Cristo in mano ai teologi

Il 5 settembre 2000 è apparso «Dominus Iesus»,
dichiarazione della Congregazione
per la dottrina della fede. Il documento,
firmato dal cardinale Joseph Ratzinger
e dall’arcivescovo Tarcisio Bertone,
gode del benestare di Giovanni Paolo II.
Per chi conosce il magistero della chiesa cattolica
la dichiarazione non presenta novità sostanziali.
Vi sono affermazioni vincolanti, quali «deve essere fermamente creduta la dottrina della chiesa»,
ma anche dei condizionali, come «sarebbe contrario alla fede cattolica»…
Tuttavia «Dominus Iesus» ha suscitato
reazioni vivaci e contrastanti.
Ecco qualche esempio (*).

Anche gli anglicani
sono vera chiesa

N el riaffermare la tradizionale opinione della chiesa cattolica sulla posizione delle altre chiese cristiane, la dichiarazione Dominus Iesus non dice nulla di nuovo, ma non riflette nemmeno pienamente la profonda comprensione raggiunta attraverso il dialogo e la cooperazione ecumenica nel corso degli ultimi 30 anni. Sebbene il documento non costituisca parte di quel processo, l’idea che gli anglicani ed altre chiese non siano «chiese in senso proprio», sembra mettere in discussione i notevoli successi ecumenici che abbiamo conseguito.
È importante che celebriamo il processo ecumenico. È un compito a cui resto impegnato in rappresentanza sia della Chiesa d’Inghilterra sia della Comunione anglicana mondiale. È questo un compito che continuerò a portare avanti sia con i leader cattolici sia con quelli di altre chiese sulla base di un profondo rispetto reciproco.
In occasione di un importante incontro di anglicani e cattolici svoltosi a Toronto (che ho presieduto con il cardinale Cassidy), si sono fatti eccezionali passi avanti, riconoscendo un sostanziale accordo su numerosi temi e proponendo che una nuova commissione mista sull’unità porti avanti questo lavoro.
Certamente la Chiesa d’Inghilterra, con la Comunione anglicana mondiale, non accetta che i propri ministeri e l’eucaristia abbiano difetti di alcun tipo. Essa, pertanto, ritiene di essere parte dell’unica, santa, cattolica e apostolica chiesa di Cristo, nel cui nome serve e reca testimonianza, qui e in tutto il mondo.
George Carey, arcivescovo
anglicano di Canterbury

Conta l’incontro
con Cristo

L a Dominus Iesus solleva nelle chiese evangeliche non poche riserve critiche. Il tema del pluralismo religioso (fenomeno in espansione in occidente), pone i teologi dinanzi a sempre nuove domande: non vanno condannati solo per questo. È vero che l’espressione «fuori della chiesa non c’è salvezza» ci viene dai tempi della chiesa primitiva, dove aveva un suo contesto storico e teologico preciso. Noi protestanti abbiamo sempre obiettato a questa formulazione, ritenendo che non è l’«essere nella chiesa» a garantirci la salvezza, quanto piuttosto l’incontro con Gesù Cristo a donarci la salvezza e metterci in comunione con altri credenti nella chiesa. La mediazione è operata esclusivamente da Cristo, mai dalla chiesa.
Quanto poi all’essere salvati o non salvati, Gesù ci ricorda che questo è un compito riservato esclusivamente a Dio Padre; e noi saremo sorpresi di trovare nei due gruppi persone che non avremmo mai immaginato (Mt 21, 31), e del tutto inconsapevoli (Mt 25, 31-40). A noi spetta il compito dell’annuncio dell’evangelo ad ogni creatura, del dialogo fraterno e attento, nel rispetto delle altrui convinzioni, non quello della condanna definitiva.
Da quando la chiesa ha preteso di essere non solo madre e maestra, ma soprattutto un’istituzione che, a suo insindacabile giudizio, dispensa salvezza e condanne, è diventata altra cosa dal modello prevalente del Nuovo Testamento.
Domenico Tomasetto, presidente delle chiese evangeliche in Italia
È la fine
dell’ecumenismo

