CONGO – L’amore grande di Anghele

Entusiasta e irruente come sempre,
padre Antonello è ritornato a Neisu,
la missione dove aveva lavorato 15 anni fa,
per rimettersi al servizio di un paese
spaccato in due e sommerso da problemi infiniti.
Annunciando l’amore di un Dio («Anghele»)
che ci salva con la croce
e vuole una vita migliore per tutti.

Dopo 15 anni, sono tornato in Congo con un sentimento di grande gioia, anche se offuscata dal fatto che non avrei più incontrato padre Oscar (vedi inserto), con il quale avevamo iniziato la missione di Neisu in piena foresta…
Ricominciare non è stato facile.

UNA povertà…
troppo visibile

Avevo lasciato lo Zaire. Mi ritrovo nel Congo (repubblica democratica), in una zona staccata dal resto del paese e occupata dai soldati dell’Uganda. Vigono ancora le vecchie cariche politiche, ma mancano i fondi. L’Uganda, occupando queste terre, porta via diamanti, oro, legname, senza investire. Ne consegue che l’intera classe politica (dai governatori ai commissari zonali), polizia, insegnanti, infermieri… non sono pagati. Gli unici che hanno qualcosa sono i missionari e pochi commercianti.
Chi ne patisce le conseguenze è, naturalmente, il popolo, oppresso da multe fantomatiche, requisizioni arbitrarie, imprigionamenti senza processo. Per esempio: un lavoratore della missione di Neisu è stato imprigionato per un litigio in famiglia; oltre un mese di assenza, senza processo, perché nel frattempo doveva lavorare… per il capo!
Avevo lasciato uno Zaire che, comunque, tirava avanti, e ho ritrovato una repubblica solo di nome e allo sfascio.
Nella nostra brousse (60 mila abitanti), 15 anni fa, esistevano una ventina di piantagioni di caffè, due fabbriche per l’olio e una per il cotone. Chi gestiva le piantagioni si preoccupava poco della gente, però assicurava l’assistenza medica agli operai e un salario: non molto alto, ma garantiva un minimo di liquidità per acquistare un vestito, pagare le tasse scolastiche ai figli, curarsi in caso di malattia, ecc.
Dopo la stagione del caffè, venivano le arachidi e, in dicembre, il riso. L’economia funzionava, perché si commercializzavano i prodotti. Alludo, per esempio, alla produzione di riso, a Isiro: i contadini non solo ne avevano per il loro fabbisogno, ma potevano venderlo alla brasserie (fabbrica di birra). E la gente aveva qualche soldo.
Ora, di quelle 20 piantagioni non ne esiste più una. Abbiamo una cappella, che si chiama Noula Huilerie; ma bisognerà cambiarle il nome, perché dell’oleificio esistono solo i muri, giacché hanno rubato anche le lastre zincate.
Funzionava pure la ferrovia: molti sacchi di cemento, per la costruzione del nostro ospedale, sono arrivati in treno. Oggi è solo un triste ricordo.
Ho trovato una povertà estrema, e stento a capirla.
Un giorno scaricavamo la macchina con delle mercanzie. C’era un ragazzo a torso nudo (è raro qui vedere, pur nella povertà, gente che viaggia senza camicia, a meno che siano bambini). L’ho rimproverato. Lui mi ha detto: «Padre, io ho una sola camicia e la uso per la scuola; l’ho lavata e sta asciugando al sole!».
Alla missione non mancano i bambini. Ciò che più mi impressiona è che non cercano più soldi, ma lavoro: tutti ragazzini delle elementari alla ricerca di un po’ di denaro per pagare la scuola. Uno mi ha detto: «Sono stato cacciato, perché non ho pagato la tassa scolastica».
– Chiama papà o mamma e digli che il padre vuole conoscerli per sapere come stanno le cose!
– Papà e mamma sono morti di aids…
Il catechista di un villaggio ha nove figli, quattro suoi e cinque del fratello morto, e li mantiene tutti. Nonostante la pena, i bambini sono accolti da altre famiglie… solo che la situazione diventa sempre più drammatica. Allora i bambini disertano la scuola. Non è colpa loro, come non lo è dei genitori, che stentano a sopravvivere. Le mamme non ce la fanno più. Mancando in casa di un salario, devono arrangiarsi, magari inseguendo i mercatini per racimolare due soldi.
Eppoi basta che ci sia un lutto in casa e tutti i risparmi se ne vanno: perché si deve ospitare le famiglie che arrivano, comprare un lenzuolo per avvolgere il cadavere, costruire la bara per non far torto al morto… Ho ricevuto, da una signora non vedente della Brianza, un pacco di lenzuola, ma stanno andando tutte per i morti, perché bisogna rispettare le tradizioni.
Quando sono arrivato nel dicembre 1999, un dollaro veniva cambiato a 900 mila nouveaux zaires. Oggi ne occorrono 7 milioni! Invitare al risparmio è assurdo, perché non esistono banche.
Facciamo un’opera educativa, per coinvolgere la gente nella gestione delle scuole e dell’ospedale. Infatti la scuola funziona, perché i genitori degli allievi pagano gli insegnanti; pagano pure l’ospedale. Interviene anche la missione per i casi pietosi.
Però mi chiedo di che cosa la gente deve ancora farsi carico, quando è abbandonata dallo stato e abita in un paese ricchissimo senza godee assolutamente nulla.

