Malawi – strade africane (terza puntata)

L’arrivo del pick-up scatena sempre un assalto alla carovana. Da sopra la vettura la gente offre mani per appiglio e si stringe ulteriormente per fare spazio ai nuovi arrivati. Qualcuno viaggia in piedi, tenendosi alla cabina anteriore dell’autista. Chi mi colpisce sempre sono le donne anziane che si arrampicano con un’agilità che non ti aspetteresti vedendole passeggiare a terra. Sembra di essere parte di un enorme gioco di tetris vivente, dove le varie figure da incastrare sono corpi umani. Il peggio che ti possa succedere durante quello spostamento (del mezzo, non del tuo corpo sul cassettone) è che ti venga un crampo. Il peggio spesso si avvera. Cerchi una soluzione con un movimento disperato delle dita dei piedi, dei polpacci o, quando non c’e’ alternativa, con la forza del pensiero.
Arrivato a Milepa scendo dal pick-up cercando di riacquisire la posizione eretta, riassesto muscoli ed ossa e mi incammino verso l’unico ristorante del paese. Di fronte c’è una sorta di staccionata. Il paesaggio ricorda un po’ il Far West, il ristorante un vecchio saloon, ma alla staccionata non sono legati cavalli, bensì biciclette. Ebbene si, gli ultimi tre chilometri li faccio in taxi-byke. Una quindicina di ragazzi si piazza qui davanti con la propria bicicletta e campa trasportando la gente ai loro villaggi o al mercato, che di giorno in giorno si tiene in una località diversa. Io mi faccio trasportare a Ndanga, non prima di aver pagato i miei 100 Kwacha (60 centesimi di Euro) per la notte che trascorrerò in uno dei due “alberghi” del paese. Ma questa è un’altra storia, e ve la racconto la prossima volta.  
La pedalata fino al villaggio di Ndanga dura una ventina di minuti, tra i saluti delle tante persone che si incrociano sulla strada, bambini che escono dai campi di mais o di tabacco, donne con le loro semplici bancarelle ai bordi della strada e tanta, tanta gente in bicicletta, in questa sorta di Olanda tropicale con i baobab al posto dei mulini a vento. Tutti divertiti nel vedere il musungu in bicicletta, col naso arrossato dal sole, mentre scompare nella polvere della loro quotidianità. (fine)
Dario Devale

Dario Devale




Malawi – Strade africane  (seconda puntata)  

Seconda puntata

 


 


Un aspetto importante da considerare, quando ne hai la possibilità, è la scelta del posto in cui sedersi. Generalmente è preferibile qualsiasi sedile sul lato destro del mezzo, perché a sinistra si trova la porta scorrevole di ingresso e uscita e spesso tutti quelli che si trovano sul passaggio devono uscire per far scendere quelli che dai sedili posteriori fanno richiesta di fermata. Ah, dimenticavo: la chiamata della fermata consiste in un urlo al conducente o al controllore.


Un’altra componente che accompagna questi scatoloni mobili è la musica, il più delle volte tenuta a volumi insopportabili, se non altro perché gracchiante come un gessetto sulla lavagna, oltre che eccessivamente affezionata alle sdolcinerie di Celin Dion.


La visuale sul mondo esterno è il più delle volte parziale; tra una massa di corpi, teste, ombrelli, contenitori, verdure, vedi sfrecciare il paesaggio, e sopratutto lo senti scorrere sotto di te, tra scrolloni e sterzate poco morbide.


Spesso le schiene delle donne cominciano a muoversi come deformate, per scoprire che ci sono dei bambini che ricordano la loro presenza e l’esigenza di respirare. Io non riesco a raggiungere il portafogli, mentre queste donne, con un paio di ancate e colpi di reni, riescono a far slittare i loro bambini verso l’agognata poppata.


La tappa a Chirazulu è quella che presenta più dubbi sulla prosecuzione del viaggio. Minibus che proseguono verso la tappa successiva, Milepa, una ventina di chilometri, non ce ne sono piu’. Bisogna attendere un camion di passaggio, o un track (pik-up col cassone posteriore adibito a trasporto persone). Questi ultimi sono di passaggio solo quando ormai pieni di gente (in Africa gli spostamenti dei mezzi cercano il più delle volte di ottimizzare aspettando di partire solo quando completi di passeggeri). Il luogo dove attendere questi mezzi è in corrispondenza di una lunga curva, alla fine della quale termina la strada asfaltata e comincia quella sterrata.