È vero: lo stile redazionale di Dominus Iesus non è assolutamente lo stesso di quello dei testi del Concilio ecumenico Vaticano II. Assai spesso si adottano formule del genere: «i fedeli non sono tenuti a professare», «si deve credere fermamente che»… Ma io non sono del tutto convinto che questo potrebbe implicare o annunciare la fine di un impegno cattolico sul piano ecumenico o interreligioso. Tutti conoscono le iniziative di Giovanni Paolo II verso le altre religioni: dopo il memorabile incontro di Assisi, le iniziative si sono moltiplicate.
Quanto all’ecumenismo, non si possono trascurare le attese del recente accordo tra luterani e cattolici sulla giustificazione per la fede (31 ottobre 1999). In questo campo si è riusciti in qualcosa di notevole, precisando il punto fondamentale su cui siamo d’accordo, e perché le differenze che restano fra noi non devono essere considerate separatrici. La nostra speranza è che con il tempo l’intesa, riconosciuta possibile su questo punto centrale, possa divenirlo anche su altro.
Joseph Doré, arcivescovo cattolico
di Strasburgo

Un testo da esorcizzare

L a cosa più triste che emerge da Dominus Iesus è «il volto di Dio». Pare lecito chiedersi: in quale Dio crede l’estensore di questo documento del Vaticano? Avrà mai, qualche volta, sentito parlare di «Abbà», il papà di Gesù di Nazaret? Dove è andata a finire, nel testo romano, la gioia manifestata da Gesù per il fatto che Dio rivela i suoi segreti ai piccoli, che non riescono e non riusciranno mai a star dietro ai meccanismi di potere contenuti nel dogmatismo formulato dalle loro chiese? Perché un testo, proveniente da ministri dai quali ci aspetteremmo la conferma nella fede, è tanto pessimista e chiuso all’azione della grazia e alla libertà dello spirito di Dio?
Grazie a Lui, la fede alla quale ci educa Gesù è esattamente il contrario: «Io posso morire e uscire di scena, perché è il Padre l’ultima parola e troverà sempre la spinta di reiterare il suo sì alla vita dell’umanità». Un fratello mi ha ricordato che nel vangelo si dice che Gesù comanda ai demoni di tacere, anche quando dicono una verità: la professione di fede in lui. Sono spiriti diabolici (cioè divisori).
Mi pare che lo spirito del testo abbia bisogno di un esorcismo. Resto in preghiera per la chiesa, perché si lasci convertire ogni giorno ed accetti di morire se il prezzo è la vita dell’umanità. È necessario che mai più un popolo possa cantare, piangendo, come in questo poema maya:
«Quando gli stranieri giunsero qui
ci insegnarono la paura,
fecero appassire i loro fiori
e inghiottirono i nostri fiori…».
Gesù è venuto ad annunciare la vita per tutti i fiori e colori, le razze, culture e religioni. Solo così le chiese possono dare prova della loro fedeltà all’evangelo, senza correre il rischio di essere confuse con gli scribi di qualche congregazione romana.
Manteniamoci fedeli nella testimonianza dell’amore di Dio e nella fiducia che un giorno ci sia concesso il diritto che i vescovi latinoamericani già chiesero nel 1968, nella II Conferenza generale a Medellìn: «Che si presenti sempre più nitido il volto di una chiesa autenticamente pasquale, missionaria e povera, spogliata di potere e coraggiosamente compromessa con la libertà di tutti gli uomini».
Marcelo Barros,
monaco benedettino brasiliano

