Se i ricchi arrivano anche nello spazio


Lo spazio è la nuova frontiera dell’uomo. E, in quanto tale, suscita dubbi e domande. I viaggiatori attuali sono da considerarsi turisti spaziali o pionieri di una nuova era? Gli enormi costi di questi viaggi sono giustificabili? Le colonizzazioni extraterrestri saranno presto una necessità reale per l’umanità?

Il prossimo febbraio 2022, la missione AX-1, organizzata dall’Axiom Space, porterà l’israeliano Eytan Stibbe, lo statunitense Larry Connor e il canadese Mark Pathy a bordo della Stazione spaziale internazionale (International space station, Iss). A rendere particolarmente interessante la notizia è il fatto che i tre sono ricchi uomini d’affari che non hanno mai intrapreso la carriera d’astronauta. Sono, quindi, a tutti gli effetti dei semplici turisti spaziali.

A guidarli verso l’Iss sarà l’ex astronauta della Nasa Michael López-Alegria, che ha al suo attivo ben cinque missioni nello spazio. Sarà lui l’unico professionista che condurrà il terzetto a bordo del Falcon 9 della SpaceX di Elon Musk, il fondatore della Tesla. La navicella spaziale si aggancerà alla stazione internazionale, dove, per la «modica» cifra di 55 milioni di dollari ciascuno, i tre magnati saranno ospitati per otto giorni.

Il costo esorbitante che i turisti dovranno pagare spianerà la strada verso una nuova forma di economia dopo che, nel 2019, la Nasa ha accettato di accogliere visitatori privati sulla stazione spaziale. Intanto, lo scorso ottobre, un regista e un’attrice russi sono stati 12 giorni a bordo della stazione per girare un film. Questi hanno preceduto l’attore Tom Cruise e il regista Doug Liman che si sono prenotati per un successivo volo durante il quale gireranno scene di un altro film. Intanto, Space Hero, un’agenzia di produzione televisiva, ha annunciato che, nel 2023, il vincitore del suo reality show avrà come premio un viaggio e soggiorno alla Iss con la Axiom Space.

Connor, Pathy e Stibbe, però, non si definiscono «turisti spaziali», bensì «pionieri di una nuova era», quella della colonizzazione di nuovi mondi. E questa definizione non è del tutto errata.

I tre «comuni mortali» si sono volontariamente sottoposti a test coordinati con istituti, ospedali, enti scientifici al fine di monitorare lo stato delle condizioni di esseri umani non completamente addestrati per affrontare eventuali colonizzazioni extraterrestri.

In particolare, Larry Connor ha scelto di collaborare con la Mayo Clinic e la Cleveland Clinic; Mark Pathy con il Montreal Children’s Hospital e la Canadian Space Agency, mentre l’israeliano Stibbe si sottoporrà a test coordinati con l’agenzia spaziale israeliana e la Ramon Foundation.

Inoltre, l’equipaggio non professionista, prima di essere portato in orbita, ha dovuto affrontare 15 settimane di training e i dati raccolti durante il loro addestramento saranno utilizzati per successive missioni esplorative.

I viaggi nello spazio stanno conoscendo un’accelerazione a causa dell’interesse di alcuni tra i maggiori miliardari del mondo. Foto Piro4D – Pixabay.

Voli suborbitali e voli orbitali

Le missioni spaziali hanno sempre generato polemiche per gli alti costi e le energie umane, tecnologiche e logistiche profuse. È quindi naturale che anche la missione AX-1, riservata a gente facoltosa, abbia partorito contraddittori anche tra coloro che hanno sempre sostenuto la necessità di investimenti nell’esplorazione dello spazio. L’alto costo della «gita» sembra uno schiaffo alle ristrettezze economiche in cui versa parte della popolazione mondiale, ma se vogliamo preservare il futuro dell’umanità, dobbiamo anche guardare oltre l’oggi e il domani. Con il depauperamento delle risorse del nostro pianeta, l’aumento di popolazione e la sempre maggiore richiesta di energia, la colonizzazione di altri pianeti sarà, a detta di un numero sempre maggiore di scienziati e politici, non più una scelta, ma una necessità. In questo quadro le missioni turistiche, per quanto facciano storcere il naso perché (sino a oggi) riservate a una ristretta cerchia di persone, potrebbero rappresentare una prima verifica della possibilità di periodici viaggi di trasferimento di nuovi coloni.

