Utopia e realtà

Spettabile redazione,
ho letto con molto interesse la riflessione di padre Giacinto Franzoi sul problema della cioccolata e dei suoi risvolti sui paesi poveri, in modo particolare in Colombia dove il missionario lavora.
Sicuramente, qui da noi, i consumatori più consapevoli devono fare promozione, meglio se organizzati, evidenziando le diseguaglianze e cercando di costringere a miti consigli le multinazionali che spadroneggiano.
Ma anche in loco (e mi riferisco particolarmente al dramma africano nella fascia equatoriale, per mancanza d’acqua e presenza di guerre) occorre creare una rete di «auto- aiuto», puntando su cultura e informazione tramite radio locali, più facilmente gestibili, e operando con cornoperative.
Queste possono nascere anche in Italia e poi trasferirsi dove necessario: ad esempio, per realizzare pompe solari che potrebbero essere volano di progetti più complessi.
Forse la mia è solo utopia; ma occorre aiutare la popolazione africana a camminare con le sue gambe, perché l’aiuto del nord, salvo eccezioni (leggi «missionari»), è troppo interessato a mantenere le diseguaglianze anziché colmarle.
Giorgio Tagliavini
Milano

«Utopia» significa «non luogo»: cioè una realtà o un ideale che non esiste, perché non ha trovato spazio o accoglienza. Ma potrebbe trovarli e, quindi, esistere. Il compito del missionario e delle persone di buona volontà (come Giorgio) è anche questo: passare dall’«utopia» all’«esistenza».
Un passaggio realizzabile, nonostante le difficoltà, anche in Africa. Specialmente se si opera «organizzati» o «in rete», come raccomandiamo da qualche tempo.

Giorgio Tagliavini




Finalmente una “shara”

Cari missionari,
ho trovato molto interessante, su Missioni Consolata di giugno, la lettera della signora Shara Bocchetta di Melfi (PZ). L’interesse deriva dal fatto che ho riscontrato delle eloquenti somiglianze tra l’esistenza della signora e la mia.
Shara scrive: «Nel 1942-43 mio fratello partì a 17 anni per la guerra». Anche mio fratello maggiore nel 1944, a 18 anni, partì per la guerra; però combatté sul fronte opposto…
Poi scrive: «Finita la guerra, cadde in un esaurimento nervoso. Venne ricoverato nella casa di cura di Collegno (TO)». Dopo la guerra, anch’io ebbi un esaurimento nervoso, ma fui ricoverata in un centro di Londra. Però oggi abito a Collegno, non lontano dalla ricordata casa di cura.
Leggo ancora: «La madre partì per Collegno… si fermò in una bellissima cappella, chiese conforto alla Madonna… Quella Madonna era la Consolata». Ebbene, anche la mia parrocchia è dedicata alla Consolata. Oltre alla modea chiesa, c’è una bella cappella, dedicata a sant’Elisabetta, che fu la prima sede parrocchiale. Questa chiesetta fa parte del «villaggio Leumann» e fu costruita dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann. Ogni domenica vi partecipo alla messa: mi attira molto perché Leumann era un cristiano protestante, come me.
Però l’importante non è l’essere tutti sulla stessa strada, cristiani e credenti in altre religioni; l’importante è che le strade, anche partendo da punti diversi, siano «buone», che portino alla stessa meta, cioè a nostro Signore Gesù: qui sulla terra o nell’eternità. Ma forse il fatto ancora più importante non è la «strada buona» (ogni via può essere tale), quanto il verificare se stiamo andando «avanti» o «indietro» su quella strada.
Un’altra cosa strana è che la mia prima nipotina fu chiamata Shara, un nome assai raro per la sua ortografia (in inglese è Sarah e in italiano Sara). Dopo sette anni di ricerca, ho finalmente trovato nella signora Bocchetta un’altra «Shara». Mi auguro che possa leggere questa lettera, con i miei saluti.
Divisi e su fronti opposti in guerra e in chiesa, troviamo però l’unità in Colui che sa e può tutto, tramite una bimba di sette anni.
Sheila Warren
Leumann (TO)

La signora Sheila è una cara amica. Alcuni missionari della Consolata le devono riconoscenza, quale loro insegnante d’inglese.

