La trappola delle monoculture

Signor direttore, dopo la lettura dell’editoriale «Il bacio della vergogna» (Missioni Consolata, maggio 2000), desidero fare un paio di considerazioni.

1. Se è vero che la decisione dell’Unione europea del 15 marzo favorisce le multinazionali e danneggia i paesi produttori di cacao, è altrettanto vero che, prima di tale provvedimento, i produttori erano tutt’altro che agevolati dal mercato e dal comportamento dei consumatori. L’eccessiva dipendenza dal cacao è fonte di debolezza economica per tutti i paesi della fascia tropicale, perché il suo prezzo viene fissato in base ai capricci degli speculatori occidentali, non in base a considerazioni di equità sociale.
Il vero dramma è la scarsissima attenzione per i canali del commercio alternativo. La variazione dei parametri sul tasso di burro di cacao è solo la conseguenza di un sistema di strapotere, che si è potuto consolidare grazie ai tanti «puristi» del cioccolato che oggi protestano, unendo la loro voce a quella degli ecologisti e dei missionari.

2. È riduttivo parlare di rischi per la salute facendo riferimento all’uso di cacao o surrogati ottenuti da piante geneticamente modificate. La prima modifica di cui si dovrebbe parlare è quella dei territori trasformati in enormi piantagioni di cacao.
In Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria la monocoltura del cacao è stata una delle principali cause della distruzione della foresta pluviale tropicale, la culla della biodiversità. Perfino le aree protette, spesso sotto l’egida dell’Unione europea e dell’Unesco (è il caso del parco nazionale Tai in Costa d’Avorio e del parco Dja in Camerun, dove vivono anche alcune comunità di pigmei baka), sono minacciate da un’agricoltura cacao-caffè-dipendente, che non tiene in alcun conto né delle esigenze dell’ambiente né delle necessità alimentari delle popolazioni locali.
Quanto a padre Giacinto Franzoi, lo apprezzo perché ha il coraggio di affrontare certi temi in chiesa. È vero che il cacao è meglio della coca: ho l’impressione però che limitarsi a questo non sia proprio ciò che ci vuole per aiutare le persone a prendere coscienza dell’importanza delle foreste naturali.
Dal punto di vista ecologico, le monocolture di cacao sono state un vero disastro: se desideriamo davvero riconvertire l’agricoltura insana, diamo alla foresta pluviale almeno un po’ dello spazio che ha perduto, invece di continuare a incoraggiare un consumo che porterà soltanto altri danni all’ambiente e all’uomo.
Tutelando le foreste tuteliamo gli ultimi polmoni verdi del pianeta, tuteliamo la vita e ciò che è essenziale alla vita; invece, tutelando il consumo di cacao vecchia maniera, diciamo sì al superfluo, sì all’ingordigia e prepariamo il terreno ad altre eurotruffe: cacao ad alto rendimento, cacao ad elevato contenuto di teobromina, cacao ad effetto afrodisiaco, ecc.
Francesco Rondina – Fano (PS)

Un editoriale è una provocazione, oltre che una riflessione. I rilievi del signor Francesco Rondina (che sostanzialmente condividiamo) lo confermano. Alle sue considerazioni ne aggiungiamo altrettante.

1. Nel sud del mondo i prodotti delle monocolture sono destinati soprattutto all’esportazione e, quindi, all’acquisto di valuta pregiata. È lo stesso Fondo monetario internazionale che preme sui paesi in via di sviluppo affinché ne adottino il sistema, che dovrebbe consentire loro d’incamerare dollari anche per pagare il debito estero.
Però i risultati sono tutt’altro che certi, perché il prezzo dei prodotti esportati è molto instabile sul mercato mondiale. È noto, per esempio, il dramma del Senegal che, dopo essersi dedicato alla monocoltura dell’arachide, con il crollo del suo prezzo, si è ritrovato montagne di noccioline invendute. Per non parlare della desertificazione del suolo che l’arachide produce.

2. Il cacao dei contadini di padre Giacinto Franzoi è «una» delle coltivazioni alternative della coca, i cui effetti devastanti sono certamente superiori a quelli del cacao, specialmente sotto il profilo umano.
Esistono anche piantagioni di caucciù, nonché l’allevamento di animali terrestri ed acquatici, tipici dell’Amazzonia colombiana. Senza scordare le piante ed erbe medicinali, fra cui spicca l’uncaria tomentosa («unghia di gatto»).

