

La morte è
così frequente (anche a causa dell’Aids) che è difficile trovare una
famiglia che non abbia vissuto tale problema. Per cui si scopre che i
figli del defunto non vanno a scuola, perché i soldi non ci sono: li hanno
presi i banoko. Uno muore perché non può permettersi l’ospedale: i banoko
hanno portato via tutto. La vedova resta sovente in una situazione
pietosa: le hanno portato via persino gli utensili da cucina e il prezioso
bidone per attingere acqua alla sorgente.

Le
lamentele sui banoko e sul loro intervento alla morte del nipote è un
fatto generalizzato. Tutti piangono. Ma occorre pure dire che tutti sono
banoko e, presto o tardi, arriverà l’occasione di appropriarsi delle cose
alla morte di un nipote. Allora ci si rifarà. Resta tuttavia il fatto che
di questa usanza, anche se seguita da tutti, si farebbe volentieri a meno.

Ma i capi,
gli anziani, i detentori della tradizione sono d’accordo di abolirla? E
come accordarla con il vangelo?

  Alla
missione di Neisu abbiamo iniziato un lavoro di sensibilizzazione e
coscientizzazione sul problema. Si sono diffusi ciclostilati nelle
comunità di base. Si è pregato per una novena in tutte le cappelle. Ci si
è incontrati con i capi e gli anziani. Ci si è accordati con le altre
chiese cristiane. Frutto di tutto questo lavoro, durato qualche mese, è
stata la grande «assemblea dei mangbetu» in località Egbita, a sei
chilometri da Neisu. Il 15 maggio 2001, appunto.

I
partecipanti furono 2.119, così ripartiti: 1.028 uomini, 717 donne e 374
ragazzi. Interessante anche l’atmosfera ecumenica: i lavori furono aperti
dalle parole di padre Simon Tshiani, missionario della Consolata, e dal
pastore protestante Thomas, che ha presentato in lingua mangbetu le
tradizioni della tribù su questo tema scottante. Suggestivo è stato pure
il suo modo di esporre i problemi, intercalati da canti tradizionali, da
lui stesso composti, che invitavano al cambiamento di mentalità.

È seguito
un lavoro a gruppi, costituiti dalle diverse «collettività» (entità
amministrative), presieduti ciascuno dal capo tradizionale, dagli
«intellettuali» e dagli agenti pastorali: una vera concertazione a largo
raggio. Dopo un acceso dibattito in assemblea, è stato elaborato e votato
un documento finale, scritto in lingala (una delle lingue nazionali del
Congo) e firmato dai tre capi tradizionali, vincolante per tutti (vedi il
riquadro)… Ho fatto pervenire la documentazione all’amico Stefano
Allovio, grande conoscitore dei mangbetu. In una lettera mi ha risposto:
«Questa operazione di chirurgia sui costumi ancestrali è molto
interessante… Ma terrà?».

È quanto
ci chiediamo tutti, missionari e mangbetu. Finora la risposta è: tiene!

 

 

 


Se così stanno le cose

Nodadai:
gli zii del defunto sono chiamati a dare una somma di denaro. È possibile
che, da vivo, il defunto abbia dato frecce o lance agli zii, affinché alla
sua morte, facciano scorrere del sangue (vendetta). Questa si chiama «nongu».
A noi mangbetu giudicare se è un buon testamento.

Amuteno: è
il diritto di sepoltura da attribuire agli zii del defunto. Senza amuteno,
il cadavere rimarrà senza sepoltura, anche se il corpo va in
decomposizione. A noi mangbetu giudicare se questa pratica è buona.

Neposo:
dopo la sepoltura, è obbligatorio dare agli zii da mangiare: maiale o
capra, da uccidere subito, e il necessario in banane, manioca, olio e
tutti i condimenti.

Nekuwe
andreti: significa cercare i parenti remoti del defunto, affinché possano
anch’essi trarre profitto del neposo.