L’ultimo stregone

Sotto l’aspetto religioso, mi ha favorevolmente impressionato la crescita del clero locale. Anche noi, a Neisu, lavoriamo con un missionario della Consolata congolese: un segno che i tempi stanno cambiando.
Un’altra novità: un tempo si battezzavano quasi tutti adulti; ora il catecumenato è seguito in maggioranza da bambini. L’evangelizzazione di massa è stata fatta; oggi si tratta di approfondire la fede, che in molti è abbastanza marcata.
Un grosso aiuto ci viene dal movimento carismatico, soprattutto a livello familiare: fare ordine nelle famiglie dei poligami e in quelle che hanno difficoltà per la dote matrimoniale. Ci è venuta un’idea: scrivere una lettera (con i protestanti) e proporre ai parenti di chi è sposato già da sette anni di «condonare» la dote, anche se non è stata pagata tutta, e permettere ai figli-nipoti di celebrare il matrimonio religioso.
L’anno santo è stato un forte momento di evangelizzazione. Convinti che il cuore del vangelo è la croce di Gesù Cristo, abbiamo visitato tutte le cappelle, portando il grande crocifisso della chiesa parrocchiale. Abbiamo annunciato in kimgbetu che il compendio della bibbia è la morte di Cristo e che Anghele (Dio) ci ha amati fino alla fine.
L’amore di Dio sono in tanti a conoscerlo, ma un Dio che ci ami fino a morire… Non è buono solo perché ci dà i frutti della foresta o i figli, o perché ci fa felici qualche giorno e poi ci castiga quando le cose vanno male. No, Dio è sempre buono perché è morto per noi!
E non mancano «le conversioni». Un giorno padre Richard è tornato dalla brousse con lo strumento di divinazione di uno stregone. Ha voluto convertirsi al vangelo e, per questo, ha rinunciato ai suoi «strumenti di lavoro», causando dei problemi al capovillaggio, che diceva: «Se costui si fa cristiano, non so più dove mandare la gente a risolvere i problemi, perché è l’ultimo stregone».
Era… potente, perché con la sua soroka (pietra magica) riusciva perfino a mandare i fulmini su chi voleva! Un vecchietto furbo. Eppure si è convertito, non perché vicino alla morte, ma perché davanti alla croce di Gesù ha intuito quanto grande è l’amore del Padre per gli uomini, per lui. È stato un grande segno per tutta la popolazione.
Però la nostra gente non ha il senso dell’eucaristia. Questo ci richiede un grande impegno: la missione non arriva al suo fine se non giunge all’eucaristia. L’eucaristia è il crinale, è l’amore di un Dio che vuole vivere con noi nella storia. Oltre a dispensari e scuole, vorremmo allora costruire chiese in muratura, nei grossi centri, per celebrare e distribuire l’eucaristia la domenica: è attorno ad essa che si consolideranno le comunità cristiane, legate dalla stessa fede e impegnate a cambiare in meglio la realtà.
Puntiamo anche sulle comunità di base, come mezzo di inculturazione del vangelo: pensare ai problemi locali, ma dal punto di vista cristiano. Ad esempio, la morte.
Quando un mangbetu muore, arrivano parenti e amici. Allora sorgono i problemi, perché – dicono – la morte è stata causata da uno della famiglia (anche se il decesso è avvenuto all’ospedale). Con padre Oscar, avevo scritto un libretto, Nella sofferenza ti ho cercato, per evangelizzare il dolore e la morte: un piccolo tentativo per condurre la cultura locale (che di fronte alla sofferenza si ribella in modo violento) alla fede in Gesù salvatore e alla speranza cristiana.
Un messaggio che, se compreso, può allargare il cuore alla speranza e spingere a lottare, senza stancarsi, per costruire un paese e una comunità dove trionfi finalmente la vita.