Sheila Warren




“Sandali al vento”

Carissimo padre Benedetto Bellesi, con gioia ti dico il mio «contento» per Missioni Consolata di luglio-agosto. Hai magnificamente descritto i 2 mila anni di «avventura missionaria», avviata dal Signore Gesù e giunta al nostro oggi.
Il testo che hai steso, dal titolo spigliato
Sandali al vento,
sottende una fatica greve per precisare tempi, situazioni e persone, con calore ma senza enfasi, e con una gran voglia di affascinare il lettore e indurlo a riflessioni adeguate. Nel districarti fra numerosi eventi, spesso drammatici, non ti stanchi mai di evidenziare la fiducia nella missione e nel regno di Dio.
Il domani che apre al 3000 è appena iniziato, con scambio di doni tra le chiese in occidente e quelle nel sud del mondo. Sarà un domani splendido, tutto da vivere. Sia davvero la primavera profetica di cui ha parlato il pontefice venuto da lontano!
Padre Benedetto, da anziano-giovane non mi resta che dirti «grazie» e pregare per te e per tutta Missioni Consolata.
p. Giuseppe Mina
Alpignano (TO)
Padre Giuseppe sta per vivere la «primavera» dei 90 anni. La sua lettera ci è giunta via e-mail, grazie all’apporto di padre Giuseppe Villa, un altro «anziano giovane» della comunità missionaria di Alpignano.

Leggo sovente Missioni Consolata, esprimendo talora anche delle critiche. Ma mi è doveroso dire che ho trovato assolutamente perfetto il numero di luglio-agosto. Più che un numero di rivista, è un libro avvincente, che ci parla dell’entusiasmante storia missionaria della chiesa nel corso di 20 secoli.
dott. Renzo Mattei
Genova

Giuseppe Mina e Renzo Mattei




Un’allibita e una “rompiscatole”

Sono rimasta allibita da «I terroristi di S. Tommaso» (Missioni Consolata, giugno 2000). L’articolista non si rende conto che le frasi «chi intraprende la lotta armata non si percepisce come terrorista», «la scelta della violenza rappresenta un mezzo obbligato per raggiungere un fine superiore»… si applicano a tutti i terrorismi? Ed è semplice constatare che furono le «idee» che animarono, in Italia, le Brigate rosse.
Il resto dell’articolo, anche se nota che «un uomo non ha diritto di scegliere quale sia il bene degli altri», è tutto sbilanciato sull’«ideale» dei terroristi e sul loro avvicinarsi a concezioni messianico-cristiane (per cui si ha la verità in tasca e si può imporla agli altri). Non una parola sui dolori, sulle tragedie e sui morti che il terrorismo in Perú (e non solo) ha provocato. Questa è una tendenza fanatica, a cui portano certe commistioni tra politica e religione.
Luciana Gallino – Torino

Gentili amici, sono la solita rompiscatole, che vuole, precisare e mettere i puntini sulle «i». Capisco di essere molesta. Ma, leggendo l’articolo «I terroristi di S. Tommaso», ho sentito l’impulso a scrivervi.
Dice l’articolista che in Colombia un movimento rivoluzionario è stato fondato da un sacerdote, Camillo Torres, che ha avuto tra le sue file diversi religiosi con incarichi di responsabilità… In Perù molti cattolici sono vicini alla teologia della liberazione: il tutto come se fosse la cosa più normale ed ortodossa.
Una volta per tutte, per non confondere le idee dei lettori, vogliamo dire con chiarezza che la teologia della liberazione applica alla realtà l’«analisi marxista», fa di Cristo un «liberatore» alla Che Guevara ed è stata sconfessata dalla chiesa? Vogliamo dire chiaramente che Gesù Cristo non era un rivoluzionario che tendeva a sovvertire ordinamenti sociali ingiusti, ma veniva a liberarci dal peccato, dalla morte e a rivelarci il Padre?
Vogliamo dire (una volta per sempre) che la lotta violenta, l’uccisione dei nemici non è cristiana? Che cambiare struttura e vertici non porta a nulla di meglio dell’esistente, come ha dimostrato l’esperienza nei paesi comunisti?
Siamo capaci di dire a chiare lettere che il cambiamento avverrà quando ogni uomo prenderà coscienza della sua dignità di figlio di Dio e, in solidarietà con altri, lotterà pacificamente per la propria libertà? Che nel lungo e difficile cammino di liberazione non sono ammesse «scorciatornie violente»?
Io non chiedo che gli articoli in sintonia con la teologia della liberazione non siano pubblicati, ma è obbligatoria una parola di chiarificazione e commento.
Con tutto ciò aderisco allo spirito della «campagna» di solidarietà verso i carcerati del Perù (Missioni Consolata, giugno 2000). Ho già l’indirizzo di una «terrorista», con cui desidero iniziare uno scambio epistolare, nel pieno rispetto delle sue convinzioni.
Giulia Guerci – Castellazzo B.da (AL)