Francesco Rondina




Le pattumiere nucleari

Egregio direttore, faccio seguito alla mia lettera del 31 marzo per inviarle la risposta pervenutami dalla Commissione europea che, a quanto leggo, sembra sensibile ed interessata alla situazione creatasi nella città di Severodvinsk (Russia) e già all’opera (o lo è stata).
Forse più interventi e segnalazioni, specie se cornordinati, potrebbero spingere l’Unione europea ad interessarsi maggiormente al problema dell’inquinamento, sia a livello politico che tecnico-umanitario.
Piero Lanino – Palermo

L’architetto Lanino è stato colpito dall’articolo titolato «Fabbrica di sordomuti», conseguenza della «pattumiera nucleare» di Severodvinsk (cfr. Missioni Consolata, gennaio 2000). Allarmato, ne ha inviato copia alla Commissione europea, lanciando un appello affinché sensibilizzi l’opinione pubblica su una ignorata «Cheobyl al rallentatore». Questa è la risposta ricevuta.

E gregio architetto Lanino, il professor Prodi, presidente della Commissione europea, la signora Wallström, commissaria per l’ambiente e la sicurezza nucleare, e il commissario Nielson mi hanno trasmesso la sua lettera dello scorso 5 marzo, di cui la ringraziamo.
L’appello da lei lanciato per sensibilizzare istituzioni e autorità italiane ed europee sulla tragedia della popolazione di Severodvinsk ci commuove, ma purtroppo non ci sorprende. I servizi della Commissione cercano, infatti, da anni di impiegare nel modo più efficace possibile le scarse risorse finanziarie di cui dispongono per intervenire nel settore. Ad esempio, recentemente abbiamo finanziato un progetto volto a migliorare la gestione dei rifiuti radioattivi a Severodvinsk. Il progetto ha anche il compito di indagare sulle conseguenze radiologiche dello scarico di sostanze liquide radioattive nella rete fognaria della regione, avvenuto nel 1990.
Questo progetto non è una iniziativa isolata, ma fa parte delle azioni della Commissione europea nella Russia nordoccidentale, in cui esistono numerose zone potenzialmente altrettanto pericolose come Severodvinsk.
D’altra parte, è necessario contribuire a ridurre le conseguenze radiologiche di cui soffre la popolazione locale, anche per evitare che esse si estendano alla penisola scandinava e colpiscano i cittadini comunitari.
Sono d’accordo con lei: bisogna attirare l’attenzione della comunità internazionale su questa situazione ed altre simili. Al riguardo, i miei servizi effettueranno delle ricerche in collaborazione con i ministeri russi competenti e non mancheranno di rendere pubblici i risultati di tali ricerche.
Le porgo i miei più distinti saluti.
J. Fr. Verstrynge, Deputy Director-General,
Bruxelles, 25/04/2000

aa.vv.




Insultato l’onorevole Colombo

Spettabile redazione,
l’articolo di Angela Lano (Missioni Consolata, giugno 2000) è molto curioso ed è diviso in due parti. Nella prima l’autrice conferma ciò che ho scritto su la Repubblica; nella seconda conclude con espressioni offensive (emozione, disinformazione, ignoranza, superficialità), che sono tanto più gravi perché smentite dalla prima parte dell’articolo.
Sono stupito di un testo così illogico, di un comportamento così incoerente e dal curioso desiderio di trasformare un dissenso in insulto, strano per una rivista missionaria.
Furio Colombo
Roma

«Citare» non è necessariamente «confermare»…
Sia Furio Colombo sia Angela Lano parlano della scuola matea di Via Cecchi (Torino), con una differenza: mentre il primo è in parlamento, la seconda è un’insegnante e opera come giornalista nell’ambito dell’immigrazione islamica.
Per l’onorevole le lezioni di arabo «solo per bambini arabi» ledono la costituzione italiana. Ma l’insegnante precisa che le lezioni sono un’alternativa all’ora di religione cattolica per chi cattolico non è; e ascrive al parlamentare disinformazione.
L’informazione corretta è un dovere, specie per una rivista missionaria,

Furio Colombo




Indulgenza, per favore!