Il «cuore» Nella missione del «cuore»
padre Oscar Goapper, missionario e medico

Missione di Neisu. Vi si arriva attraverso una via sterrata di 30 chilometri, tra le palme e i bambù della fitta foresta. Tempo, un’ora e mezza di Land Rover, se non piove.
Neisu, in lingua mangbetu, significa «cuore». Un cuore che oggi batte soprattutto nell’ospedale. È sorto in una notte di natale senza stelle, allorché i padri Antonello Rossi e Oscar Goapper si sono visti morire fra le braccia una bambina. «Che evangelizzatori siamo – si sono chiesti i due missionari – se non compiamo le opere del vangelo? Gesù curava gli ammalati. E noi? Quanti bambini moriranno stanotte di malaria! E domani, dopodomani?».
L’ospedale è stato, soprattutto, il capolavoro del genio di padre Oscar in un crescendo irresistibile: pediatria, chirurgia, medicina generale; sala operatoria, farmacia, gabinetto dentistico, laboratorio di analisi, raggi X, orto con piante medicinali locali per produrre, ad esempio, l’artimisia contro la malaria. A Neisu il dottor Oscar ha effettuato la prima ecografia di tutto l’Alto Zaire. Oggi vi si compie anche l’osmosi inversa, ossia la distillazione dell’acqua per ottenere un liquido epirogeno per le flebo.

I mprovvisamente, il 18 maggio 1999, il cuore-tornado di padre Oscar si è schiantato. Troppo lavoro, troppa fatica, troppa tensione in un paese maledetto dalle guerre. Al funerale, i suoi pazienti sono corsi a migliaia: vecchi, donne e bambini sbucavano da ogni spiraglio della foresta, dopo aver inseguito sentirneri anche di 50 chilometri. La scena si è ripetuta, 40 giorni dopo, per la tradizionale matanga (fine del lutto).
Secondo il costume dei mangbetu, padre Oscar è stato sepolto in casa, cioè nel cortile dell’ospedale. Così, di fronte a quella tomba, i nonni racconteranno ai nipoti la storia di mupe Oscari: (padre Oscar): un missionario della Consolata argentino che nel 1994, a 43 anni, si è pure laureato a pieni voti in chirurgia e medicina a Milano, dopo aver fatto la spola tra Africa ed Europa.

G iungiamo a Neisu una domenica, all’alba. E ci imbattiamo subito in… Oscar, «nel cuore della missione del cuore». Il cortile dell’ospedale è deserto. Sulla tomba del missionario si staglia una croce in ferro. Dopo alcuni istanti di preghiera, scorgiamo una decina di persone a pochi metri di distanza, in silenzio.
Un anziano ci invita a seguirlo, per introdurci in tutte le stanze dell’ospedale, zeppe di ammalati: ovunque campeggia il ritratto del grand docteur. Da ultimo, apre la porta di uno studio. «Padre Oscar è ancora qui – afferma -. Questo è il suo microscopio, come lui l’ha lasciato. Ecco perché l’attuale dottor Norbert, congolese, non ha voluto prendere posto in questo ufficio. Però, per fronteggiare le esigenze, sarebbe necessario almeno un altro medico. Le docteur Oscar lavorava per quattro».
Su una parete l’ennesima foto di padre Oscar Goapper, sorridente, che abbraccia un bambino.
Francesco Beardi

Antonello Rossi




Evviva, abbasso!!

Gentile direttore, non sempre leggo Missioni Consolata, la rivista missionaria che ricevo regolarmente. Ma O maior do mundo (numero di ottobre-novembre 2000 interamente dedicato al Brasile) mi ha davvero interessato, poiché riporta notizie e fatti storici e religiosi molto significativi. Evviva il Brasile dunque, nonostante i suoi tanti problemi! È un modo assai valido dedicare un intero numero ad una nazione e affrontare i problemi sotto vari aspetti. Consiglio di continuare anche con altri paesi.
Mi ha interessato molto anche perché, per motivi di emigrazione e lavoro, ho vissuto in Argentina dal 1951 fino al 1953.
Marco Astori – Milano

Pure l’Argentina, secondo gigante dell’America Latina, meriterebbe un numero monografico… incontrando magari i tanti immigrati italiani.

