KENYA – Uniti dalla croce

Per celebrare il grande giubileo, una pesante croce è stata portata
in processione attraverso le 22 parrocchie
della diocesi di Marsabit. Una iniziativa efficace per aiutare le comunità a crescere nell’impegno per la giustizia e pace
e promuovere
la riconciliazione
tra le varie popolazioni della diocesi.

A Baragoi fu deciso di portare la grande croce in tutte le cappelle della parrocchia. Per ogni tappa furono fissate alcune celebrazioni liturgiche comuni: via crucis o rosario; esortazione del diacono o della suora; sacramento della riconciliazione e celebrazione dell’eucaristia. Fu dato spazio anche ad altre manifestazioni religiose, secondo la creatività della comunità locale.
La prima cappella ad accogliere la croce, proveniente dalla parrocchia di Sererit, fu quella di Ngilai. C’era tutta la popolazione, maestri e alunni, bambini e adulti, guidati dal parroco, padre Giuseppe Da Fré, e vice-parroco, padre Giovanni Pronzalino. Era l’11 luglio 2000.
Lo scambio avvenne a un incrocio stradale, confine tra le due parrocchie. Padre Aldo Giuliani, parroco di Sererit, la consegnò solennemente dicendo: «Ecco la croce di Cristo! Prendetela: sono certo che vi farà del bene!». Consegna e accoglienza avvennero tra un tripudio di canti e danze delle due comunità.
Il giorno dopo, i cristiani di Ngilai passarono la croce a quelli di Bendera; questi, il mattino seguente, la consegnarono alla comunità di Marti. In ogni tappa i fedeli la onorarono con commoventi preghiere e danze giorniose.

A Marti, però, nutrivamo non poca apprensione. Il posto è tristemente famoso per una serie di scontri tra samburu e turkana che hanno lasciato profonde ferite nella popolazione. Fu, invece, un incontro sereno e tranquillo. Di fronte alla croce cantarono tutti di cuore la misericordia di Dio, meditarono attenti i misteri del rosario e, durante la messa, ascoltarono commossi la lettura della passione di Cristo.
Significativi furono i commenti della gente. «Ascoltare quanto Gesù ha sofferto per noi ci riempie il cuore di grande dolore» disse Peter Logilae. «Eppure, in un secondo tempo, eravamo pieni di gioia» incalzò Petro Echuka. «Le sofferenze di Cristo ci guariscono da odio e risentimento» concluse Augustine Nakio.
Da Marti la croce sarebbe dovuta andare a Nachola. All’ultimo momento gli organizzatori decisero di spendere un paio d’ore a Naturkan, una comunità appena nata nella valle di Suguta. «In questa zona – mi informò il catechista Andrea Dida – abbiamo circa 20 catecumeni e pochi cristiani provenienti da Marti, Kawop e Parkati».
Sembrava di essere fuori del tempo e in un altro mondo: sole caldissimo, pietre, spine dappertutto. Una visione impressionante. Dalla collinetta su cui si radunò la piccola comunità si vedevano in basso Ter-Ter, Nakupurat, Lochootom e, in lontananza, Lomaro e la valle di Suguta. Eravamo sulle pendici di quell’ampia e lunga spaccatura della terra chiamata Rift Valley.
Per raggiungere questa zona non esistono strade, eccetto una pista che la missione ha fatto tracciare, impiegando la gente del posto, compensandola col «cibo in cambio di lavoro». La popolazione vive col minimo necessario, che è sempre scarso. Abituato ad altre parti del Kenya, dove le comodità modee sono abbastanza diffuse, mi venne il dubbio che questo pezzo di terra non facesse parte della stessa nazione.
Mentre contemplavo tanta bellezza intatta e selvaggia, si avvicinò un bambino di circa sette anni, magrissimo, la pancia gonfia e ferite fresche e da poco medicate sulla testa e sulle braccia. Guardai con sorpresa padre Da Fré, che mi spiegò cosa era capitato: «Mentre stava mungendo una cammella per mettere qualcosa nello stomaco, fu battuto a colpi di panga (coltellaccio). Ora vive con il catechista. Sarà un nostro futuro seminarista!» concluse il padre accarezzando il bimbo.
Rimasi impressionato nel vedere la gente di quella zona così povera accogliere la croce con tanta gioia, che emanava dai volti sorridenti: sembrava non avere alcun problema.

D a Naturkan la croce proseguì per Nachola, come stabilito; il giorno seguente raggiunse Baragoi, sede parrocchiale.
Nel mese di maggio, questa comunità aveva programmato la celebrazione del proprio giubileo. Come momento culminante e a ricordo dell’evento, era stato deciso di piantare una croce, con la scritta «2000 anni di Redenzione», in cima alla collina di Logeterni, a circa 5 chilometri dal centro abitato. Ma i rischi contro la sicurezza delle persone, causati dalla tensione tra turkana e samburu, consigliarono di rimandare tutto a tempi migliori.
La peregrinazione della croce attraverso la diocesi e il suo arrivo a Baragoi offrirono l’occasione per concretizzare tale desiderio. Al suono della campana, tutti i cattolici e molti non-cattolici si radunarono nell’Huruma Village (villaggio della misericordia), la casa per anziani costruita dalla parrocchia.
Poiché la maggioranza della gente che vive vicino a questa casa è turkana, si temeva che potesse sorgere qualche problema con i samburu, poiché la tensione non era ancora del tutto smaltita. Ma non ci furono problemi: turkana e samburu si radunarono insieme pacificamente, consapevoli che Cristo è al di sopra di ogni differenza.
La croce preparata dalla parrocchia, portata a spalle da giovani, apriva la processione; seguiva lo stendardo parrocchiale, sostenuto da due donne: l’una turkana e l’altra samburu. I vari gruppi della comunità intercalarono canti, ognuno nella propria lingua. Mentre la fiumana di gente guadava il fiume Baragoi e il torrente che scende da Logeterni, pensavo al passaggio degli israeliti attraverso il Mar Rosso.
In cima alla collina la comunità di Logeterni aveva fatto un bel lavoro: strade pulite, altare addobbato, area circostante decorata con pietre bianche. Piantata la croce, fu celebrato il sacrificio eucaristico.
Al termine Thomas Lolkirik mi sussurrò: «Mi ha molto impressionato vedere quelle due madri, rivestite degli oamenti caratteristici delle rispettive etnie, portare lo stendardo in processione in perfetta armonia. Un fatto che ha commosso molta gente: ho visto persone versare qualche lacrima. Due donne semplici, che non hanno mai messo piede in un’aula scolastica, sono state una testimonianza di ciò che la fede cristiana può operare. Un bellissimo esempio per la comunità di Baragoi; uno stimolo per lavorare insieme, mettendo da parte le rivalità tribali che da troppo tempo provocano sanguinosi conflitti».
È pure la speranza di noi missionari: possa la celebrazione giubilare portare a tutti gli abitanti di Baragoi, cattolici e non cristiani, pace e unità, amore e fiducia reciproca!

Daniel Lorunguya

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