Caro direttore,
mi sono domandato tante volte (e sempre con tristezza) perché il cattolicesimo, nel momento dell’attuale giubileo, abbia rinunciato ad utilizzare il tema delle «indulgenze» per ammorbidire il dissidio, ridurre le distanze che lo separano dal protestantesimo e, invece, sia prevalsa la tesi dell’atteggiamento intransigente e vecchia-maniera: debito di colpa, debito di pena, tesoro della chiesa…
Sono concetti che il messaggio di Gesù spazza via «come il vento orientale che squarcia le navi di Tarsis». Ma tant’è! Così è andata persa l’occasione per abbattere un pezzo di muro… Però qualcosa è successo: proprio dal papa ci è venuto un esempio e un monito formidabile.
Io vorrei mandare un pensiero di affetto e un piccolo contributo al tormento di quell’uomo che, tutto solo, contro ogni dubbio e armato soltanto delle sue convinzioni, ha saputo chiedere perdono e dire «mai più». E sia questo, almeno, il mio modo di togliermi il cappello davanti a lui.
Sergio Briatta
Torino

Le parole, oltre che macigni, possono essere pure carezza, sollievo, consolazione. Ad esempio: «indulgenza» (dal latino indulgeo) significa comprensione, clemenza, propensione al perdono, disponibilità a scusare colpe altrui. Tale indulgenza è in «vendita»?

Sergio Briatta




Non tutto fa brodo!

Egregio direttore,
leggendo su Missioni Consolata di maggio scorso il trafiletto «Qualcosa d’incomprensibile», mi consenta un pizzico di sgomento.
Se per ogni religione c’è «la sua porta d’ingresso al paradiso» su piede pari, che significa allora magistero? Che significa evangelizzare? Ogni via è buona: tutto fa brodo. Mi potrò rivolgere al New Age in buona coscienza?
Mario Rizzonelli
Dro (TN)

La porta del paradiso si apre nella misura in cui il singolo crede e obbedisce al magistero e mistero della bontà-misericordia di Dio. Non tutto «fa brodo». È quanto si desume anche dal citato «romanzo ecumenico» Le chiavi del regno di Joseph Cronin.

Mario Rizzonelli




“Corno d’Africa”: le colpe dei governi

Cari amici,
nella guerra Etiopia-Eritrea muoiono migliaia di persone, mentre tante altre sono in grave pericolo, se non vengono soccorse con urgenza. La gente (che aveva seminato parecchie volte) ha perso i raccolti a causa della siccità. Ma il governo non ha immagazzinato risorse idriche costruendo dighe. Non essendo cresciuta l’erba per gli animali, le bestie diventano ora carcasse e la gente segue la loro stessa sorte.
Ha una bella faccia tosta il primo ministro a dire che non è colpa dei governanti se manca il cibo. Certo, non è colpa loro se non piove. Però, se non si sono dati una mossa per creare in tempo delle scorte, se non hanno razionalizzato l’agricoltura… di chi è la colpa?
Dopo aver ricevuto gratis derrate alimentari da tanti paesi, è responsabilità loro (eccome!) averle vendute per pagare le spese di guerra. Così i servizi di prima necessità sono stati abbandonati con la scusa che, per prima cosa, bisogna difendere la sovranità territoriale. È una colpa il non aver trovato un’intesa per risolvere il conflitto in modo umano, e non così selvaggiamente come hanno fatto. È un delitto usare i giovani per distruggere, ammazzare.
Ora persino gli aiuti di emergenza (che noi missionari dovremmo distribuire alla gente) andranno in parte in mano ai governanti, perché vogliono avee il monopolio. Speriamo nella protesta delle Organizzazioni inteazionali… Però ho poche speranze, perché prima bisognerebbe cambiare certe teste.
Ho visto troppe persone sicure di sé e orgogliose, come il «don Rodrigo della forca». È un’espressione spagnola per dire: c’è chi, con la fune al collo, si vanta di essere un nobile e dichiara di morire da innocente. Eppure è un assassino… Nel «Coo d’Africa» i poveri possono nuotare nella melma, ma i capi diranno sempre che si tratta di «fanghi», buoni per i reumatismi!
Lettera firmata
Addis Abeba (Etiopia)

Denuncia amara quanto giusta. Su questo numero facciamo il punto della «guerra tutta pazza» tra Etiopia ed Eritrea (vedi pagina 47).

Lettera firmata




E’ indispensabile credere nelle religione cattolica?