Nel frattempo, il turismo spaziale decolla e sono già diverse le compagnie che stanno offrendo voli sia suborbitali (quelli che raggiungono un’altezza massima di 100 chilometri) che orbitali (quelli che raggiungono e superano i 400 chilometri, potendo agganciarsi così all’Iss). L’agenzia di consulenza spaziale Northern sky reserach stima che, entro il 2028, i voli suborbitali potranno valere 2,8 miliardi di dollari per salire a 10,4 miliardi entro il 2040 mentre i voli orbitali raggiungeranno i 610 milioni di dollari entro il 2028 e i 3,6 miliardi entro la decade successiva.

Una satellite in orbita attorno alla terra. Foto Pixabay.

Branson contro Bezos

Jeff Bezos di Amazon ha fondato «Blu Origin». Foto Daniel Oberhaus.

Le principali compagnie che si contendono il mercato dei voli turistici suborbitali sono la «Virgin Galactic» di Richard Branson e la «Blue Origin» di Jeff Bezos.

La prima opererà con la SpaceShipTwo, una navicella guidata da due piloti che potrà trasportare sei passeggeri i quali dovranno sottoporsi ad un addestramento di tre giorni prima del volo. La SpaceShipTwo verrà poi trasportata a 12mila metri di altezza da un jet, il WhiteKnightTwo e, dopo essersi sganciata dall’aereo madre, razzi propulsori porteranno la navicella a un’altezza di circa 90 chilometri. Il volo è parabolico e i passeggeri proveranno solo in parte la sensazione della microgravità prima di rientrare sulla Terra, nel New Mexico. La società di Branson ha già venduto 600 biglietti a un prezzo tra i 200mila e i 250mila dollari ciascuno.

Il magnate Richard Branson ha fondato la Virgin Galactic per viaggiare nello spazio. Foto Virgin Galactic.

La Blue Origin, invece, opererà con una capsula portata a 100 chilometri da un booster (razzo ausiliario), il New Shepard, con una traiettoria verticale. Dopo aver subito gli effetti della microgravità per pochi minuti, i passeggeri rientreranno nel Texas utilizzando un sistema di paracaduti tipo quello utilizzato dalle navicelle sovietiche, mentre il booster potrà essere riutilizzato per successivi lanci. A differenza dei clienti della Virgin Galactic, quelli che si affideranno alla Blue Origin necessiteranno di un solo giorno di addestramento.

Compagnie in orbita

L’unica azienda che si affaccerà a breve al turismo spaziale orbitale è, come già scritto, l’Axiom Space fondata dall’ex direttore operativo dell’Iss Michael Suffredini e dall’iraniano naturalizzato statunitense Kam Ghaffarian. L’Axiom ha stretto una collaborazione con la SpaceX di Elon Musk, a cui è affidato il compito di trasportare i turisti in orbita, e la Nasa, che ospiterà i visitatori nella stazione spaziale al costo di 35mila dollari a notte per persona. Ma i programmi della Axiom Space sono ben più ambiziosi: nel 2024 dovrebbe entrare in funzione una «depandance» spaziale collegata all’Iss e, dal 2028, addirittura una stazione completamente indipendente che ospiterà i clienti senza appoggiarsi alla stazione spaziale internazionale.

Ci sono però altre compagnie già pronte a sfruttare la ghiotta occasione rappresentata da questa nuova forma di turismo: la Space Adventure di Eric C. Anderson e la stessa Virgin Galactic hanno in programma di spartire la torta con l’Axiom Space. La Space Adventure ha già una certa esperienza nel campo avendo trasportato sette turisti sulla stazione spaziale con la Soyuz russa per una settimana al costo «stracciato» di 20 milioni di dollari. Nel 2023 porterà altri turisti, e uno di essi avrà anche la possibilità di effettuare una passeggiata nello spazio. Recentemente, un accordo con la SpaceX ha permesso alla Space Adventure di programmare voli orbitali senza appoggiarsi all’Iss: i clienti resteranno semplicemente cinque giorni a orbitare attorno alla Terra.