Dunque mettiamoli i puntini sulle «i».
L’analisi marxista (non il marxismo) è un metodo di studio: se, di fronte ai mali sociali, provoca un impegno per la giustizia e l’uguaglianza, tale analisi è positiva, soprattutto se avviene dove la differenza tra ricchi e poveri è abissale.
n La vera teologia della liberazione non presenta un Gesù rivoluzionario alla Che Guevara, bensì i volti di Gesù malato, nudo, assetato, forestiero, incarcerato… che attende la «liberazione» (cfr. Mt 25, 35-36). E, di fronte a moltitudini che muoiono di fame, non è fuori luogo rispondere alla domanda: «Queste sono state affamate da chi?».
n Al cospetto di tanti «poveri cristi», resi schiavi dai «faraoni» del comunismo o del capitalismo, dalle multinazionali, dalla new economy, dai servizi segreti, dall’usura…, Dio dichiara sempre a qualche Mosé: «Ho visto l’oppressione del mio popolo. Ora va’ e libera il popolo mio» (cfr. Es 3, 7-10). Ecco la teologia della liberazione.
n Gesù non esita a definire «volpone» lo spregiudicato e potente Erode (cfr. Lc 13, 31).
n Il peccato non è solo un male personale. Esistono anche «strutture di peccato». In alcuni imperialismi modei si nascondono forme di idolatria: del denaro, del potere, della pubblicità, della tecnologia. «Si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a strutture di peccato – scrive Giovanni Paolo II -. Diagnosticare così il male significa identificare esattamente il cammino da seguire per superarlo (Sollicitudo rei socialis, 37).
n Sul no alla violenza, pienamente d’accordo.

Luciana Gallino e Giulia Guerci




Se Gesù avesse incontrato i musulmani

L’islam e il rapporto tra cristiani e musulmani in Italia e nel mondo sono temi rilevanti di Missioni Consolata. Nel 1989 uscì il numero monografico «Allah il più grande». Seguirono vari dossiers e articoli.
Nel 1999 pubblicammo testimonianze di cattolici italiani convertiti all’islam. Lo facemmo con spirito critico, per mettere sul «chi va là» i superficiali, pronti a mettersi sotto la «sharia» del corano. Scrivemmo allora: «Quanti presunti cristiani, che abbandonano la loro religione, hanno veramente sperimentato che Gesù Cristo, figlio di Dio, è la via, la verità, la vita? È lui “il” salvatore di tutta l’umanità. Lo affermiamo con fede e coraggio».
L’articolo di Michel Barin «La moschea nel convento» (Missioni Consolata, giugno 2000) presenta un’altra esperienza: in alcuni locali affittati, presso un istituto di suore della Valle d’Aosta, si tengono lezioni di arabo e si celebrano festività islamiche. Le lettere seguenti commentano il fatto. Qualcuno contesta duramente Michel Barin.

Non scherziamo,
per favore!