Caro direttore, ho letto lo «speciale» sul Brasile: O maior do mundo: un numero pregevole. Mi conceda che accenni anche al problema demografico e del modo ignobile con cui gli Stati Uniti e le Nazioni Unite lo affrontano.
Per chi (come i missionari della Consolata) ama il Brasile e ne condivide le sofferenze, il problema demografico vuol dire urbanizzazione sfrenata e crescita esponenziale di agglomerati disumani; significa pure tracollo delle popolazioni indigene, bacini fluviali avvelenati, iniqua distribuzione delle terre.
Invece, per la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, il Fondo per le «attività di popolazione», l’Organizzazione mondiale della sanità e la Casa Bianca, la demografia brasiliana significa: nascita di troppi bambini, ventri femminili troppo prolifici e azione abortista troppo poco diffusa.
Già nel 1974, in un rapporto del National Security Council, noto come Rapporto Kissinger, il Brasile veniva indicato come un paese in cui gli americani dovevano impedire la nascita di altri esseri umani e favorire la riduzione di quelli già nati. Già allora i 100 milioni di brasiliani censiti erano considerati una minaccia agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti.
Risultato: nel 1991, come riconobbe l’Istituto brasiliano di statistica, almeno il 45% delle brasiliane tra i 14 e 45 anni era già stata sottoposta a sterilizzazione. Ma, se sono vere le denunce fatte dal Movimento per la vita, da Avvenire, da Famiglia Cristiana e dal missionario Fausto Marinetti (si veda il libro «Canto l’uomo», Morcelliana), l’accanimento contro le donne non è finito: lo prova il fatto che in molte aziende gli imprenditori assumono solo donne munite del certificato di avvenuta sterilizzazione e, per essere più sicuri, applicano alla lettera i suggerimenti delle delegazioni dei paesi ricchi alla Conferenza mondiale sulla popolazione tenuta a Bucarest nel 1974, introducendo sostanze sterilizzanti nelle condotte dell’acqua potabile e nel cibo servito sulle mense.
Se tanti brasiliani vivono in condizioni subumane, la colpa non è di una terra insufficiente a soddisfare i bisogni elementari di tutti, ma dei capricci e delle prepotenze di una sparuta minoranza di privilegiati, mai sazi di terra, profitti facili ed odiose speculazioni.
La Banca mondiale – come avete ricordato – avrebbe raggiunto un compromesso con il WWF per la gestione sostenibile delle foreste, amazzoniche e non; ma finora si è segnalata solo per incalcolabili menzogne, tanti crimini contro le popolazioni indigene maggiormente legate agli ecosistemi forestali e fluviali e per il sostegno a sedicenti capolavori di ingegneria idraulica, agraria, mineraria, che hanno trasformato gli habitat naturali in deserti invivibili o, nella migliore delle ipotesi, in piantagioni per colture da esportazione.
Non di rado tali piantagioni vengono irrorate con pesticidi e sostanze tossiche che, come è stato denunciato anche in una puntata della trasmissione televisiva «C’era una volta», giocano un ruolo di primo piano nella sterilizzazione delle donne che ci lavorano, nell’aumento della mortalità prenatale e infantile e nell’aumento delle patologie cancerose tra gli adulti.
Condivido, quindi, la vostra perplessità sull’accordo tra WWF e Banca mondiale: oggi esistono solo i presupposti per temere che si risolverà in una nuova presa in giro per i poveri e per nuove catastrofi ambientali in Amazzonia e in ciò che resta delle foreste tropicali in altre parti del mondo.
Francesco Rondina – Fano (PS)

La lettera del signor Rondina riporta pure una ricca e circonstanziata bibliografia, che documenta e sviluppa le sue affermazioni… Le responsabilità della sterilizzazione delle donne in Brasile non sono solo estee, ma anche intee. Imputata è la locale classe politica al potere.