I crateri della luna. Foto Ponciano-Pixabay.

«Cara Luna»

Il progetto turistico più ambizioso rimane però dearMoon di Yusaku Maezawa, un uomo d’affari giapponese che ha già siglato un contratto con la SpaceX per un viaggio attorno alla Luna in programma nel 2023, poco prima di Artemis III, la missione della Nasa che, nel 2024, riporterà un uomo e una donna (questa volta veri astronauti) sulla superficie del nostro satellite.

Elon Musk di Tesla ha fondato «SpaceX». Foto Daniel Oberhaus.

Maezawa sarà accompagnato da altri otto turisti a cui offrirà il volo, scelti dopo una selezione a cui hanno partecipato più di un milione di candidati. Non si conosce il costo dei biglietti che il giapponese ha riservato per sé e i suoi compagni di viaggio, ma la SpaceX sta già costruendo il nuovo razzo, la Starship, che trasporterà la comitiva.

Di tutte le missioni turistiche spaziali, però, dearMoon è quella più ambigua e meno dettagliata. Secondo il suo ideatore, lo scopo sarebbe quello di promuovere la pace nel mondo dando un nuovo impulso all’arte, un obiettivo piuttosto banale per una missione che costerà miliardi di dollari (Elon Musk ha lasciato trapelare che l’intera progettazione e realizzazione costerà alla SpaceX cinque miliardi di dollari).

Magnati e raccolte di fondi

Resta il fatto che, almeno nelle sue forme iniziali, il turismo spaziale sarà riservato a privilegiati, coloro che potranno permettersi il lusso di spendere milioni di dollari o euro per passare qualche ora nello spazio osservando a distanza un pianeta che, per loro, sta diventando sempre più stretto.

È forse anche per questo motivo che la cooperazione con istituti di ricerca e ospedali (in particolare dedicati alla cura di bambini) è ormai divenuta quasi una consuetudine per i magnati della finanza e dell’imprenditoria che decidono di spendere una cospicua quantità di denaro per assecondare un loro sfizio o una loro passione.

Una passeggiata spaziale. Foto NASA.

Ospedali nello spazio

Lo scorso settembre, la missione Inspiration4, guidata da Jared Isaacman, aveva indicato come scopo principale della gita turistica spaziale (costata, per quattro persone, 200 milioni di dollari) una raccolta fondi a favore del St. Jude Children’s Research Hospital, una fondazione gestita dalla Alsac (American lebanese syrian associated charities) fondata nel 1957 dall’attore libanese-statunitense Danny Thomas. Thomas era un devoto cattolico, che, appena giunto negli Stati Uniti, chiese aiuto a San Giuda Taddeo. Avendo trovato successo, fama e agiatezza, decise di dare vita all’Alsac che, nel 1962 costruì l’ospedale, divenuta oggi la quindicesima organizzazione benefica degli States. Oggi l’Alsac raccoglie circa 750 milioni di dollari ogni anno per il funzionamento del centro (i cui costi operativi si aggirano sui 620 milioni di dollari per anno). La raccolta di fondi costituisce il 74% del budget del St. Jude (in media gli ospedali nazionali raggiungono a malapena donazioni per il 10% del loro budget) e permette alla struttura sanitaria di ospitare ogni anno circa 7.800 bambini pazienti senza chiedere alcun contributo economico alle famiglie.

