Povertà: solidarietà e giustizia

Cari missionari,
vi sottopongo due semplici domande.
1. Ho letto che esiste un popolo di miserabili, che sopravvivono cercando granchi in acquitrini: bambini, vecchi e donne stanno tutto il giorno nel fango per trovare granchi e poi venderli con un modesto guadagno. Vivono nelle foreste dell’Amazzonia. Non è possibile aiutarli? Dato il lavoro che svolgono, cadono in malattie invalidanti, e i bambini non vanno nemmeno a scuola.
2. Poiché i silos delle regioni risicole italiane sono colmi (per cui c’è crisi), non è possibile acquistare riso a prezzo modico e inviarlo in Etiopia, Somalia, Sudan… dove le popolazioni soffrono la fame?
So che voi, missionari, vi date da fare per i poveri della terra. E io vorrei che per tutti ci fosse almeno il pane quotidiano.
I. Robbiati
Pavia

Spettabile redazione,
il mondo si evolve e l’uomo realizza il progresso come un continuum immodificabile. Ma non è ovunque così.
Tutta la storia è costellata di baratti primitivi e di scambi evoluti, ma anche di guerre e lotte fratricide per il potere, di grandi invenzioni (spesso militari), trasformate per l’uso civile sotto la regia dell’economia. Questa ha creato l’attuale abisso tra nord e sud del mondo.
Considerando positivo il progresso economico che porta benessere, si scopre però che il bene non è per tutti, perché non può e, soprattutto, non deve essere così. Io parlo di «tirannia economica».
Le nazioni, tecnologicamente avanzate, non trarrebbero beneficio dal progresso di una vasta area, denominata «terzo mondo», se non quello immediato di una manodopera affamata che lavora per un dollaro al giorno. Allo stesso tempo, è vero che nuovi mercati portano a nuovi consumi e nuova ricchezza, che però spesso si riversa in modo precipuo sugli stessi investitori.
Di fronte agli immediati aiuti in denaro ai paesi del sud del mondo (altrimenti sarebbero abbandonati a se stessi) nelle catastrofi naturali e sociali, non è inconscio il desiderio dei grandi di mantenere netta la «separazione». Nel caso contrario, cambierebbe radicalmente lo scenario internazionale, con neo nazioni militarmente instabili e… pericolose per il già delicato equilibrio sullo scacchiere mondiale.
Oggi le multinazionali preferiscono spostare una parte della produzione nei paesi a basso costo di lavoro, per essere più competitive sul mercato; ma non è nell’interesse dei rispettivi governi trasformare un’area depressa in una nuova potenza economica, proprio per le ragioni sopra enunciate.
Quali sarebbero le conseguenze per l’umanità se tutti potessero vivere secondo il modello occidentale, portatore sicuramente di grandi scoperte medico-scientifiche, ma anche centrato sul consumismo voluto, dilagante, satollo?
Ciascuno intanto con la sua auto continua ad inquinare il mondo, che è già ad un punto di non ritorno.
E continua anche il baratro fra ricchi e poveri. La prova tangibile di tale situazione sta nel mancato condono del debito estero ai paesi poveri. Si è fatto ben poco nel concreto.
Noi, che apparteniamo a quel 20 per cento dell’umanità che possiede l’80 per cento delle ricchezze della terra…
Enrico Cerutti
Borgaretto (TO)

Ci troviamo «sostanzialmente» d’accordo con entrambe le lettere. La prima solleva il problema della solidarietà: solidarietà che si impone, specie di fronte a situazioni di grave emergenza. La seconda lettera, più articolata, affronta la questione del complesso rapporto fra nord e sud del mondo: l’uno arricchito e l’altro impoverito.
Spesso si dice: all’affamato non dare solo il pesce; insegnagli invece a pescare, perché solo così non avrà più fame. Ma, se il «pesce» è disponibile solo per pochi privilegiati, che fare?… Ecco allora che la solidarietà rimanda necessariamente alla giustizia internazionale.
Quanto al dramma del debito estero del terzo mondo, si veda l’ennesimo nostro articolo a pagina 12 e seguenti.

I. Robbiati e Enrico Cerutti

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