Rabbia, tristezza e delusione sono stati i nostri sentimenti dopo aver letto l’articolo «La moschea nel convento», pubblicato su Missioni Consolata di giugno 2000. Poco è servito a consolarci la provocazione finale di Michel Barin, che risponde riportando le verità che sembrano non essere prese in considerazione da un sedicente ecumenismo.
Ecumenismo, parola ambigua per molti. Si pensa che il cristiano d’oggi debba non solo accettare le varie religioni, ma anche approvarle, a scapito della propria fede. Ma l’ecumenismo non deve danneggiare il proprio credo.
Noi pensiamo che il rispetto per chi aderisce ad una religione non cristiana significhi aiutare chi è nel bisogno: se ha fame, dargli da mangiare; se ha sete, dargli da bere, ecc. E, se un musulmano si prostra a terra per pregare Allah, è rispetto non impedirglielo. Il suo è un diritto, che però non deve calpestare il nostro. Perché non possiamo dichiarare che Maria è madre di Dio? Perché dobbiamo dire che è solo madre dell’uomo-Gesù? Solo per non far arrabbiare i musulmani, che ritengono Gesù-Dio una bestemmia? Ma scherziamo! Si insegni pure l’arabo, la cultura e religione islamica… purché ciò faciliti il dialogo vero, che permetta di accettare l’altro per quello che è, ma non violi le verità trasmesseci da Gesù e dalla chiesa.
Come cattolici ci sforzeremo sempre di aiutare chi è nel bisogno, senza alcuna distinzione: Gesù ce l’ha dimostrato. Ma quanto avviene ora non è ecumenismo. Noi, ad esempio, non vogliamo collaborare con fondi affinché si ergano qua e là moschee (è già avvenuto), perché solo così saremmo cristiani. Altro che evangelizzazione! Questa è islamizzazione!
Se le crociate di ieri sono oggi condannate, non commettiamo il peccato inverso. Sì, riteniamo peccato permettere che la nostra fede venga deformata… per non dispiacere a qualcuno e non apparire anti-ecumenici. È una presa in giro dei missionari, che rischiano la vita proprio nei paesi islamici. Soprattutto è un’offesa a Colui che ha dichiarato di essere il compimento delle scritture, che Lui solo è la via, la verità, la vita. E nessun altro.
Non vogliamo mettere in bocca a Dio i nostri pensieri. Ma dubitiamo molto che Gesù, se avesse incontrato i musulmani, li avrebbe lasciati nei loro errori o addirittura esortati a continuare, solo perché rispettoso dell’uomo. Gesù è morto per essersi dichiarato figlio di Dio e per amore della verità. E noi dovremmo trovare un compromesso falsificando la verità fatta uomo! Stiamo forse perdendo la nostra identità cristiana?
Davide e Anna – Maranello (MO)

Fate bene, amici, a non mettere in bocca a Dio i vostri pensieri, specialmente in campo teologico. Egli infatti potrebbe rispondere: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55, 8).

Siamo figli, non schiavi

È curioso che un nemico dei vecchi «imprimatur» cattolici, quale io sono, si trovi ad essere sugli spalti dell’ortodossia insieme a Michel Barin. Condivido in pieno il suo articolo: si parla del «buonismo cattolico davanti all’integralismo del corano». La cultura occidentale si è liberata dall’integralismo. Siamo lontani anni luce dal taglio della mano, dalla fustigazione, dalla lapidazione e da altre sconcezze. Sulla lapidazione dell’adultera Gesù è stato molto chiaro. Altrettanto sul ripudio della moglie…
Il dialogo presuppone apertura mentale e approfondimento delle posizioni della controparte. Quale approfondimento del cristianesimo mostrano le persone che pensano che Gesù non sia morto in croce e che la Trinità sia formata da Padre, Figlio e Madonna?
Ricordo pure che nel vangelo ci viene detto che non siamo schiavi di Dio, ma figli: un concetto lontano dai musulmani, i quali, nonostante la loro religione sia più giovane della nostra, sono rimasti fermi a qualche millennio fa (al Dio di Abramo e Isacco).
Carlo May – Milano

Vi sono pure musulmani aggioati, con i quali il dialogo è fruttuoso.

Non lasciarsi abbagliare

Concordo con Michel Barin. È indubitabile che il movimento migratorio (e, in particolare, l’invasione islamica) sia un fenomeno irreversibile che non possiamo né frenare né demonizzare. Bisogna però saperlo gestire. Il pericolo maggiore non proviene solo dall’invasione di tanti musulmani, quanto piuttosto dall’ignoranza religiosa di troppi cristiani. Questi sono «solo» battezzati, ma non conoscono quasi nulla della loro religione; perciò non l’amano e sono pronti a passare anche all’islam!
A tale preoccupante situazione non si può rimediare solo con corsi di cultura islamica, come sembra illudersi il giornale diocesano di Aosta. Uno pseudo irenismo reca pessimi frutti. Non è questo il dialogo di cui parla il papa. Che teologi e specialisti approfondiscano la conoscenza dell’islam va bene. Più ci si conosce e più si potrà sperare di convivere in pace. Ma i nostri cristiani comuni hanno bisogno, prima di tutto, di istruirsi nella loro religione. Altro che istruirsi sull’islam!
Come possono i cristiani vedere i punti di divergenza fra Gesù e Maometto, se non conoscono la loro religione? Si lasceranno facilmente attrarre dai lati positivi dell’islam, che li abbaglieranno, e finiranno di pensare (per lo meno) che una religione vale l’altra. Alla presenza massiccia dell’islam, il migliore antidoto è intensificare lo studio della nostra religione.
Margherita Massaia
Vicoforte (CN)