Isaacman, fondatore e proprietario della Shift4 Payment, aveva offerto i costosi biglietti ad altre tre persone, tra cui un medico ausiliario dello stesso St. Jude la quale era riuscita a sconfiggere un tumore osseo che l’aveva colpita nella sua adolescenza. Obiettivo della missione Inspiration4 era quello di raccogliere aiuti economici per 200 milioni di dollari (la stessa cifra sborsata da Isaacman per la vacanza spaziale) grazie alla pubblicità che ne sarebbe derivata. Il traguardo è stato raggiunto e superato (anche grazie alla donazione di 50 milioni di dollari fatta da Elon Musk), ma sono in molti ad aver storto il naso per la manipolazione sempre più frequente fatta dai miliardari per giustificare agli occhi della società i loro capricci.

La simpatia e la poca notorietà di Isaacman, gli hanno evitato numerose critiche per il suo costoso capriccio, cosa non accaduta con altri suoi colleghi del calibro di Jeff Bezos o Richard Branson o allo stesso Elon Musk.

La democratizzazione dello spazio, come qualcuno ha definito il turismo spaziale, è ancora un obiettivo lontano da raggiungere.

Piergiorgio Pescali

Il lancio di una navetta spaziale statunitense. Foto WikiImages – Pixabay. | Uno dei punti contestati a questi viaggi e anche il tasso di inquinamento prodotto dai lanci. Un solo volo inquina più di quanto possa inquinare un povero in tutta la sua vita.

 




Esplorare lo spazio è uno spreco?

Testo di Piergiogio Pescali


Sono passati 50 anni (1969-2019) dall’arrivo del primo uomo sulla Luna. In questi decenni la «corsa allo spazio» è cambiata e si è allargata ad altri attori. La domanda però è sempre la stessa: è giusto spendere miliardi di dollari per esplorare lo spazio quando l’uomo non ha ancora risolto i problemi di sopravvivenza e convivenza sulla Terra? Con questa inchiesta cercheremo di fornire ai nostri lettori gli elementi conoscitivi per arrivare a una risposta.

ll cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna è stato salutato con numerose commemorazioni e non solo da parte di istituzioni governative e scientifiche. Accanto a queste, però, si è nuovamente levato un interrogativo che, sin dagli anni Sessanta, ha stimolato un dibattito destinato ancora oggi a rimanere senza risposta: è giusto spendere miliardi di dollari per esplorare lo spazio quando l’uomo non ha ancora risolto i problemi di convivenza civile sulla Terra?

La domanda, chiara e diretta, non può avere un riscontro altrettanto univoco per il semplice motivo che si sta parlando di due attività e argomenti ben distinti e separati. È però possibile, proprio partendo dalla polemica innescata dai movimenti di contestazione, intersecare e spiegare che spendere una tal quantità di denaro, alla fine porta beneficio all’intera umanità, compresi quei paesi e quei popoli che, nel contesto della Guerra fredda, venivano chiamati Terzo e Quarto Mondo.

© ESA-NASA-2016

Dallo spazio, tanti vantaggi quotidiani

I viaggi nello spazio non ci hanno portato solo conoscenze più approfondite sull’Universo e nuove risposte sul nostro passato e sul nostro possibile futuro. A parte la famosa foto della Terra che sorge dalla Luna ripresa dall’Apollo 8 il 24 dicembre 1968, considerata dalla rivista Life come una delle fotografie ambientaliste più influenti della storia dell’umanità, sono moltissimi i vantaggi che quotidianamente, senza che neppure ce ne accorgiamo, abbiamo dalla ricerca spaziale: dall’abbigliamento per proteggerci dalle temperature calde e fredde, ai Gps, dagli smartphone alle lenti antigraffio.

Altrettanto importanti a livello globale sono le riprese fotografiche e video che ci pervengono costantemente dalle centinaia di satelliti che orbitano attorno al nostro pianeta. Sono immagini che aiutano a prevedere e a monitorare disastri causati dalla natura e dall’uomo aiutando una più efficiente attività di soccorso e di protezione. È accaduto nei terremoti di Haiti, nel disastro di Fukushima, negli incendi delle foreste in varie parti del mondo, nelle alluvioni.

