Povere figlie!

Cari missionari,
chiedo una preghiera alla Consolata per le mie figlie.
Una è senza lavoro, si sente depressa, perché ha avuto una delusione amorosa; ha tentato persino il suicidio.
Un’altra figlia è stata otto anni a Torino, infermiera all’ospedale Regina Margherita, e frequentava anche il santuario della Consolata: santuario dove ho pregato anch’io, ammirata dal suo splendore. Poi mia figlia è tornata al paese natale, nel sud. Oggi, purtroppo, si sta separando dal marito carabiniere, anch’egli ritornato nel meridione dopo aver prestato servizio presso la stazione torinese di San Salvario.
Mio genero è un prepotente: è un «militare» anche in casa, persino con i bambini. Mia figlia dice di cercare il bene dei figli e che la separazione rappresenta il male minore…
Vi chiedo una preghiera affinché riescano a capirsi.

Cara signora, con lei e noi prega anche il beato Allamano, che raccomandava a tutti i missionari di avere a cuore i problemi della gente.

lettera firmata




Per gli emigrati

O Gesù, che fin dai primi giorni di vita hai dovuto lasciare con la mamma Maria e Giuseppe il paese natio, per sopportare in Egitto le pene e i disagi dei poveri emigranti, guarda i nostri fratelli costretti dal bisogno ad abbandonare la patria. Lontani da tutto ciò che è loro più caro, in cerca di lavoro, essi vivono fra disagi e pericoli per l’anima e il corpo.
Signore, sii loro guida nell’incerto cammino, aiuto nella fatica, conforto nel dolore; conservali nella fede, nella moralità dei costumi, nell’affetto ai figli, alle mogli e ai genitori lontani. Amen.

Preghiera inviataci da Maria Fasano, di Lecce. Una regione dove il problema «emigrati» è drammatico. Però la gente, non ricca, è ospitale. Ma l’ospitalità non basta.

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Burundi come Rwanda?

Spettabile redazione,
qui cerchiamo di procedere «moltiplicando l’attenzione» o, come si dice da queste parti, «tenendo le orecchie al coperto».
Gli ultimi violenti attacchi a Bujumbura da parte dei guerriglieri, le rappresaglie dell’esercito e la continua instabilità (anche sulla strada che dobbiamo percorrere per raggiungere la capitale)… hanno elettrizzato l’ambiente.
Il grosso pericolo sta nelle milizie tutsi (i famigerati sans échec) che si starebbero riarmando per «difendersi». Sono gruppi pericolosissimi, perché pilotati da estremisti e senza il controllo di alcuna autorità. A Gitega ci sono molti «ex», impazienti di riprendere le armi.
Uno scenario possibile (speriamo di sbagliarci) è un’esplosione di violenza simile a quella del Rwanda nel 1994.
Intanto ad Arusha (Tanzania) i colloqui di pace proseguono senza progressi rilevanti. In questi giorni c’è un nuovo giro di consultazioni. Ma non tutti siedono ad Arusha, e gli assenti aumentano la violenza proprio durante «i colloqui di pace», per far sapere che ci sono e sono forti. Voci di incontri diretti e segreti tra questi gruppi e il presidente Buyoya potrebbero essere vere e portare a soluzioni.
Ma il presidente è in bilico e, se salta, saranno grossi guai.

Burundi, Rwanda… Siamo nella regione africana dei Grandi Laghi, forse la più calda del mondo, dove la pace sembra una chimera.
I timori, espressi dalla lettera pubblicata, sono confermati anche dalla lega Iteka, un importante gruppo burundese che si batte per i diritti umani. «Nonostante tre decenni di violenza ciclica, cinque anni di guerra civile e un anno di parole a Arusha – scrive Iteka – il Burundi è ancora sotto la minaccia di forze antagoniste, settarie e fanatiche». In altri termini, tensioni estreme fra tutsi minoritari e hutu maggioritari.
La comunità internazionale ha fatto sapere che non aiuterà il paese fintanto che gli accordi di pace di Arusha non si concluderanno positivamente. Intanto si vive nel terrore del peggio. E non mancano gli eccidi.

Lettera firmata




Non mollate!

Caro direttore,
sento il bisogno di manifestare il mio plauso alla rivista che dirige: una rivista coraggiosa di solidarietà evangelica e di «tutta» la politica internazionale, specialmente quella che investe i più poveri. A tutta la redazione dico: «Non mollate nonostante le

