Dopo il fiasco di Seatte

Spettabile redazione, ho letto su Missioni Consolata di ottobre/novembre gli aggioamenti sul Millenium Round. Ne ho parlato con alcuni amici, che come me seguono con preoccupazione la vicenda: ci siamo chiesti se in Italia esiste un cornordinamento per la mobilitazione contro il negoziato. Esiste qualche documento comune da sottoscrivere, per non disperdersi troppo in iniziative particolari?

Il Millenium Round ha avuto luogo a Seattle (USA) dal 30 novembre al 3 dicembre 1999. Ed è stato un fiasco. Ecco alcuni problemi irrisolti.
Agricoltura: lo scontro si è concentrato sui sussidi della Commissione di Bruxelles ai prodotti dell’Unione Europea; gli Stati Uniti e i paesi in via di sviluppo vorrebbero abolirli, perché rendono meno competitivi i propri prodotti agricoli. Lavoro: gli Stati Uniti vorrebbero fissare standard mondiali per i diritti dei lavoratori; i paesi nel sud del mondo li bocciano, perché alzano il costo della manodopera e frenano le esportazioni. Biotecnologie: sono sponsorizzate dagli Stati Uniti, ma respinte dai paesi in via di sviluppo, che temono il tracollo della propria agricoltura.
Il terzo mondo e numerosi movimenti hanno contestato l’operato dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), che nella globalizzazione economica penalizza soprattutto i paesi poveri. È immorale e scandaloso che il reddito di tre individui nel nord del mondo sia pari a quello di 600 milioni di persone nel sud.
Prima del Vertice di Seattle, è nata la «Rete lillipuziana». Ne abbiamo parlato nell’editoriale di gennaio. Nella Rete sono entrate tante associazioni (anche se modeste), per essere più influenti e lottare insieme contro le schiavitù della globalizzazione.
Per ulteriori informazioni, contattare:
Centro nuovo modello di sviluppo
tel 050/826354, fax 827165, e-mail «cornord@cnms.it».

Piermario Pertusio




Per gli emigrati

O Gesù, che fin dai primi giorni di vita hai dovuto lasciare con la mamma Maria e Giuseppe il paese natio, per sopportare in Egitto le pene e i disagi dei poveri emigranti, guarda i nostri fratelli costretti dal bisogno ad abbandonare la patria. Lontani da tutto ciò che è loro più caro, in cerca di lavoro, essi vivono fra disagi e pericoli per l’anima e il corpo.
Signore, sii loro guida nell’incerto cammino, aiuto nella fatica, conforto nel dolore; conservali nella fede, nella moralità dei costumi, nell’affetto ai figli, alle mogli e ai genitori lontani. Amen.

Preghiera inviataci da Maria Fasano, di Lecce. Una regione dove il problema «emigrati» è drammatico. Però la gente, non ricca, è ospitale. Ma l’ospitalità non basta.

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Povere figlie!

Cari missionari,
chiedo una preghiera alla Consolata per le mie figlie.
Una è senza lavoro, si sente depressa, perché ha avuto una delusione amorosa; ha tentato persino il suicidio.
Un’altra figlia è stata otto anni a Torino, infermiera all’ospedale Regina Margherita, e frequentava anche il santuario della Consolata: santuario dove ho pregato anch’io, ammirata dal suo splendore. Poi mia figlia è tornata al paese natale, nel sud. Oggi, purtroppo, si sta separando dal marito carabiniere, anch’egli ritornato nel meridione dopo aver prestato servizio presso la stazione torinese di San Salvario.
Mio genero è un prepotente: è un «militare» anche in casa, persino con i bambini. Mia figlia dice di cercare il bene dei figli e che la separazione rappresenta il male minore…
Vi chiedo una preghiera affinché riescano a capirsi.