Sono le informazioni che ci provengono dallo spazio a darci quotidianamente lo stato della condizione ambientale della Terra. Pensiamo ad esempio ai dati che vengono forniti dagli istituti di ricerca sui cambiamenti climatici e le loro conseguenze: in condizioni normali sarebbero solo semplici numeri di difficile comprensione per chi non abbia dimestichezza con essi o con la statistica. Le riprese inviateci dai satelliti trasformano questi numeri in realtà visive rendendo più fruibile e immediata la visione globale del disastro climatico a cui stiamo andando incontro. Non solo, ma grazie alle immagini all’infrarosso dei satelliti è stato possibile trovare falde acquifere sotterranee in regioni aride del Sudan, in Kenya e Afghanistan avviando programmi agricoli che oggi sostengono migliaia di famiglie.

La ricerca spaziale è stata determinante anche nello sviluppo medico: la sterilizzazione delle camere operatorie, la risonanza magnetica, le protesi o la microchirurgia per operare piccole parti di organi umani sono tutte tecniche sviluppate grazie all’esplorazione dello spazio.

Secondo uno studio della Nasa (National aeronautics and space administration), l’implementazione tecnologica dei risultati delle ricerche spaziali limitati al solo ente statunitense, dal 2000 ad oggi avrebbe creato direttamente 19mila nuovi posti di lavoro, profitti per 5,2 miliardi di dollari, una riduzione di costi di gestione per 18,6 miliardi e salvato le vite a 450mila persone.

L’Esa (European space agency, Agenzia spaziale europea) invece, tra il 1995 e il 2016 avrebbe prodotto ricchezza per 14,6 miliardi di euro (contro un finanziamento di 8 miliardi). Oggi si calcola che ogni euro speso nella ricerca spaziale dall’Esa genererebbe 2,3 euro di profitto nell’economia europea.

 

© ESA-NASA-2017

Terzi incomodi spaziali: l’Italia e altre sorprese

Al tempo stesso, però, nel corso dei prossimi decenni, la corsa allo spazio rischia di diventare una nuova guerra commerciale riservata a quelle nazioni che oggi investono più risorse nel campo della ricerca.

Almeno fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la corsa allo spazio è stata appannaggio di due sole nazioni: Stati Uniti e Unione Sovietica. Il crollo del Muro di Berlino, oltre a sovvertire il mondo economico, sociale e politico, ha cambiato anche le regole d’ingaggio della ricerca spaziale. La rivoluzione geografica ha ridisegnato i confini e alcune nazioni, come la Russia, hanno dovuto stipulare trattati con nuove entità politiche per continuare a lanciare i propri vettori nello spazio. Altri, come l’Agenzia spaziale europea, utilizzano da decenni dipartimenti d’oltremare, in questo caso la Guyana francese, in cui sin dagli anni Ottanta la Francia aveva costruito il proprio centro spaziale. L’Italia è sempre stata all’avanguardia nell’esplorazione spaziale: il nostro paese è stato il terzo al mondo, dopo Usa e Urss, a lanciare un satellite in orbita ed ancora oggi l’Università La Sapienza di Roma è proprietaria di una base di lancio (ancora potenzialmente operativa, ma inutilizzata dal 1988) e di un centro spaziale («Luigi Broglio») off shore al largo delle coste kenyote (Malindi).

Oggi sono più di settanta le nazioni i cui governi hanno istituito agenzie spaziali e tra queste troviamo paesi che mai ci aspetteremmo di elencare nella lista dei programmi dedicati allo spazio: Indonesia (dal 1964), Bangladesh (1980), Mongolia (1987), Nigeria (1988), Vietnam (2006), Venezuela (2008), Bolivia (2012) e altri ancora. Gli ultimi arrivati, in ordine di tempo, sono Arabia Saudita e Filippine, che nel 2019 hanno inaugurato istituti di ricerca spaziale nazionali. Alcuni stati comunemente annoverati tra quelli economicamente meno sviluppati hanno anche propri satelliti in orbita (Nord Corea, Filippine, Bolivia, Venezuela, Colombia, Vietnam, Nigeria, Marocco, Indonesia), mentre altri hanno già inviato astronauti su stazioni spaziali internazionali (Vietnam, Indonesia, India, Brasile, Messico).