marco Astori, Francesco Rondina




I vertici della chiesa

Spettabile redazione,
su Missioni Consolata di maggio ho letto lo sconvolgente articolo di Francesco Gesualdi «Le multinazionali all’assalto del mondo». Ne approvo il contenuto; anzi penso che quanto scritto sia solo una minima parte di quanto realmente avviene nel mondo.
Denunciare con l’informazione situazioni di sfruttamento (che sembrano inverosimili) fa molto onore ai responsabili del vostro istituto, anche perché sarebbe molto più facile (e forse anche più redditizio) sottacere le violenze di ogni tipo da parte di evoluti governi, uomini ed istituti vari, che a volte si ritengono difensori di una società in avanzato stato di decomposizione.
La chiesa universale dovrebbe essere dalla parte dell’uomo e non degli interessi singoli. Essendo essa una forza morale, oltre che economica, sarebbe augurabile che si ponesse al fianco dei più deboli, di chi soffre, dei più bisognosi. Ma non è proprio così.
Sembra che nella chiesa universale siano presenti due correnti di pensiero: una che di fatto è dalla parte del potere; l’altra che si schiera decisamente in difesa dei diritti umani. Quest’ultima, a volte, è contestata dai vertici della chiesa.
Pio Moacchi
Savona

Condividiamo le sue riflessioni e ricordiamo: il massimo vertice della chiesa cattolica è Giovanni Paolo II; oggi pochi come lui sono al fianco dei più deboli. Tutti i vescovi, preti e laici dovrebbero fare altrettanto.

Pio Moacchi




Il berlusconismo

Gentile direttore,
in famiglia siamo, da tre generazioni, vicini ai missionari della Consolata e leggiamo con interesse il vostro mensile.
Su Missioni Consolata di settembre è apparso un articolo di Antonio Nanni, che, se come proposta generale è condivisibile, su due punti ci ha sconcertati: la definizione di berlusconismo e la proposta di distruggere per edificare.
Usando la definizione dispregiativa di berlusconismo, si semina odio e, con l’incitamento alla distruzione per edificare, si semina violenza. Certamente non è questo che si vuole.
Ci sembra che parlare di berlusconismo, come se fosse comunismo, nazismo o altri «ismi», sia per lo meno subdolo. Infatti non esiste il berlusconismo, anche perché non ha storia. Inoltre sappiamo che in democrazia non si potrà mai arrivare a provocare i disastri degli «ismi» paventati.
Relativamente all’idea di distruggere per edificare, ci sembra, oltre che utopistica, molto pericolosa; lo ricorda anche la parabola della zizzania. Tanti esempi della storia potrebbero essere menzionati.
Non ci aspettiamo una risposta né pubblica né privata. La nostra obiezione desidera solo contribuire ad una riflessione sul modo di concepire l’impegno cristiano, senza indugi, ma sempre e solo con la cultura dell’amore.
Lettera firmata
Saronno (VA)

Grazie del prezioso stimolo alla riflessione.
Antonio Nanni, autore di tanti libri sull’educazione alla mondialità, sollecita a cogliere le differenze tra la dottrina sociale della chiesa e il «berlusconismo».
Il berlusconismo esiste? Sì se, abbracciando il neoliberismo, la politica diventa un’azienda che persegue ad ogni costo il profitto e il potere; esiste, se «più mercato» (a scapito dello stato) comporta ricchezza per pochi e miseria per tanti. Per non parlare dei disastri ecologici…
«Distruggere per edificare». L’espressione è di sapore biblico (cfr. Qo 3, 3). Per Nanni, che professa la non-violenza, «distruggere» comporta un processo conoscitivo diverso: mette in guardia dall’opinione dominante, dall’esaltazione delle conquiste dell’attuale economia imperante, perché… ci fanno pensare e credere quello che vogliono.
Certamente la democrazia si tutela con la democrazia, cioè il potere «del» e «con» il popolo «per» il popolo. Il moderatismo (da non confondere con moderazione) finisce per fare il gioco del più forte.