Cara signora, con lei e noi prega anche il beato Allamano, che raccomandava a tutti i missionari di avere a cuore i problemi della gente.

lettera firmata




Un “no” meschino

Signor direttore,
restituisco il volume «Yanomami» che mi ha prestato, ringraziandola sinceramente.
Purtroppo non mi è stato possibile utilizzarlo per l’esame di antropologia culturale, in quanto il docente non accetta testi che non risultino nel programma del corso, benché trattino lo stesso argomento.
È stata una lettura molto interessante e piacevole allo stesso tempo: un testo completo e ricco, con spiegazioni semplici, chiare e straordinarie illustrazioni.

Il tuo «purtroppo», Sonia, è molto eloquente sugli… orticelli provinciali della cultura italiana. Altro che università!

Sonia di Martino




L’erba “esigo” di una musulmana

Spettabile redazione,
ho letto con disappunto l’articolo «Le altre vie di Allah» («Missioni Consolata», giugno 1999). Riferendomi all’intervista posta alla sottoscritta da Angela Lano, esigo una smentita, non riconoscendomi in ciò che mi è stato attribuito.
Ho affermato che le motivazioni della mia conversione all’islam sono state la ricerca della verità, il desiderio di giustizia e soprattutto la necessità razionale dell’unicità di Dio; però non ho dichiarato che, se avessi guardato alle società islamiche (vengono specificati tre paesi che non ho menzionato), non sarei mai diventata musulmana. Ho detto che per un occidentale, che normalmente eguaglia l’islam al comportamento di alcuni paesi arabi, può essere difficile capire una conversione, dal momento che si attribuiscono all’islam soprusi che non hanno nulla di islamico.
Contrariamente a quanto è stato scritto, non avrei alcun problema ad abitare in un paese musulmano (anche se, ovviamente, amo la mia nazione, dati gli affetti che mi legano). Ho visitato alcuni stati islamici di cui mi sono innamorata per la serenità della vita, basata su principi che la nostra società sta eliminando, fondata sulla ricerca del divino, lontana dallo stress del potere occidentale e dall’imposizione dei ritmi alienanti del capitalismo.
La domanda «quante donne possono lavorare nei paesi musulmani?» se l’è posta la giornalista, non io. Ho risposto affermando che la percentuale delle donne lavoratrici nei paesi islamici è inferiore a quella dei paesi occidentali; ma credo che tale realtà sia legata alla scelta delle donne di privilegiare l’aspetto familiare e all’elevata disoccupazione dei paesi in via di sviluppo.
Pongo io una domanda: «Quante donne occidentali vorrebbero licenziarsi per occuparsi dei figli?». La necessità imposta dalla società le costringe a mantenere ritmi lavorativi stressanti e, a volte, poco dignitosi.
È scandaloso che la giornalista si sia permessa di trarre affermazioni sulla mia vita privata, quando l’intervista era indirizzata alla mia conversione. Ritengo che i matrimoni «misti» siano più difficili rispetto a quelli tra persone dello stesso paese, per le possibili incomprensioni culturali generate da una diversa educazione. Ma non mi ritengo una moglie infelice (come mi ha qualificato la giornalista) e la decisione di sposarmi è stata anche motivata dalla certezza di felicità che sarebbe derivata dall’unione con mio marito. Credo che gli scontri in un matrimonio tra persone di culture differenti non siano in percentuale diversa da altre unioni, se i fondamenti del matrimonio sono il rispetto, l’unicità degli scopi e l’amore reciproco.
L’«hijab» non è l’aspetto più faticoso (attributo della giornalista, non mio) da osservare, ma è difficile per le discriminazioni e derisioni a cui può essere sottoposta una donna, solo per il fatto che applica una legge divina, esteando la sua fede con un velo che per l’occidentale è motivo di scherno.
Spero che con questo scritto venga colto il senso vero della mia intervista…

«L’erba “voglio” non cresce neppure nel giardino del re». Così si replica talora a chi s’impone con: «Da te io voglio…». Che dire, poi, di chi coltiva l’erba «esigo»? È un’erba che non ci piace. Inoltre diciamo: la verità di Mariangela non vale di più di quella di Angela Lano, che conosciamo per serietà e professionalità.
La lettera-fax pubblicata ci è giunta il 27 ottobre 1999. Perché è stata scritta quasi a cinque mesi di distanza dall’articolo contestato? Ci assale un dubbio: che la musulmana abbia scritto su dettatura di un altro musulmano, che non ha gradito «Le altre vie di Allah».
Probabilmente Mariangela replicherà ancora più sdegnata: «Come vi permettete una tale insinuazione?». Ma il dubbio rimane.
E… in dubio libertas.