La rivoluzione spaziale è iniziata sin dagli anni Ottanta quando istituti universitari, sulla spinta del Programma sulle applicazioni spaziali lanciato dalle Nazioni Unite nel 1982, iniziarono dei corsi dedicati a studenti provenienti da paesi in via di sviluppo. Nigeria, Marocco, Turchia, Algeria, India furono i primi a rispondere, ma in breve numerose altre nazioni capirono quanto fosse importante partecipare con le proprie forze alla ricerca spaziale.

Insomma, lo spazio, pur essendo ancora un ambiente dominato dai pochi grandi giganti economici mondiali (Usa, Russia, Europa), è sempre meno monopolizzato da questi.

Galaxy-NGC-300- © NASA

La Cina sulla luna

È pur vero però che un conto è organizzare e allestire un’agenzia che collabora alla ricerca spaziale, un altro è partecipare attivamente ai programmi di colonizzazione e di sfruttamento dello spazio.

Nel dicembre 2013 ha fatto scalpore l’invio del lander cinese Chang’e 3 sulla superficie lunare, in quanto era la prima volta che un oggetto terrestre che non fosse statunitense o russo atterrava sul nostro satellite rimanendo operativo (il 14 novembre 2008 l’India era stata la prima nazione dopo Usa e Russia a inviare un manufatto sulla luna facendolo intenzionalmente impattare al suolo confermando la presenza di acqua rivelata nel 1976 dai sovietici).

In altri contesti l’avvenimento cinese avrebbe avuto ben altra risonanza, ma il fatto che una potenza emergente considerata – a torto o a ragione – fautrice di un’economia anarchica, aggressiva e sprezzante di ogni regola che tuteli i diritti dei lavoratori, avesse raggiunto la capacità di deporre un lander e un rover sulla superficie lunare, destò più preoccupazione che ammirazione.

Nonostante Washington e Mosca avessero da tempo pensato di trarre profitto dallo sfruttamento di oggetti celesti, la presenza di un terzo incomodo come la Cina avviò una serie di speculazioni sulla colonizzazione dello spazio e dell’Universo più in generale che attecchirono profondamente sviluppando una serie di dibattiti.

© NASA-Bill-Ingalls

Corsa alla colonizzazione

Esistono diversi trattati internazionali, stipulati tra il 1967 e il 2000, che regolano lo sfruttamento delle risorse naturali situate nello spazio. In questi si vieta ai singoli stati o enti privati di prendere possesso di qualsiasi corpo celeste, di installare impianti nucleari o di distruzione di massa. Con l’intensificarsi delle esplorazioni spaziali e l’aumento delle agenzie private inserite nel contesto (noi conosciamo principalmente la SpaceX di Elon Musk, ma ve ne sono circa altre trecento che operano nello stesso campo), in un prossimo futuro si renderà necessario approntare una legislazione più stringente. La geopolitica e le relazioni internazionali avranno sempre più a che fare con materie spaziali.

Ecco quindi che, mentre enti governativi come la Nasa e le altre undici agenzie spaziali statunitensi sono incoraggiate a sviluppare tecnologie che permettano loro di divincolarsi dai sovvenzionamenti pubblici, la spesa della ricerca spaziale nei paesi in via di sviluppo è più che raddoppiata tra il 2000 e il 2012, passando da 35 a 73 miliardi di dollari.