Lettera firmata




Il vero significato del vangelo

Caro direttore,
da molti anni leggo Missioni Consolata e ho sempre stimato la rivista per la capacità di illustrare l’opera dei missionari attraverso cronache, esperienze, personaggi.
Negli anni più recenti ho potuto apprezzare anche qualcosa di nuovo. In alcuni articoli (direttamente) e in altri (in modo più sfumato) è manifesto quale sia oggi lo spirito di missione. Il lettore comprende che annunciare il vangelo è un’azione davvero complessa. Anche se di enorme importanza, la catechesi e la promozione umana non possono essere considerate sufficienti; devono essere completate da un’azione che faccia comprendere a tutti, in particolare a noi che viviamo nel nord del mondo, il vero significato del vangelo.
Così non ci sentiremo nel giusto solo perché contribuiamo ad alleviare (di quanto?) le sofferenze di un bambino africano, ma cominceremo a riflettere sulle cause e concause dei molti mali nel mondo.
Ci interrogheremo per valutare se il progresso economico nel nord ricco, oltre che alle conquiste economico-scientifiche, non sia in qualche caso connesso al mancato progresso (o addirittura regresso) non solo economico di molte comunità nel resto del mondo.
Ci chiederemo se talora le variazioni positive di certi titoli di Borsa non siano in qualche modo connesse allo sfruttamento più efficiente di altri uomini (talora di bambini), come recenti cronache hanno mostrato.
L’indirizzo di Missioni Consolata ha fatto sì che essa sia, ad un tempo, oggetto di piacevole lettura, corretta informazione e soprattutto un invito a riflessioni profonde, che possono influenzare l’intera impostazione di vita del lettore. L’ho riscontrato anche nell’eccellente numero speciale riguardante il Brasile.
Feando Andolfi
Rivalta (TO)

Certamente il vangelo può «influenzare l’intera impostazione di vita del lettore». Missioni Consolata non presume tanto. Però, se «la goccia scava la roccia»…

Feando Andolfi




Primo gennaio 2001

B envenuti nella società del terzo millennio! Quale società? Serge Latouche sostiene (provocatoriamente) che la società non è la nostra del «benessere», bensì quella «arretrata» del terzo mondo. Qui la vita è intessuta di rapporti umani solidali. L’iniziativa del singolo non reca profitto a se stesso, ma a tutta la comunità, che è chiamata ad approvare, condividere e persino finanziare.
E che dire della flessibilità del lavoro derivante dalla «pluriattività»? Non credo che coincida con la flessibilità decantata dai nostri illuminati economisti. Il punto fondamentale è il contrasto fra una società che investe sui rapporti umani ed una, come la nostra, che sposta tutto sul piano del profitto economico, interponendo meccanismi che tendano a nascondere i danni arrecati ai nostri simili nel perseguire la ricchezza.
Latouche ricorda il rischio di implosione cui la società del profitto ad ogni costo va incontro. Lo scenario è reale: nella economia globale pochi si arricchiscono, a scapito di masse crescenti di esclusi.
Già, la globalizzazione. I media del «pensiero unico» la sbandierano come un ordine economico superiore, un mondo che ci accomuna tutti soprattutto per l’allineamento della cultura.
Però non mi pare che, grazie alla globalizzazione dei mercati, un minatore africano o un bimbo lavoratore pakistano acquisiscano gli stessi diritti degli uomini del mondo «evoluto». Neppure quelli primari di sopravvivenza. Perché le banane centroamericane, da noi molto apprezzate, non fanno la ricchezza della popolazione locale?
Mezzi di informazione. Non a caso le maggiori testate sono in mano a grossi gruppi finanziari. Le coscienze devono essere «persuase» con l’immagine accattivante di un benessere per tutti, ma che in realtà pochi conseguono. Chi non lo accetta è tacciato di violenza. Tutti ricordiamo le manifestazioni di Seattle o Genova. Per i media i manifestanti erano terroristi. Ma, dalle famiglie e bambini che hanno sfilato, questo proprio non si poteva dire! E poi perché esportare ad ogni costo il nostro modello come l’unico valido per tutti?
Ho visto un servizio televisivo sulla riorganizzazione dell’economia della Tanzania. Il Fondo monetario internazionale, in cambio di un sostegno economico, ha obbligato il governo locale ad effettuare ingenti tagli alla spesa sociale. Risultato: scuole a pagamento per pochi fortunati e ospedali chiusi perché in perdita. Cioè aumento della mortalità infantile e scarse possibilità di sviluppo per un paese senza scolarizzazione. Il servizio descriveva pure gli effetti della privatizzazione su un’azienda agricola: aumento di disoccupati e spostamento degli utili dallo stato ad una società europea. Bel suggerimento disinteressato!

A llora… riportiamo l’uomo al centro del modello di sviluppo. Investiamo nella dignità umana, nel capitalizzare le esperienze e tradizioni, nel libero pensiero svincolato dall’economia.
Solo prendendo coscienza della spietata realtà liberista saremo in grado di proporre una valida alternativa al modello unico imperante. La via non è la «rivoluzione», ma la dissidenza, la discussione, il confronto di idee. Concetti, questi, che il «pensiero unico» vuole estinguere o appropriarsene a proprio comodo.

Massimo Veneziano