Mariangela




Caro “baco”, quanto ci costi!

C aro esperto, il millennium bug ha arricchito anche te. Tu sapevi che «il baco del millennio» non avrebbe bloccato i computer. Sapevi che la stragrande maggioranza di loro non avrebbe avuto problemi nel cambio di data. Solo i computer con vecchi chip bios o antiquati sistemi operativi Microsoft avrebbero potuto falsare i conti nel cambio di data (da 99 a 00). Avresti potuto scrivere una lettera di protesta a Bill Gates, per essersi fatto i soldi vendendo un sistema operativo obsoleto.
Tu sapevi, ma sei rimasto zitto.
Tu sapevi che si stava montando un bluff: il «baco» era in agguato solo se il programmatore fosse stato uno sprovveduto. E sapevi che tantissimi programmatori avevano già inserito un’istruzione di controllo: un semplice «se… allora», per varcare il 2000 senza problemi.
Caro esperto, tu sai che per scrivere un tale algoritmo basta la quinta elementare. Già in liceo risolvevi sui computer problemi ben più complessi del millennium bug. Ma poi hai capito che, per fare colpo, non occorre realizzare cose difficili. Basta solo farle «apparire» tali.
Come per il millennium bug.
Bastava che la Presidenza del consiglio avesse fatto uno spot, non con quell’inutile pupazzetto, disegnato per le masse, ma con alcune informazioni per l’autodiagnosi del computer. Bastava insegnare pochi e semplici controlli.
Oppure era sufficiente che un giornalista ti avesse intervistato e che tu avessi spiegato le poche cose da fare.
Ma alcuni giornalisti, pagati per confondere la gente, hanno fatto a gara per dire cose assurde, pur di accreditare «la santa crociata digitale». E le multinazionali dell’informatica li avranno lautamente ringraziati per i loro servigi di comunicatori della stupidità.
Tu hai visto politici far spendere allo stato somme insensate. E poi dicono che aiutare il terzo mondo è giusto… «ma purtroppo ora non abbiamo i soldi». Eh sì, perché li hanno sganciati per il millennium bug e per qualche loro amico, esperto di computer.
Tu avresti potuto ridicolizzare questa messa in scena mortificante, questo ennesimo raggiro di chi guarda la tivù come fosse la verità.
Ma hai taciuto, perché la tua parcella di esperto veniva prima della verità dei fatti.
I soldi, spesi così male, ammontano ad una cifra che darebbe speranza per 10 anni ad oltre 300 milioni di piccoli disperati. Soldi finiti nelle tasche dei ricchi, come sempre.
Ma anche nelle tue.
Allora, caro esperto, ti chiediamo una riparazione. Impiega una parte di quanto ti ha fruttato il millennium bug per debellare la lebbra, che condanna 12 milioni di persone. Sei ancora in tempo a dialogare con la tua coscienza. Un malato di lebbra può guarire con 250 mila lire.
Spiccioli rispetto ai 3 milioni di miliardi spesi per «il baco del millennio».

Alessandro Marescotti




La moschea nel convento

La diffusione dell’islam in Italia

I corsi di corano e di lingua araba vengono ormai proposti anche da associazioni cattoliche. Molti giornali diocesani danno ampio spazio all’islam. I matrimoni tra cattolici e musulmani sono in aumento. Però sono sempre i primi ad abiurare la loro fede. Perché? Perché l’«ecumenismo» è un atteggiamento esclusivamente cristiano? Queste ed altre domande in un articolo molto critico verso le aperture di una parte del mondo cattolico nei confronti dell’islam.