Luigi Longhi




L’otto per mille e il sud del mondo

Spettabile redazione,
oggi è domenica, ma non ho voglia di andare a messa. Non ho voglia di ascoltare la solita predica, uguale a tutte le altre. La conosco già, non mi serve. Quando uno esce di chiesa, tutto ciò che rimane è la benedizione finale. Un po’ poco. Poco per la parola di Dio che rimane tutt’oggi rivoluzionaria.
Domenica scorsa la parola di Dio si riferiva a violenza ed oppressione, ma il sacerdote non ne ha fatto cenno. Diceva: «Bisogna lasciarsi sedurre da Gesù». Ma che vuol dire? Se, per capire cosa si deve fare per «lasciarsi sedurre da Gesù», uno deve arrangiarsi da solo, allora il prete si legga le letture da solo. O no?
«Violenza ed oppressione» e neanche un pensiero alla guerra, all’Africa martoriata dagli interessi economici dei paesi ricchi e soffocata dal debito estero. «Violenza ed oppressione» e niente sul Fondo monetario internazionale, né sul G-8 o il M.A.I. Nulla sull’aborto né su di noi, chiesa ricca, che ogni giorno abortiamo i figli più poveri e indifesi. Come il ricco epulone nei confronti di Lazzaro, ci accontentiamo che i poveri raccolgano le briciole di questa ricchezza.
L’«otto per mille» ha fruttato alla chiesa modenese 9 miliardi di lire, di cui solo 20 milioni sono andati ai poveri del terzo mondo, ovvero ai missionari diocesani in Brasile.
Mi chiedo: quante chiese, scuole e ospedali i missionari hanno potuto fare con i 20 milioni ricevuti l’anno passato? Non prometteva «opere missionarie» la simpatica pubblicità dei due vecchietti, che fantasticavano di aver fatto chissà quante cose a favore dei poveri con una firma in favore della chiesa cattolica? Fatti contano, solo fatti. «Dai frutti si riconosce l’albero».
Nell’agosto scorso due ragazzi africani sono arrivati morti a Bruxelles, nascosti nel carrello di un aereo. Portavano una lettera di supplica ai potenti d’Europa. Denunciavano la situazione disperata dell’Africa: malattie, guerre, fame e chiedevano aiuto. Chiedevano istruzione, lavoro, salute. Volevano, anche loro, imparare a giocare a calcio e pallacanestro… E hanno dato la loro vita per portare un messaggio che tutti noi conosciamo da sempre. E ignoriamo tutti i giorni.
Fatti contano, solo fatti. Basta raccontare favole! Spendere incenso e parole d’amore col cuore e poi tenere i pugni ben chiusi. Abbiamo il coraggio di dire veramente una parola d’amore: «Un miliardo».
Sì, un miliardo all’anno per il sogno di questi ragazzi. Per qualche campo di calcio in Africa. Per una piscina in Brasile: a San Paolo i ragazzi muoiono nelle riprese di acqua potabile, dove sono andati a fare il bagno abusivamente, perché ogni tanto parte l’aspiratore che distribuisce l’acqua e risucchia anche i ragazzi. Milioni di ragazzi in Brasile (per non parlare dell’Africa) non l’hanno mai vista una piscina. Perché i nostri ragazzi debbono avere tutto e crescono viziati e loro, persone di serie Z, nulla? È vangelo questo?
Le nostre chiese sono belle, è vero; ma le loro belle fondamenta annegano nel sangue di migliaia di persone ignorate, lasciate morire di fame, guerra, ignoranza. E un giorno qualcuno dovrà rendere conto di questi talenti insanguinati e qualcun altro giudicherà meriti e colpe.
Nell’anno giubilare ci sia almeno un segno tangibile di speranza! Che qualcosa nel nuovo millennio possa cambiare! Che quei giovani, anzi, quei piccoli eroi-santi, non siano morti invano!

Il signor Guidotti alla lettera, sottoscritta pure da 43 persone, ha aggiunto il seguente post scriptum: «Non ho l’intenzione di creare polemiche o di gridare allo scandalo, ma di aprire un dialogo critico e propositivo su di noi, chiesa, che ancora ci “accontentiamo”, quando avremmo potuto e potremmo fare molto di più. Di più per questo mondo che trema e sanguina. Di più per questi fratelli che si interrogano disorientati, figli di un Dio minore».
È in questo spirito che pubblichiamo la lettera.

Guido Guidotti




Dio più delizioso di Allah

Egregio direttore,
ho letto con interesse il vostro «viaggio» fra i musulmani cercando di approfondire la loro cultura e religione. Apprezzo il vostro dialogo con quelli che ci sono attorno nei tram e sulle piazze.
In «Missioni Consolata» di luglio si è parlato dei convertiti all’islam e dall’islam. Non conosco le ragioni che spingono gli uni e gli altri ad abbracciare un’altra fede; pertanto non giudico nessuno.
Forse, per completare quanto già detto nella rivista, è utile conoscere la testimonianza di un algerino, musulmano praticante, convertitosi poi alla fede cristiana e, infine, entrato nell’Ordine dei francescani. A padre Jean Mohammed Abd el Jahil chiesero, prima che morisse nel 1998, quale differenza avesse trovato fra Allah e il Dio dei cristiani. «Oh – disse – Allah è grande, ma lontano da noi. Il Dio dei cristiani è molto più desiderabile, più comunicabile e più delizioso».
Da un convertito è bello cogliere la testimonianza di una scoperta che noi, forse, non abbiamo ancora fatto.