La corsa allo sfruttamento dello spazio è iniziata e promette di essere feroce quanto lo è stata quella dell’accaparramento delle risorse sulla Terra. La Nasa stima che solo i 9mila  asteroidi che orbitano attorno alla Terra, potrebbero fruttare ciascuno tra uno e mille miliardi di dollari; la Luna è ricca di elio-3, isotopo che diverrà importantissimo quando, tra qualche decennio, sarà possibile ottenere la fusione nucleare considerata la risorsa energetica del futuro e in cui molti paesi stanno investendo sempre più risorse, mentre la corsa a Marte è sempre più affollata di contendenti che giocano anche sul low-cost con l’India che fa da capofila. La missione «Mars Orbiter Mission» dell’Isro (l’agenzia spaziale indiana) che è entrata nell’orbita di Marte nel settembre 2014 è costata solo 73 milioni di dollari, ma – come ha candidamente confermato lo stesso presidente dell’ente -, il risparmio è stato ottenuto con lunghi ed estenuanti orari di lavoro, una forte diminuzione di test a terra e tagli tecnologici. Se questa è la via che vogliono intraprendere i nuovi arrivati sarà molto difficile che possano competere con la sofisticata tecnologia, i livelli di sicurezza e i diritti dei lavoratori autoimpostisi da agenzie storiche come la Nasa e l’Esa o la stessa Roscosmos (l’agenzia spaziale russa).

Per competere economicamente con la nascente industria spaziale dei paesi emergenti, nel 2015 l’amministrazione Obama ha aggiornato lo Space Act per aumentare la competitività dello sfruttamento delle risorse spaziali (incluse acqua e minerali) anche nel settore privato, concedendo alle aziende il diritto di uso e utilizzo di pianeti e asteroidi.

Naturalmente la decisione del governo statunitense è stata oggetto di discussioni e di scontri a livello internazionale in quanto violerebbe il Trattato sullo spazio extra-atmosferico stipulato nel 1967. Questo accordo, accettato da 129 paesi, stabilisce che nessuno stato può arrogarsi il diritto di rivendicare sovranità e risorse di alcun corpo celeste; al tempo stesso, però, non proibisce ad alcuno di poter sfruttare in modo temporaneo le stesse. Il risultato è un elastico legislativo che può essere manipolato dalle nazioni e dai singoli attori privati a proprio piacimento. Basta che nessuno pianti una bandiera o un logo su un oggetto spaziale affermando di possederlo e il gioco è fatto.

La confusione delle leggi sulla colonizzazione umana dello spazio è ben esemplificata dagli impressionanti numeri di oggetti che circolano sulle nostre teste: attorno al nostro pianeta ruotano circa 128 milioni di detriti spaziali più piccoli di 1 centimetro, 900mila oggetti grandi tra 1 e 10 centimetri e 34mila oggetti maggiori di 10 centimetri.

Dallo Sputnik al Voyager

Dal 4 ottobre 1957 quando l’Urss lanciò il primo satellite artificiale – si chiamava Sputnik 1 – attorno all’orbita terrestre, l’uomo ne ha fatta di strada. Oggi la sonda lanciata dall’uomo più distante dalla Terra (Voyager 1) ha raggiunto lo spazio interstellare a 22 miliardi di chilometri dal Sole. Proprio questa sonda nel 1990 e a sei miliardi di chilometri dalla Terra scattò un’altra memorabile fotografia che è passata alla storia con il titolo datole da Carl Sagan di «Pale blue dot», pallido puntino azzurro. A molti quest’immagine non dirà molto: la Terra è un puntino di 0,12 pixel dispersa in una delle bande colorate dovute alla rifrazione della luce sulla lente della macchina fotografica. Ma proprio questa sua insignificante presenza ci permette di comprendere quanto sia delicato il nostro mondo. Quel Pale blue dot, quel pallido punto blu visto dalla periferia del nostro sistema solare a 22 miliardi di chilometri dal Sole, risulta ancora più irrilevante se rapportato all’intero Universo il cui diametro osservabile è pari a circa 8,8×1023 chilometri (880mila miliardi di miliardi di chilometri).

Su quel minuscolo, microscopico puntino disperso e sospeso nello spazio quasi otto miliardi di persone devono convivere assieme ad altre centinaia di specie vegetali e animali. Come disse Sagan, commentando quel Pale blue dot: «Non c’è nessun altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare (…). Vi piaccia o meno, per il momento la Terra è il luogo dove ci giochiamo le nostre carte».

È tutta nostra convenienza trattarla bene.

Piergiorgio Pescali
(prima parte – continua)