Suor Consolata Tonetti è la direttrice dell’Istituto San Giuseppe di Aosta. È molto occupata: «Siamo in poche, qui c’è tanto da fare…». All’ingresso si nota un grande manifesto: «Sabato 18 marzo 2000 verranno celebrati i 350 anni della fondazione della congregazione».
Suor Consolata mi offre un opuscolo: «Se il tuo cuore ti chiama al coraggio del dono della vita di Cristo per la felicità dei fratelli, puoi rivolgerti alla Comunità delle suore di San Giuseppe…».
Madre Consolata, dicono che nel suo istituto si insegna il corano, si tengono lezioni di lingua araba, qui si celebrano le festività musulmane…
«Questo è un grande complesso. Abbiamo affittato diversi locali alla Cooperativa “La sorgente”. Sono loro che organizzano tutto questo.
La grande festa musulmana dell’Aid El Kebir quest’anno la celebreranno al Centro Anita, nei locali del comune di Aosta».
Madre, vi sono molti missionari che danno anche la loro vita per la diffusione del vangelo. Come mai voi, nel vostro istituto fate opera di diffusione dell’islamismo?
«Noi non siamo missionarie… Ad Aosta c’è una moschea in via Trottechien. C’è un centro islamico sovvenzionato dal comune… Vi sono diversi matrimoni misti».

Nella stessa costruzione, ai piani superiori, vi sono gli uffici ed alcune sale della Cooperativa «La sorgente». Il direttore Riccardo Jacquemod: «La nostra attività consiste anche nel tenere corsi di corano e di lingua araba. Abbiamo personale algerino e marocchino. Ultimamente abbiamo ottenuto dal comune la sovvenzione per insegnare la lingua araba a diversi bambini, figli di immigrati o di valdostani convertiti all’islam…».
Ci troviamo in un grande salone. Noto dei fogli murali con scritte in lingua araba. «Il corso ha lo scopo di favorire l’inserimento dei bambini nella nostra comunità… ha lo scopo di mantenere e rafforzare l’utilizzo della lingua araba nei giovani che sono venuti in Italia o che sono nati qui da matrimoni misti…». «Il mantenimento della lingua, cultura e religione araba costituisce uno degli obiettivi previsti anche dalle normative sull’immigrazione…».
«Il corso, gratuito (pagato dal comune, ndr), è affidato alla tirocinante, di madrelingua libica, Samira Abodaber e alla marocchina Maijida Khanouri».
Dirigente della cornoperativa è anche una donna algerina, Samia Soltane, sposata con un valdostano. Sono di religione musulmana, compreso il loro bambino che porta, come la gran parte dei figli dei matrimoni misti, un nome arabo.
Un familiare del presidente della cornoperativa scrive anche sul locale giornale diocesano Il Corriere della Valle d’Aosta, diffuso in tutta la regione in alcune migliaia di copie. Questo periodico pubblica regolarmente notizie sul mondo islamico e anche lezioni di corano. È però un corano «addomesticato», anzi si potrebbe dire «cristianizzato», bonario, propagandistico, che fa vedere quanto «quella cultura» non sia corrotta come lo è invece il mondo occidentale. In questo modo sono in molti a comprendere che le conversioni all’islam sono un’azione voluta anche dalla chiesa cattolica perché «dobbiamo tutti volerci bene…».
Il direttore del Corriere della Valle d’Aosta è Fabrizio Favre. Intervistato, dichiara: «Noi, per par condicio, non possiamo fare come gli integralisti in Sudan, Afghanistan o altrove. Noi vediamo l’aspetto islamico nell’ambito del rispetto… Se i musulmani sono in continuo aumento, è colpa della nostra poca fede».