Certamente, padre Giovanni… E grazie di averci segnalato un documento dei vescovi francesi sul dialogo fra cristiani e musulmani.
Il documento cita anche il corano: «Se il Dio lo avesse voluto, avrebbe potuto fare di voi una comunità unica, ma non lo ha fatto. Vuol mettervi alla prova per mezzo di ciò che vi ha rivelato. Andate a gara gli uni e gli altri nel compiere il bene, poiché verso il Dio sarà il vostro ritorno. Solo allora egli vi illuminerà sulle cose su cui siete in discordia» (sura 5, versetto 48).

p. Giovanni Zabotti




Italia e Armenia

Egregio direttore,
ho letto su «Missioni Consolata» un bell’articolo sull’Armenia. Mi congratulo con lei per avere portato all’attenzione dei lettori il secolare dramma del popolo armeno, che ha subìto il primo genocidio del XX secolo.
Le scrivo anche a nome del professore Bophos Levon Zekiyan (università di Venezia), dei docenti Antonia Arslan e Massimo Turatto (università di Padova). L’ultimo è anche presidente dell’associazione «Italiarmenia».
Le assicuro che, se vorrete tener desta l’attenzione sul «problema armeno», la nostra associazione potrebbe darvi una proficua collaborazione.
Marta Minuzzi
Camposampiero (PD)

Grazie. Ma le congratulazioni vanno soprattutto a Claudia Caramanti, autrice dell’articolo, nostra fedele e impegnata collaboratrice, nonché fotografa. Nel presente numero scrive (con altri collaboratori) sulla Cambogia. Ennesimo genocidio dimenticato.

Marta Minuzzi




Consensi da Israele

Caro direttore,
le farà piacere sapere che l’intervista, apparsa su Missioni Consolata di settembre 1999, ha raccolto consensi sia sulla presentazione che sui contenuti. Due diplomatici in Israele hanno voluto esprimere apprezzamento, come pure monsignor Capovilla, antico segretario di papa Giovanni XXIII. È piaciuto anche il riquadro dove si accenna al «solito ignoto».
Qui a Gerusalemme ci si prepara al 2000: incontri, progetti e programmi, nella speranza che non si perda di vista l’essenziale.
Barak e Arafat persistono, tra un arresto e una ripresa, a scommettere sulla reciproca volontà di pace. Sarà difficile, ma non impossibile arrivare a un negoziato tra i due contendenti. Poi sarà la volta della Siria, osso duro, punto nodale e decisivo per la stabilità della regione.

I lettori ricordano certamente l’intervista su Israele con padre Marco, che ha lavorato anche con papa Giovanni. E rammentano pure la vicenda del «solito ignoto», alias Sandro Pertini.

p. Marco Malagola




Strage nella…donazione d’organi

Egregio direttore,
con la legge 91/99, lo stato italiano ha decretato l’esproprio del corpo umano in nome di un solidarismo di facciata, che nasconde ben altri interessi inconfessabili. Mentre sull’aborto ed altre aberrazioni la chiesa ha fatto sentire la sua voce autorevole, così non è stato nei confronti del trapiantismo selvaggio, della falsa morte cerebrale, dell’immane e silenziosa strage. In questo caso, la voce della chiesa è stata flebile, tardiva e spesso compiacente, salvo eccezioni.
Si è costruita un’etica che ha dato ai medici il potere di decidere chi deve morire. Non c’è vera etica se non quella che protegge ad oltranza la persona umana; tutto il resto porta ad una società disumana, totalitaria, che impone la morte dei deboli in nome della vita dei forti.
Con il riscontro diagnostico, a discrezione assoluta del primario ed effettuato anche a cuore battente, si aggira l’ostacolo della manifestazione di volontà contraria alla «donazione».
È di tutta evidenza che, come i donatori di sangue e di midollo osseo sono vivi, così lo sono altri donatori di organi; ma sono dichiarati morti, per sottrarre medici ed operatori sanitari all’incriminazione per omicidio volontario, aggravato dal raggiro ai danni dei familiari del morente.

Nel dicembre scorso Missioni Consolata ha sfiorato il problema della donazione di organi, senza però addentrarsi in questioni giuridiche che non le competono.
Riteniamo illuminante un articolo de La civiltà cattolica, 18 settembre 1999, che riporta anche il pensiero di Pio XII. Nel 1956 papa Pacelli affermava che il prelievo della cornea, per esempio, non offende la pietà dovuta al defunto, ma acquista il significato di carità verso i fratelli. Questo e fatti analoghi hanno nulla a che fare con il «trapiantismo selvaggio», certamente da condannare.

Carlo Barbieri




“Consolata”

Cari missionari,
la mia commozione è grande! Ho ricevuto la grazia dalla Madonna Consolata, che ha esaudito il mio più grande desiderio dopo averla pregata con fede.
Sono una ragazza di 19 anni e scrivo per ringraziare, anche pubblicamente, la Vergine… Tutto mi andava male fino al giorno in cui mi sono rivolta a lei; e lei ha messo le mani su di me. Oggi mi sento anch’io un po’ consolata.
Anche se la situazione resta delicata, continuo a pregare. Aiutatemi pure voi, pregando per me.

Certamente, Alessandra. Preghiamo anche «con» e «per» tante altre persone. È pure «un dovere di riconoscenza» verso tutti quelli che vogliono bene ai missionari.

Alessandra