Che significa “gonzo”?

Spettabile redazione,
vi ringrazio di aver pubblicato la mia lettera (Missioni Consolata, marzo 2001). Mi dispiace solo che, con i tagli (anche se condivisibili), il tono generale della lettera (che era aspro ma fraterno) sia apparso ostile. Però le parole forti usate (ho dato del «gonzo» a chi odia Berlusconi) non mi suonano come insulti, ma il linguaggio colorito di due persone che parlano animosamente, ma vogliono senz’altro intendersi.
In un contesto più formale confermo l’aggettivo: sono fortemente convinto che sia gonzo chi, qui e oggi, nel panorama politico italiano e con la storia recente che abbiamo (i grandi ideali periti miseramente; il grande partito moderato che, all’ombra del cattolicesimo militante, ha fatto il bello e cattivo tempo; la parabola craxista…), si senta di amare a rotta di collo chicchessia e di odiare il suo antagonista.
Mi fa ridere (cioè pena) chi oggi amasse acriticamente Berlusconi o Fini e odiasse Veltroni o Rutelli. Criticare, parodiare, avversare, simpatizzare… senz’altro. Ma odiare è da gonzi (è assai pericoloso, specie considerando il pulpito da cui si parla).
Non ho capito, nel vostro commento, il «distinguo» tra gli applausi al papa e quelli a Berlusconi nel Meeting di Rimini. È naturale che «una cosa è la dottrina sociale del papa, un’altra quella del cavaliere» (ci manca solo che al Berlusca gli si faccia fare anche il papa). A me pare che l’applauso di Rimini dimostri che i miei argomenti non erano fuori tema… Sono contento che abbiate stimolato il dibattito, specie fra i cattolici.
Luigi Fressoia
Perugia

A proposito di «gonzo», Il vocabolario della lingua italiana di G. Devoto e G.C. Oli recita: «persona tarda e stupida (anche come epiteto ingiurioso)».

Luigi Fressoia




Giuste osservazioni

Spettabile redazione, facciamo alcune osservazioni sull’articolo «Tra passato e futuro» di Teresa De Martino, apparso su Missioni Consolata di febbraio 2000. Lo scritto riguarda prevalentemente il progetto realizzato dai missionari della Consolata nella missione di Chiga (Kenya).
Si dice che a Chiga c’è un istituto magistrale (CTTC). In realtà è una scuola tecnico-professionale. Negli istituti magistrali non si insegna falegnameria, meccanica, carpenteria metallica, ecc. Infatti la sigla CTTC significa «Consolata Technical Training Centre».
Circa gli edifici del Centro di Chiga, essi sono stati progettati, calcolati e disegnati da due volontari, collaboratori della Commissione di assistenza tecnica ai missionari dell’Ufficio missionario diocesano di Torino. Gli edifici sono: un asilo, capace di accogliere 80 bambini (dedicato a Luca Delfino); un istituto tecnico professionale (previste sei professionalità); una casa per vedove e orfani; un centro sociale di accoglienza (ospitalità per corsi, riunioni, serate); un centro professionale di taglio, cucito e maglieria (ristrutturato).
I progetti sono stati cofinanziati dalla Comunità economica europea, tramite la Ong di Torino «Movimento Sviluppo e Pace», che ha contribuito con oltre 287 milioni di lire, e dalla Conferenza episcopale italiana, su proposta dell’Ufficio missionario diocesano di Torino, che ha offerto 70 milioni di lire. Tali contributi, per un totale di 357 milioni, sono stati utilizzati per le costruzioni e per gli allestimenti dei vari blocchi del progetto e per preparare gli insegnanti scelti tra operatori locali.
Il costo totale dell’opera ha superato i 750 milioni di lire. Oltre alla Comunità economica europea e alla Conferenza episcopale italiana, hanno contribuito vari gruppi di appoggio in Europa (74 milioni) e la compartecipazione locale (320 milioni).
Nel progetto deve essere riconosciuto il grande lavoro di fratel Mario Beardi per la conduzione delle fasi di realizzazione e gestione del Centro, coadiuvato dai padri Ouma e John e da tutti gli altri collaboratori presenti a Chiga. Ma non può essere taciuto l’apporto considerevole delle entità ricordate.

Le doverose puntualizzazioni rendono il Centro di Chiga ancora più significativo, essendo frutto di varie «cornoperazioni» o sinergie.

Adriano Becchi e p. Luigi Bruno