Il giornale valdostano diocesano pubblica settimanalmente una rubrica dal titolo «Conoscere per dialogare», curata da Carla Jacquemod della Cooperativa «La sorgente». Nel numero del 3 giugno 1999 si parla di Gesù e Maria nell’islam: «Gesù occupa il 4° posto per ordine di importanza dopo Mohammad, Mosè e Abramo; è un uomo, un ottimo musulmano; non è vero che morì in croce: qualcun altro fu messo al suo posto (Giuda? L’apostolo Pietro? Un soldato romano?). Gesù fu elevato al cielo donde ritoerà, come segno dell’ora e nel giorno del giudizio finale testimonierà contro i giudei e i cristiani (!). Ha ricevuto una rivelazione come Mosè e Maometto, cioè il Vangelo, non ha senso parlare di 4 vangeli… Gesù non è Dio, né il terzo di una triade di dèi (con il Padre e Maria). Gesù è soltanto servo di Dio».
Prima della fine del mondo toerà, combatterà con l’aiuto di Dio insieme con i musulmani contro Gog e Magog e sterminerà tutti i suini del mondo (animali proibiti). Gesù prenderà moglie, avrà figli, farà la preghiera musulmana e il pellegrinaggio (alla Mecca). Morirà e sarà sepolto a Medina, nella grande moschea, vicino a Maometto e a Alì Bakr (il 1° califfo). Nel giorno del giudizio risorgerà e, con sua madre Maria, farà capire a tutti di essere un vero musulmano (sic). Gesù è annunciatore della successiva venuta di Maometto…
A questa affermazione si potrebbe obiettare: come è possibile che Gesù sia stato un buon musulmano se Maometto e questa religione sono nati sei secoli dopo?
Il commento dell’autrice, scritto sul giornale diocesano cattolico di Aosta: «Nei nostri approcci con i musulmani dobbiamo fare attenzione al linguaggio (evitando di parlare del peccato originale). Non nominare il Salvatore, la redenzione, la morte in croce; dobbiamo far capire ai musulmani che non vogliamo divinizzare l’uomo Gesù… Maria è la sorella di Aronne, credono che sia venerata dai cristiani come membro della Trinità… La vogliono figlia di Imran e affidata a Zaccaria, suo parente, che l’accoglie nel tempio. Per i musulmani è particolarmente urtante chiamarla madre di Dio, è meglio chiamarla madre di Gesù».
Come commentare queste «istruzioni» apparse su un giornale cattolico?

di Michel Barin C.

Michel Barin C.




Italia e Armenia

Egregio direttore,
ho letto su «Missioni Consolata» un bell’articolo sull’Armenia. Mi congratulo con lei per avere portato all’attenzione dei lettori il secolare dramma del popolo armeno, che ha subìto il primo genocidio del XX secolo.
Le scrivo anche a nome del professore Bophos Levon Zekiyan (università di Venezia), dei docenti Antonia Arslan e Massimo Turatto (università di Padova). L’ultimo è anche presidente dell’associazione «Italiarmenia».
Le assicuro che, se vorrete tener desta l’attenzione sul «problema armeno», la nostra associazione potrebbe darvi una proficua collaborazione.
Marta Minuzzi
Camposampiero (PD)

Grazie. Ma le congratulazioni vanno soprattutto a Claudia Caramanti, autrice dell’articolo, nostra fedele e impegnata collaboratrice, nonché fotografa. Nel presente numero scrive (con altri collaboratori) sulla Cambogia. Ennesimo genocidio dimenticato.

Marta Minuzzi




Dio più delizioso di Allah

Egregio direttore,
ho letto con interesse il vostro «viaggio» fra i musulmani cercando di approfondire la loro cultura e religione. Apprezzo il vostro dialogo con quelli che ci sono attorno nei tram e sulle piazze.
In «Missioni Consolata» di luglio si è parlato dei convertiti all’islam e dall’islam. Non conosco le ragioni che spingono gli uni e gli altri ad abbracciare un’altra fede; pertanto non giudico nessuno.
Forse, per completare quanto già detto nella rivista, è utile conoscere la testimonianza di un algerino, musulmano praticante, convertitosi poi alla fede cristiana e, infine, entrato nell’Ordine dei francescani. A padre Jean Mohammed Abd el Jahil chiesero, prima che morisse nel 1998, quale differenza avesse trovato fra Allah e il Dio dei cristiani. «Oh – disse – Allah è grande, ma lontano da noi. Il Dio dei cristiani è molto più desiderabile, più comunicabile e più delizioso».
Da un convertito è bello cogliere la testimonianza di una scoperta che noi, forse, non abbiamo ancora fatto.

