Non diamoci pace


Condividiamo queste poche righe del superiore generale del Missionari della Consolata, padre Stefano Camerlengo. Sono tratte da un documento che egli invia ai missionari, ma certamente sono parole intense che valgono per tutti.

Quest’anno siamo giunti alle soglie della Quaresima “avvolti” dal dramma della guerra scoppiata tra Russia e Ucraina…: una guerra che ha di certo conseguenze ben più vaste… Dolore e silenzio ci trafiggono il cuore… le grida di dolore e sofferenza non potevano che farsi più lancinanti dinanzi a una guerra che è tornata a insanguinare le terre europee e che peraltro deve ridestare l’attenzione sui tanti conflitti che, vicini o lontani da noi, interpellano la nostra coscienza di uomini, di credenti e di missionari.

Davanti a queste guerre e a tanto odio e malvagità ci sentiamo impotenti. Rimane la preghiera e la generosità della nostra vita. Ma, la preghiera autentica ha un prezzo da pagare perché colui che prega in modo autentico, prima che cambiare Dio o la storia, deve lasciarsi personalmente cambiare dall’incontro con Dio, per stare nella situazione in cui si trova con una responsabilità che non viene attenuata o attutita, ma al contrario potenziata dall’incontro con Dio, con il suo desiderio e con la sua grazia.

Cerchiamo di convertire la nostra esistenza per poter non semplicemente giungere a Pasqua, ma per poterla sperimentare nella carne.

Aggiungiamo però un suggerimento: non accogliamo nel cuore e nella mente ciò che è contro la pace (pensieri, parole, azioni) e apriamoci ogni giorno a ciò che la costruisce in noi e attorno a noi! Ogni giorno facciamo CONCRETAMENTE un atto di DISARMO e un atto di PACIFICAZIONE: dobbiamo assolutamente cambiare rotta! Dobbiamo far soffiare venti buoni nel mondo a partire dalle  nostre case! Dobbiamo smetterla di attendere che la pace sia decretata e fatta dai governanti: dobbiamo decretarla e farla noi! E il primo disarmo dobbiamo farlo in noi stessi come diceva il Patriarca Atenagora. Meditiamo a fondo le sue parole: “La guerra più dura è la guerra contro sé stessi. Bisogna arrivare a disarmarsi. Ho perseguito questa guerra per anni, ed è stata terribile. Ma sono stato disarmato. Non ho più paura di niente, perché l’amore caccia il timore. Sono disarmato della volontà di aver ragione, di giustificarmi squalificando gli altri. Non sono più sulle difensive, gelosamente abbarbicato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Non ci tengo particolarmente alle mie idee, ai miei progetti. Se uno me ne presenta di migliori, o anche di non migliori, ma buoni, accetto senza rammaricarmene. Ho rinunciato al comparativo. Ciò che è buono, vero e reale è sempre per me il migliore. Ecco perché non ho più paura. Quando non si ha più nulla, non si ha più paura. Se ci si disarma, se ci si spossessa, ci si apre al Dio-Uomo che fa nuove tutte le cose, allora Egli cancella il cattivo passato e ci rende un tempo nuovo in cui tutto è possibile.”

Sì: “NON DIAMOCI PACE” FINCHÉ NON CI SIA PACE IN TUTTI E PACE PER TUTTI!

Buona Quaresima e una Santa Pasqua!

Stefano Camerlengo
Da Notiziario IMC, N. 51
Roma, 31 marzo 2022




Il creato in «Ardente aspettativa»

Testo di Gigi Anataloni |


Il sole del mattino illumina di luce radente il marciapiede segnato da una serie di brillanti macchie arancio che colorano il suo grigiore. Una visione poetica, ma la poesia dura poco. Non sono fiori spuntati dall’asfalto, sono solo bucce di mandarino: il segno di un’incuria «ordinaria» fatta di cartacce, escrementi canini, mozziconi di sigaretta, per restare sotto casa. Un’incuria «normale» fatta di rifiuti domestici e industriali ai margini delle strade, discariche abusive (anche di materiali tossici) nei campi, in riva ai fiumi, nel mare, se allarghiamo lo sguardo. Una «normale» gestione ambientale diffusa in tutto il mondo, con rare eccezioni: rivedo il deserto del Nord del Kenya con i cespugli spinosi coronati di sacchetti di plastica sbattuti dal vento, segnale sicuro della vicinanza di un villaggio; ricordo i bidoni azzurri sepolti sotto una grande superstrada – costruita da un’impresa nostrana – in una capitale africana («solo bidoni vuoti», mi hanno assicurato allora, malizioso io a pensare che fossero pieni di rifiuti tossici); penso alla nuova collina – di rifiuti organici garantiti – sorta vicino alla casa dei miei nel bresciano, ormai punto di riferimento paesaggistico.

Immagini banali le mie, ma tutt’altro che banale è il problema del degrado ambientale a cui rimandano, dell’inquinamento, del cambiamento climatico. È una realtà che interpella tutti, che è sotto gli occhi di tutti e richiede da ciascuno una risposta. La rassegnazione e il senso d’impotenza non portano a nulla.

Nel suo messaggio quaresimale, papa Francesco ci parla di questo, ricordando che: «Quando non viviamo da figli di Dio, mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature – ma anche verso noi stessi – ritenendo, più o meno consapevolmente, di poterne fare uso a nostro piacimento. L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (Sap 2,1-11). Se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi. […] Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole. Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato». L’uomo è padrone nella logica del peccato, giardiniere nella logica dell’amore.

Sono parole forti quelle del papa, ma rispecchiano bene la realtà nella quale viviamo. Siamo a un bivio. Occorre scegliere tra la vita e la morte, l’essere «uomini» o essere «belve». Citando la lettera ai Romani, Francesco ricorda che tutto il creato ha «l’ardente aspettativa» e il «desiderio intensissimo» di vedere che noi uomini siamo davvero «uomini» secondo lo standard pensato da Dio nella creazione (immagine di Dio) e confermato da Gesù nella redenzione (figli/figlie di Dio). Tutto il creato non vede l’ora che noi ci svegliamo, perché adesso, comportandoci da «padroni», stiamo creando il deserto e distruggendo il giardino del mondo.

È urgente un profondo cambiamento di mentalità (conversione) perché la nostra e quella del creato è un’unica storia di salvezza. Non ci si può rassegnare all’impotenza, vivere l’attimo presente senza preoccuparsi del futuro pensando che il problema sia più grande di noi. Forse siamo anche vittime di un sistema sociale ed economico che tende a usarci invece di renderci protagonisti, ma la nostra fede ci conferma che siamo soggetti della storia, non marionette, e che la conversione, il cambiamento di rotta, comincia da noi. La vera rivoluzione non la fanno i potenti, ma le scelte quotidiane che ciascuno può fare. Scelte che Francesco sintetizza in tre parole: elemosina, preghiera e digiuno.

«Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene. E così ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità». Per dire davvero «Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature».

Gigi Anataloni