MA IL CUORE RIMANE IN COLOMBIA

New York è
la quinta città colombiana, dopo Bogotá, Medellín, Cali, Barraquilla. Ne
abbiamo parlato con Maurizio Suarez Copete, console colombiano a New York.

«New York
è la quinta città colombiana, dopo Bogotá, Medellín, Cali, Barraquilla.
Circa un milione vivono a Jackson Heights (detto la pequena Colombia) nel
Queens e a Elisabeth nel New Jersey». Così ci spiega Maurizio Suarez
Copete, console colombiano a New York.


Il giornale americano che parla
di più della Colombia è il New York Times; gli altri ne scrivono quando ci
sono di mezzo droga e guerra. Esiste uno studio serio, che affronti il
problema dei colombiani a New York e non li veda solo come problema, ma
anche come risorsa?

Tuttavia
le caratteristiche di questa comunità, i suoi problemi,  bisogni,
aspirazioni e l’impatto sulla vita sociale, politica ed economica è 
ancora poco studiato. Oggi la maggioranza degli americani considera i
colombiani residenti negli Usa un guaio! Grazie a Dio, in questi ultimi 
anni, il bisogno di conoscere meglio la comunità colombiana è incominciato
a crescere. Un progetto di collaborazione tra il consolato generale della
Colombia di New York e la Wagner Graduate School for Public Service
dell’università di New York sta aiutando a capire le caratteristiche
dell’emigrazione, come pure  i problemi e bisogni della comunità
colombiana.

Oltre
ai risultati della ricerca (che mostrano il colombiano come grande
lavoratore, ligio alle tradizioni e appassionato ricercatore del sogno
americano), cosa ci si prefigge di raggiungere con questo progetto?

Anche se
la maggioranza colombiana svolge lavori manuali, vi è un crescente gruppo
di professionisti, come avvocati, dottori, architetti, managers e
banchieri… Mi sta a cuore sapere come questi emigranti si inseriscono e
adattano all’ambiente in cui vivono, conoscere la percezione che gli
emigranti hanno dell’attività che svolgono, esplorare le organizzazioni in
cui lavorano, seguire in particolare i servizi del consolato a loro favore
e togliere o migliorare gli stereotipi sui colombiani americani.


Negli
Stati Uniti le occupazioni principali dei colombiani sono lavori manuali:
casalinghe, camerieri, operai di fabbrica, assistenti ai commercianti,
bidelli, custodi di palazzi e così via. E vi rimangono per parecchi anni.
Ciò dimostra che un’alta percentuale ha lavori fissi, stabili.

Questo
contraddice lo stereotipo, a volte diffuso e accettato per motivo di
ignoranza, che la popolazione colombiana sia disoccupata, impegnata in
occupazioni illegali. Inoltre è da notare che, anche se i colombiani a New
York si trovano in condizioni migliori di altri gruppi latinoamericani,
non sono esenti da necessità e problemi. Il 40 per cento, ad esempio, non
gode di un’assicurazione medica e, dunque, non è protetta contro i rischi
della salute.


Che cosa fa lei, come console,
per convincere i colombiani a frequentare la scuola?

I sondaggi
presi nelle scuole di New York rivelano che il 61 per cento dei colombiani
ha riportato  un diploma di scuola superiore durante gli ultimi tre anni;
inoltre,  dopo la popolazione bianca e paragonati agli altri latini e
afro-americani, i colombiani che frequentano l’università sono al secondo
posto.

Qui devo
menzionare l’opera della dottoressa Gloria Gomez, nata a Bogotá 45 anni or
sono, attualmente direttrice della Zoni Language  Center. È un sistema
scolastico composto di 25 centri, che ha diversi scopi: migliorare
l’istruzione dei giovani colombiani, per confutare l’immagine negativa che
il mondo esterno ha del loro paese; far conoscere la lingua e cultura
inglese; sopperire alla mancanza di rappresentanza politica; combattere la
discriminazione; punire la vendita e l’uso di droga…

Fra
i colombiani c’è chi si integra totalmente nella società  americana e chi
ha già il biglietto di ritorno in patria. Comunque la cultura colombiana è
l’orgoglio di questa gente: sia che rimanga o ritorni in Colombia,
l’identità nazionale resta profonda nel cuore. È vero?


Il mio
lavoro, tuttavia, mira a progettare un piano di azione per servire la
comunità nella zona metropolitana e definie le priorità, che sono varie.
Innanzitutto promuovere i programmi sociali per prevenire l’uso della
droga e della violenza, specialmente tra i giovani. Inoltre lanciare
attività dirette allo sviluppo delle organizzazioni della comunità e
istruire i leaders a dirigerle. In terzo luogo: prendere misure pratiche
per aiutare gli emigranti a trovare lavoro e provvedere informazioni circa
lo stato giuridico, i benefici, diritti e doveri che si hanno negli Stati
Uniti.

Il mio
compito è anche quello di stabilire un ponte tra il governo americano e la
comunità colombiana, in modo che i funzionari statali conoscano e aiutino
i colombiani di New York ad affermarsi sempre di più. È chiaro che i
leaders delle comunità colombiane devono coinvolgersi per debellare i
problemi derivati dall’«immagine negativa», dalla mancanza di
partecipazione nei vari settori della vita pubblica e, soprattutto, dalla
discriminazione.

Dato che
il consolato è limitato in risorse e personale, si avvale di
organizzazioni locali, associazioni professionali, imprese private, chiese
e mass media per organizzare incontri, stabilire programmi d’azione e
preparare leaders che possano aiutare i colombiani ad affrontare le sfide
nel nuovo paese di adozione.


INFORMAZIONE, PER CORREGGERE GLI STEREOTIPI

«HECHOS
POSITIVOS»

Luis
Alejandro Medina, l’anno scorso, ha ricevuto due premi: il premio
nazionale «Bolivar» dalla Colombia, come migliore giornalista all’estero,
e il premio di «eccellente reporter» dalla stazione televisiva 47 per cui
lavora. I suoi reports generalmente riguardano tre aspetti: il legame dei
colombiani con il loro paese, l’impegno a sostenere i compatrioti
all’estero, il coinvolgimento del consolato tra gli immigrati con progetti
e attività.

Sfogliando
il giornale, si notano storie e racconti di un forte attaccamento dei
colombiani alla loro famiglia e amici, l’uso dominante dello spagnolo in
casa, il sogno di ritornare a vivere in patria, l’abitudine di mandare
soldi ai parenti lontani. Nello stesso tempo, si racconta come le
istituzioni del Nord America siano più efficienti di quelle colombiane;
come un grandissimo numero di colombiani siano diventati cittadini degli
Stati Uniti e facciano uso del diritto di doppia cittadinanza; come
moltissimi stiano integrandosi con la cultura degli Stati Uniti, pronti a
organizzarsi per il bene comune. La grande maggioranza dei colombiani in
America apprezza la libertà di agire, senza essere criticati o repressi.

Hechos
Positivos si batte pure perché il consolato migliori la qualità dei
servizi e informazioni sulle attività pubbliche, sostenga le attività
culturali e folcloristiche, realizzi le aspettative della gente e gli
impegni per cui riceve aiuti, migliori l’immagine della Colombia
all’estero, crei organismi capaci di affrontare le risorse pubbliche.


Soprattutto incoraggi la comunità colombiana a formare una rappresentanza
che migliori il futuro.

Al Barozzi