Certamente, padre Giovanni… E grazie di averci segnalato un documento dei vescovi francesi sul dialogo fra cristiani e musulmani.
Il documento cita anche il corano: «Se il Dio lo avesse voluto, avrebbe potuto fare di voi una comunità unica, ma non lo ha fatto. Vuol mettervi alla prova per mezzo di ciò che vi ha rivelato. Andate a gara gli uni e gli altri nel compiere il bene, poiché verso il Dio sarà il vostro ritorno. Solo allora egli vi illuminerà sulle cose su cui siete in discordia» (sura 5, versetto 48).

p. Giovanni Zabotti




Guarigioni vere con medicine presunte


Si ricorre a placebo, come il bastone, ma anche occhi di vetro, cuori di corallo o d’oro, nonché al sangue del paziente, urina, saliva, unghie, capelli.

Spesso capita di sentire o leggere cose strane su credenze e pratiche terapeutiche esotiche o nostrane, che ci lasciano stupiti, increduli ed anche un po’ scettici. Come è possibile, ci si chiede, che miscele di foglie «fredde» o poltiglie di erbe «calde», possano influire sul decorso di una malattia con effetto risolutivo? Che infezioni, intossicazioni, ferite, gravidanze, malattie nervose, asma… possano essere curati con organi e prodotti del regno animale, usati anche solo in effigie e quando il loro modo di applicazione esclude, a priori, un’azione farmacologica?
Vien da pensare che ci sia qualcosa in più in queste pratiche mediche tradizionali, qualcosa che è legato al concetto di suggestione più che a quello di sostanza curativa. In altre parole, si tratta di ciò che viene definito dalla medicina occidentale «effetto placebo», definizione data ad ogni medicamento che si somministra più per compiacere l’ammalato che a scopo curativo.
Il placebo comprende qualsiasi mezzo chimico, fisico, chirurgico o psicologico che simuli un effetto terapeutico. Anche nella medicina occidentale l’«effetto placebo» è ben documentato, particolarmente dove sono presenti sintomi soggettivi accentuati e intensa partecipazione psicologica del paziente, come nelle malattie psicosomatiche. Angina pectoris, artrosi, malattie reumatiche, cefalee, ipertensione essenziale, febbre da fieno, stati asmatici, mal di mare, tosse, disturbi dell’ulcera peptica e stati dolorosi post-operatori… beneficiano in molti casi di effetti favorevoli con la somministrazione di un placebo.
Servirsi di sostanze-placebo, pur essendo una prassi non abituale e non sempre ben accetta nella medicina occidentale, si è rivelato in diversi casi, particolarmente nell’ambito della patologia psichiatrica, un importante sostegno morale per il malato, quasi «un oggetto» investito di potere terapeutico con funzione simbolica.
Secondo uno studioso, il 35-45% di tutti i medicinali, somministrati come placebo, è costituito da sostanze incapaci di avere un effetto sulle malattie per le quali è prescritto.

I nteressante, a questo proposito, è un placebo un po’ particolare: il bastone; convalescenti di malattie agli arti inferiori che sono dovuti ricorrere al bastone per i primi passi, in seguito non possono più fare a meno di portarlo anche se perfettamente guariti. Il bastone, anche solo tenuto in mano, dà loro un senso di forza e sicurezza che è necessario per rinforzare l’equilibrio e l’attività motoria.
Se l’«effetto placebo» vale nella nostra medicina, vale di più per l’etnomedicina, ossia per le medicine tradizionali in cui un’infinità di «placebo» e di insolite pratiche mediche e credenze trovano una spiegazione in quel vasto campo, solo in parte esplorato, dei fenomeni psicosomatici.