Signor direttore,
vorrei essere confortato dal parere di un credente: è indispensabile credere nella religione cattolica per essere degno di entrare nel regno dei cieli? Oppure è sufficiente comportarsi in modo da non fare del male ad alcuno, anche senza professare nessuna religione tradizionale?
Ho letto molti vostri servizi da tutto il mondo, nei quali vengono evidenziati genocidi, tragedie, sfruttamento di poveri, donne, minori, ecc.
In generale le vittime appartengono al terzo e quarto mondo, dove vige solo la regola della sopraffazione e dove non si comprende più se i popoli possono ancora essere considerati umani, oppure cose da abusare e gettare, senza che i responsabili provino alcuna emozione.
I responsabili sono soprattutto coloro che, per avere maggiori guadagni, si avvalgono di tanta miseria per maggiormente arricchirsi, pur essendo coscienti che quelle persone perseguitate e sfruttate appartengono alla stessa umanità di cui essi fanno parte e hanno gli stessi bisogni.
Pio Moacchi
Savona

Primo. Oggi l’umanità supera i 6 miliardi di persone, di cui solo 1 miliardo circa si professa cattolico. Ed è assurdo pensare che i restanti 5 miliardi di uomini e donne non possano entrare nel «regno dei cieli», essendo tutti figli dello stesso Padre. Tuttavia, per salvarsi, non basta evitare il male; bisogna compiere il bene. Al riguardo il giudizio finale, descritto dal vangelo di Matteo (25, 31-46), è esplicito.
Secondo. Sete di guadagno, sfruttamento, sopraffazione… non hanno attenuanti. E, se ciò avviene nel cosciente disprezzo dei poveri, è come «impugnare la verità conosciuta», cioè un peccato contro lo Spirito Santo.

Pio Moacchi




Il panegerico sul sindaco Giuliani

Caro direttore,
ricevere Missioni Consolata quando si è lontani è ancora più bello. Grazie di questa rivista ben fatta sia per contenuti sia per impostazione.
Tuttavia ci ha sorpreso negativamente l’articolo su Rudolph Giuliani, sindaco di New York (Missioni Consolata, marzo 2000). Come comunità missionaria che opera negli Stati Uniti, riteniamo che il sindaco non meriti proprio il panegirico che la rivista gli ha attribuito.
Sono sicura che, se tu fossi stato qui, non avresti pubblicato un articolo così lodatore. Basta chiedersi a quale prezzo Giuliani abbia ottenuto il successo della «riduzione del crimine». Ci sarebbe molto da dire su questo argomento, e non a favore del sindaco (cfr. Time, 3 aprile 2000).
Mi auguro che Missioni Consolata conservi sempre la carica missionaria profetica. Un affettuoso saluto a tutta la redazione.
Elisa Sacchettini
Belmont (Usa)

Parlare di «panegirico» (esaltazione senza riserva) nei confronti di Giuliani non è esatto. Infatti, accanto ad un articolo celebrativo, la rivista ha affiancato due «inserti» che ridimensionano i successi del sindaco…
Suor Elisa è una missionaria della Consolata battagliera, impegnata negli Stati Uniti sul fronte dei neri (blacks). Impegno che sottoscriviamo.

Elisa Sacchettini




La critica profetica

Egregio direttore,
mi riferisco alla lettera dei signori Alberto e Davide, apparsa su Missioni Consolata, maggio 2000. No, non ha sbagliato a pubblicare la lettera del signor Guido Guidotti.
Però bastava solo un cenno alla lettera di Alberto e Davide, senza pubblicarla per esteso, comprese le loro allucinazioni. Allucinazione è, per esempio, il rimando all’episodio evangelico di Giuda, citato a sproposito. I due poi si danno la zappa sui piedi quando affermano che sono centinaia i missionari di Modena, distribuiti in tutti i continenti.
Io do ragione a Guidotti. Sono troppo dimenticati i missionari, che spesso danno la vita per i popoli cui sono inviati, e chissà quanto maggior bene farebbero se potessero disporre di aiuti più consistenti da parte delle chiese di origine.
Che cosa sono le poche decine di milioni stanziati per le centinaia di missionari (lo dicono Alberto e Davide) e le necessità dei loro cristiani, necessità a volte di puro sostentamento materiale? E che ne faranno i cristiani della diocesi di Modena di tutti quei miliardi? Per me questo è egoismo.
Non mi sembra paradossale affermare che le nostre belle chiese affondano nel sangue dei poveri e che «saremo giudicati sulla misura con cui ce li siamo presi a cuore» come dicono Alberto e Davide.
A volte criticare ciò che la gerarchia decide non è da condannare; può essere un compito profetico da realizzare con evangelico coraggio.
Francesco Ciriello
Casso Murge (BA)