Sarebbe tragico se…

L a dichiarazione Dominus Iesus ha sorpreso la cristianità. Rischia di chiudere porte che erano state aperte nei decenni passati dallo sforzo ecumenico. Ha provocato forte irritazione.
La causa ecumenica, cioè la ricerca dell’unità dei cristiani, è mandato inalienabile della chiesa di Gesù Cristo. Lo stesso papa ha enfatizzato che si tratta di un impegno irreversibile. Anche la chiesa cattolica confessa di aver bisogno di riforme. È quello che, tra l’altro, ha motivato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut unum sint, a proporre il dialogo sulla modalità dell’esercizio del papato.
Come partecipanti al seminario, convocato dalla chiesa cattolica e luterana per riflettere sul tema del «ministero», riaffermiamo:
a) esiste un vincolo di unione fra tutte le persone battezzate che invocano il nome di Gesù Cristo;
b) esiste un vincolo di unione fra tutte le persone create ad immagine di Dio, anche se non si dichiarano cristiane;
c) esiste un vincolo di unione fra tutte le persone chiamate al servizio del regno di Dio, la cui vita porta a compimento la nostra speranza.
C’è poi un’unità anteriore alle divisioni cristiane ed umane, anche se con diverse sfumature e modalità.
Come chiese cristiane, ci impegniamo ad una maggiore fedeltà al vangelo. Confessiamo, insieme a tutti i cristiani, la salvezza che è in Gesù Cristo. Ricordiamo i segni di unità esistenti nelle nostre comunità, come la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la condivisione di vita, la Campagna di frateità ecumenica 2000, la cooperazione in questioni sociali.
Sarebbe tragico se il cammino ecumenico verso una maggiore unità subisse interruzioni o pregiudizi.
Ivo Lorscheiter, vescovo cattolico,
e Gottfried Brakmeier,
pastore luterano

Gesù è il Signore
(replica del card. Ratzinger)

E sprimo tristezza e delusione, perché le reazioni pubbliche (a parte lodevoli eccezioni) hanno ignorato completamente il tema vero e proprio della dichiarazione. Il documento comincia con le parole «Dominus Iesus»; si tratta della breve formula di fede contenuta nella prima Lettera ai corinzi (12, 3), in cui Paolo ha riassunto l’essenza del cristianesimo: «Gesù è il Signore».
Il papa con questa dichiarazione (la cui redazione ha seguito con attenzione) ha voluto offrire al mondo un solenne riconoscimento a Gesù Cristo Signore, nel momento culminante dell’anno santo, portando con fermezza l’essenziale al centro di questa celebrazione, sempre soggetta a esteriorizzazioni.
All’inizio del presente millennio ci troviamo in una situazione simile a quella descritta da Giovanni alla fine del sesto capitolo del suo vangelo: Gesù ha spiegato chiaramente la sua natura divina nell’istituzione dell’eucaristia. Però nel versetto 66 leggiamo: «Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui».
Oggi, nei discorsi generali, la fede in Cristo rischia di appiattirsi e disperdersi in chiacchiere. Con Dominus Iesus, il santo padre, successore dell’apostolo Pietro, ha inteso dire: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68). Il documento vuole essere un invito a tutti i cristiani ad aprirsi nuovamente al riconoscimento di Gesù Cristo come Signore.
Mi ha fatto piacere che il presidente delle chiese evangeliche della Germania, Kock, nella sua reazione (peraltro assai composta) abbia riconosciuto questo elemento importante del testo e lo abbia paragonato alla Dichiarazione di Barmen (città), con la quale nel 1934 la Bekennende Kirche, ai suoi inizi, rifiutò la chiesa del reich creata da Hitler.
Ndr: la «Bekennende Kirche», o chiesa confessante (Cristo), era un movimento di opposizione al nazismo, sorto sotto l’influenza di Karl Barth.
Anche il professor Jungel, di Tubinga, ha trovato in questo testo (nonostante le riserve sulla parte ecclesiologica) un respiro apostolico, simile alla dichiarazione di Barmen. Inoltre il primate della chiesa anglicana, l’arcivescovo Carey, ha manifestato il suo sostegno grato e deciso al vero tema della dichiarazione.
Perché la maggior parte dei commentatori invece lo trascura?
Joseph Ratzinger,
prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede

Igino Tubaldo

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