E cco una «carrellata etnologica», quasi un affresco carico di colore, di placebo: l’occhio (in vetro) come talismano contro il malocchio, il cuore (in oro, argento, corallo) per preservare da varie malattie, ma anche sangue, urina, saliva, unghie, capelli!
Secondo credenze arabe, poiché nel sangue possono risiedere spiriti apportatori di malattie, si ricorre immediatamente al salasso quando si presentano disturbi di un certo tipo. In Angola il sangue sano, estratto con il metodo delle ventose, viene utilizzato per curare ustioni. In Marocco si è convinti che si possa migliorare la bellezza dei denti estraendo qualche goccia di sangue dal mento. Nel Gabon si ricorre al sangue per fare una prognosi per la malattia del sonno; lo stregone (n’ganga) prende il sangue del malato e lo versa su foglie di colocasia esculenta: se il sangue diventa nero, la malattia è incurabile e il malato deve morire. Nelle Filippine si fa bere alla gestante una piccola quantità del suo sangue per alleviare le sofferenze del primo parto.
Anche l’urina umana è un farmaco di grandissimo uso nelle medicine tradizionali. In Libia il bambino, che stenta a parlare, o la persona che ha poca memoria devono urinare in una pozza di acqua stagnante per guarire il loro disturbo. In Eritrea si cura l’asma bevendo un bicchiere della propria urina ogni mattina, per dieci giorni consecutivi, seguito subito da uno spicchio d’aglio.
Dulcis in fundo? In Australia con urina di persona sana si curano le ferite. Nelle Filippine con la propria urina si trattano le malattie degli occhi, purché il liquido sia raccolto alla sera e al mattino seguente, a distanza di 12 ore; inoltre, con la prima urina di un bambino, la madre si frizionerà i capelli per impedie la caduta. In Guatemala si cura l’asma dando da bere all’ammalato la sua urina; infine le coliche viscerali scompaiono se si ingerisce, per una sola volta, una miscela di urina (3-5 gocce), acqua e sale. Lavarsi la faccia con l’urina del neonato, ogni volta che fa «pipì», è una buona cura per la puerpera che soffre di macchie gravidiche.
La radice di chenopodium ambrosioides, macerata in un bicchiere di urina, è utile per combattere il parassitismo intestinale: si beve la pozione ad intervalli regolari. In Venezuela con l’urina si combatte l’alito cattivo (bee tre sorsi appena svegli), la stitichezza (clisteri di urina), la tigna del cuoio cappelluto (sedimenti di urine lasciate in riposo per 24 ore).
I Malargüe dell’Argentina curano gli eczemi con l’urina di lattante, la sterilità con quella di una donna gravida e nei parti difficili ricorrono all’agua del marchante, ossia l’«urina dell’eremita», un uomo che vive come un anacoreta del passato, in preghiera e lontano dal mondo.
La saliva, come rimedio, ha un uso universale. Nelle Filippine il tambalan (guaritore-erborista) cura con la propria saliva febbri, dolori di stomaco e altri disturbi; ma il manulutho, il medico «di base» del villaggio, cura esclusivamente con la saliva, sputandola sulla faccia del malato o bagnando con essa le zone infette della pelle. Tra i Malargüe la pedra bezoar (un calcolo spesso presente nello stomaco del lama) acquista poteri terapeutici solo se, appena estratta, viene bagnata con saliva. Nelle Hawai il kakuna (medico tradizionale) trasmette le sue conoscenze mediche agli allievi bagnando con la propria saliva l’interno della loro bocca.
In Burkina Faso e Etiopia, infine, le madri leccano il neonato per farlo crescere bello e sano. Un proverbio recita così: «Quando la madre lecca molto il bambino, Dio è contento, come quando ciascuno paga i suoi debiti».

Liliana Pizzoi