L’attesa può durare quindici minuti oppure un’ora e mezza. Il tempo scorre facendo due passi tra le bancarelle improvvisate (spesso consistenti in semplici teli stesi a terra) dove puoi trovare una bibita, delle patatine fritte, pannocchie arrostite, qualche biscotto e saponetta, manghi e banane, a seconda della stagione. Non mancano poi le chiacchierate con il poliziotto di passaggio, il responsabile dell’ufficio servizi sociali, adiacente alla curva, o qualsiasi altra persona desiderosa di scambiare due chiacchiere e curiosa di sapere cosa fa il musungu (uomo bianco) a piedi da quelle parti.


(fine seconda puntata – continua)


Dario Devale

Dario Devale




Malawi – Strade Africane  (prima puntata)

Dario Devale è un giovane antropologo torinese. Da anni si impegna sul campo per lo sviluppo dell’Africa. Dopo aver lavorato in Burkina Faso, ha vissuto in Etiopia e ora si trova in Malawi, uno dei paesi più poveri del continente. Presta la sua opera come volontario delle Ong. Mette a frutto la sua formazione anche con un’attenta osservazione delle culture presso le quali vive. Cercando di non dar nulla per scontato e di “assorbire” al massimo quello che la società di cui è ospite gli insegna. E scrive avvincenti resoconti. Su questo diario, Dario ci porta con sé nella quotidianità di un africano, affrontato ogni giorno dai pendolori di quel paese..

Io vivo a Blantyre (la maggiore città del sud del Malawi), il villaggio del progetto si chiama Ndanga, a circa 60 chilometri, raggiungibile in auto in un’ora scarsa di viaggio. Con i mezzi locali è tutta un’altra storia, sai quando esci di casa ma…è inutile che dici di buttare la pasta in pentola per il tuo arrivo, che è oltre ogni possibile previsione (Beh, sarebbe inutile comunque aspettarsi un piatto di pasta in piena campagna malawiana..).


Prendo il primo minibus da Blantyre a Limbe, zona commerciale e sede delle principali industrie manifatturiere del sud del paese, nata come cittadina a sè, ora costituiscono quasi una sola realtà urbana. Una passeggiata di quindici minuti mi porta alla successiva fermata dei minibus, direzione Chirazulu, sede di uno dei più importanti ospedali del sud, sopratutto nel campo della pediatria. I minibus sono delle scatole con quattro ruote lanciate su strade che sopratutto in questa stagione di piogge sono realtà fatte di vuoti circondati da scarse presenze di asfalto. Le prime volte prendevo posto e a distanza di qualche fermata mi ritrovavo a sgranare gli occhi alla vista dell’ennesima persona che entrava in quell’abitacolo, per i miei parametri saturo già quattro o cinque passeggeri fa. Oggi non ci penso neanche più, salgo, mi appiccico alla persona di tuo, in attesa dell’imminente ingresso di altra gente. A volte guardo perplesso il fondo posteriore del mezzo, temendo la presenza di un foro che risucchia passeggeri e di cui a distanza di tempo e chilometri potrei rimanere vittima anche io. Ma non è così, ci sono tutti, ben pressurizzati, un pastone umano fatto di donne che vanno al mercato, venditori, studenti, uomini in giacca e cravatta che con agilità leggono angoli di articoli del quotidiano nazionale, trasformato in una pallottola di carta dalle schiene e gomiti dell’abitacolo. Ho imparato col tempo che non ci si deve spaventare di fronte ai minibus che si aprono già affollati. In realtà sono proprio quelli da prendere, perché faranno meno fermate per far salire altra gente. Anche se è un’utopia sperare che non ne facciano del tutto dopo il tuo ingresso, che ti vede quasi seduto sulle ginocchia del passeggero vicino. Il controllore è in genere un ragazzo con un mazzo di banconote luride in mano, che urla tutto il giorno dal finestrino la direzione, destinazione e costo (questo diminuisce man mano che ci si avvicina al capolinea). Il ragazzo a fine mattinata ha una voce roca e ombrosa, a fine giornata gesticola solo più, invitando con ampie sbracciate la gente ad entrare sul «suo» minibus piuttosto che su quello che si affianca a distanza di pochi secondi. Una mattina ho chiesto al ragazzo di tuo di avere pazienza, avrei pagato la mia corsa una volta arrivato, perché non riuscivo a raggiungere con le mani il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni. (fine prima puntata, continua).


 


Dario Devale, dal Malawi


 

Dario Devale