Ricapitoliamo i termini del dibattito:
– il signor Guido affermava: l’«otto per mille» ha fruttato alla chiesa di Modena 9 miliardi di lire, di cui solo 20 milioni sono andati ai missionari in Brasile (Missioni Consolata, gennaio 2000);
– replicavano i signori Alberto e Davide: parrocchie, gruppi e singole persone della diocesi di Modena inviano alle missioni somme ingenti di denaro, oltre che personale (Missioni Consolata, maggio 2000).
Fra i «litiganti» si inseriva la nostra rivista notificando: la chiesa italiana, attraverso l’«otto per mille» ha destinato ai missionari 30 miliardi di lire nel 1991, per giungere a 135 miliardi nel 1998, così impiegati: per progetti socio-culturali 133 miliardi, da distribuire 2 miliardi.

Francesco Ciriello




Se lui è la vita, cosa significa per noi?

I l Convegno missionario internazionale di Roma del 18-22 ottobre 2000 avrà come tema: «Gesù Cristo sorgente di vita per tutti». Il tema può sembrare ovvio nei 2 mila anni della nascita di un uomo chiamato Gesù. Però rivela una paura: che la missione stia perdendo il suo punto focale.
Alcune vie della missione (liberazione degli oppressi, inculturazione e dialogo interreligioso) rischierebbero di attenuare, se non di escludere, l’annuncio di Colui senza il quale non c’è salvezza né vita (cfr. Atti 4, 12). È come se si costruissero autostrade là dove ci sono solo impervi sentirneri, con il rischio però che sulle autostrade, larghe e comode, non si incontri nessuno, mentre sul sentirnero si incontra Gesù in persona (cfr. Lc 24, 15).
La paura non ci pare giustificata. La missione ha ancora al centro Gesù: liberazione, inculturazione e dialogo sono perfettamente coerenti con l’annuncio di Cristo salvatore. Il problema vero è un altro:
Gesù-vita si trasmette solo con la vita.
Le religioni offrono dottrine, regole morali, riti di purificazione e vie per entrare in contatto con la divinità. Il confronto è aperto e nulla esclude che il cristianesimo, nelle sue realizzazioni storiche, riceva forme religiose autentiche da altre tradizioni. Ma la fede cristiana offre la vita eterna, cioè vita senza limiti e piena che risponde, oggi, alle urgenze dell’umanità: l’umanità che muore in quelli a cui la vita è rubata con violenza, e muore «dentro» negli altri ancora di più. La vita eterna è nel figlio di Dio.
È la vita per tutti e la sua novità deve essere manifestata al mondo. Ecco la missione. Ecco il motivo per cui non bastano i mass media, pur potenti, a diffondere il vangelo. Esso passa da persona a persona, da famiglia a famiglia, da gruppo a gruppo, in una testimonianza concreta di vita nuova. I missionari (meglio, le piccole comunità missionarie) partono e tornano da una chiesa all’altra per uno scambio di doni, che non sono teorie o in vaghe visioni umanitarie, ma esperienze di vita.
Vivere in Cristo e camminare con lui: sono espressioni ricorrenti in Paolo e Giovanni. È solo così che egli può essere manifestato. Dovrebbero esserci ovunque comunità in cui, grazie all’amore per gli altri e alla capacità di perdono, i popoli possano vedere che Cristo è vivo, che è la vita.
All’inizio del XXI secolo, alla missione si impone la scelta di comunità (non di «altoparlanti») in cui la vita evangelica sia evidente. Nel «villaggio globale» la chiesa, più che una grande organizzazione, deve essere una comunione universale di comunità, diverse per lingua, cultura, condizioni storiche e magari anche per espressioni religiose, ma unite nella lode del Padre e aperte ad accogliere ogni sete di vita. Nell’unica vita del Crocifisso-Risorto.
Fesmi
(Federazione stampa
missionaria italiana)

FESMI