Nemongimbo:
è obbligatorio; per cui si comincia subito a trattare, mettendo da parte
la tristezza. Nemongimbo è una multa esigita dagli zii ed è in stretta
relazione con l’importanza del defunto: molti soldi, parecchie teste
d’animali, banane… senza contare i condimenti. A volte tutti gli animali
del defunto sono consegnati agli zii del defunto; così i figli e la vedova
rimangono senza niente. A noi mangbetu giudicare tale modo di fare.

Nuodutulu:
le donne sposate (sorelle del villaggio) possono ritornare dai loro sposi
solo dopo aver pagato o essersi liberate da questi obblighi; altrimenti le
donne rimangono prigioniere nel villaggio d’origine. Tale usanza può
portare al divorzio o all’adulterio. I bambini sono abbandonati alla loro
sorte. Tocca a noi mangbetu vedere se ciò è buono.

O ubwho:
sono gli obblighi, i lavori forzati o le pene inflitte sia al vedovo che
alla vedova, sia ad un membro prossimo della famiglia, come può esserlo un
cognato del defunto. Ecco alcuni esempi di pene inflitte: non mangiare né
bere senza permesso o pagare una somma di denaro prima di poterlo fare;
non lavarsi e non pettinarsi; obbligo di camminare sul ciglio della strada
o in mezzo all’erba. Lavori forzati, quali costruire una casa, cercare
legna speciale per il fuoco…  A noi mangbetu giudicare se queste
pratiche vanno bene.

Decisioni
finali

1. Noi,
mangbetu, non faremo più pagare per il cadavere, perché questa pratica non
contribuisce allo sviluppo della persona e del paese; perché i soldi che
si ricevono per un cadavere non aiutano l’individuo per molto tempo (Ez
24, 15-16).

 2. Noi,
mangbetu, non vogliamo più fare soffrire la gente, quando un parente
muore: tagliare i capelli, obbligare le persone a dormire per terra,
obbligare a trasportare il cadavere, chiedere soldi per bere e mangiare,
vietare di dormire bene, fare camminare la persona con la testa bassa… (Deut
14, 1-2).

 3. Noi,
mangbetu, non obbediremo più ai cattivi comandamenti (ai cattivi
testamenti) di un morto, perché ciò causa inimicizia tra noi (Deut 21,
25-26; Rm 12-17). Se è un buon comandamento (un buon testamento) possiamo
rispettarlo, per esempio: dividere l’eredità tra i figli. Il testamento è
cattivo quando si lascia il coltello o la lancia («nongu a mokpu») perché
è fare ritornare il male con il male. In questo caso noi non lo
rispetteremo.

 4. Noi,
mangbetu, ci rifiutiamo di trattenere una donna sposata nel villaggio
d’origine del defunto (matanga) per richiedere in cambio del suo rilascio
del denaro (noudutulu), perché non potrà servire il suo sposo ed è esposta
all’adulterio, cosa estremamente vergognosa e proibita nel luogo dove
qualcuno è morto (Mt 19, 6).

 5. Quando
muore qualcuno, gli zii e i familiari del defunto condividano il dolore e
mangino insieme. I parenti del villaggio e i vicini condividano anche
tutte le spese per fare una buona sepoltura; la sepoltura sia fatta il
giorno dopo il decesso; lo stare insieme, per condividere il dolore, non
superi la durata di tre giorni; se il corpo del defunto comincia a
decomporsi dopo le 24 ore dal decesso, bisogna seppellirlo subito nel
luogo in cui si trova (Rm 12, 15-16). Noi, zii, ci impegniamo a non
chiedere più nessuna cosa.

 6. Noi,
mangbetu, non possiamo esigere pagamenti per riparare la morte di
qualcuno: per esempio, quando una donna muore e non si è ancora pagato il
dovuto (dote); mentre, se la figlia è in vita, i genitori o il genitore
hanno il diritto di richiedere la dote.

Antonello Rossi

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