Gli immigrati musulmani in Italia, all’inizio del 1999, erano 436.000, su un totale di 1.250.000 stranieri legali. I termini «invasione» e «presenza massiccia» non sono appropriati.
Le crociate «alla Barin»

Gentile direttore, le comunico il mio disappunto e quello della congregazione delle suore di San Giuseppe in riferimento a «La moschea nel convento». Dall’articolo emergono punti contraddittori sul reale contenuto dell’intervista che ho rilasciato. Nei locali occupati dalla cornoperativa «La Sorgente» non viene insegnato il corano, ma l’arabo, così come vengono insegnate altre lingue utili per l’inserimento in Italia di stranieri.
È decisamente errata l’affermazione (attribuitami) che le suore di San Giuseppe non sono missionarie. Per non parlare dell’accostamento grottesco di alcune affermazioni, con il chiaro intento di non stimolare una riflessione ecumenica, ma di dar luogo, probabilmente, ad uno sfogo personale.
Sono certa che lei saprà chiarire ai suoi lettori che, nella nostra comunità, non vi è alcun nesso tra «moschea» e «convento».
sr. Consolata Tonetti – Aosta

Sono il direttore del Corriere della Valle d’Aosta e scrivo in merito all’articolo di Michel Barin. È una clamorosa montatura. Le accuse, lanciate alla nostra collaboratrice Carla Jacquemod e al settimanale da me diretto, sono totalmente infondate, sfiorano il ridicolo.
Signor direttore, sarei ancora al mio posto se il nostro giornale facesse propaganda per l’islam? Aprire un dialogo con le religioni monoteistiche non mi autorizza a propagandare la religione musulmana attraverso lezioni di corano o a proporre un islam bonario…
Non era più prudente telefonare al vescovo della nostra diocesi per capire come fosse possibile una simile follia?… A volte si pensa che più la cosa è incredibile più è vera.
Il modus operandi del vostro collaboratore è molto discutibile e, per questo, vi invio il nostro articolo incriminato. Barin potrebbe rendere più giustizia alla sua causa se vi raccontasse i suoi contatti con l’islam e tutte le problematiche che ne sono nate, piuttosto che esprimere certe idee sul mondo islamico mettendo in mezzo un giornale che ha 50 anni di storia e ci tiene alla propria reputazione. Le crociate alla Barin contro «infedeli» e «ipotetici collaborazionisti» appaiono poco utili ad affrontare il serio problema dell’islam.
Chiedo la pubblicazione della mia lettera e penso che siano d’obbligo le scuse verso le persone diffamate dal vostro giornale.
Fabrizio Favre – Aosta

Lettera che ne raccoglie altre due, ossia la protesta di Carla e Riccardo Jacquemod, citati da Michel Barin.
Missioni Consolata non indaga sulla vita privata dei suoi articolisti. Ma non sposa le idee di tutti. Però tutti possono dire la loro (anche sbagliando), e tutti possono replicare.
Se uno scritto ci pare unilaterale, lo facciamo notare: o affiancandogli un altro con una tesi diversa o affermandolo. Così è stato anche per Barin. Il suo articolo, da noi definito «molto critico» verso l’apertura all’islam, copre 3 pagine in un dossier di 20. «Una» voce accanto ad «altre». La verità non è mai tutta da una parte.

aa.vv.




La critica profetica

Egregio direttore,
mi riferisco alla lettera dei signori Alberto e Davide, apparsa su Missioni Consolata, maggio 2000. No, non ha sbagliato a pubblicare la lettera del signor Guido Guidotti.
Però bastava solo un cenno alla lettera di Alberto e Davide, senza pubblicarla per esteso, comprese le loro allucinazioni. Allucinazione è, per esempio, il rimando all’episodio evangelico di Giuda, citato a sproposito. I due poi si danno la zappa sui piedi quando affermano che sono centinaia i missionari di Modena, distribuiti in tutti i continenti.
Io do ragione a Guidotti. Sono troppo dimenticati i missionari, che spesso danno la vita per i popoli cui sono inviati, e chissà quanto maggior bene farebbero se potessero disporre di aiuti più consistenti da parte delle chiese di origine.
Che cosa sono le poche decine di milioni stanziati per le centinaia di missionari (lo dicono Alberto e Davide) e le necessità dei loro cristiani, necessità a volte di puro sostentamento materiale? E che ne faranno i cristiani della diocesi di Modena di tutti quei miliardi? Per me questo è egoismo.
Non mi sembra paradossale affermare che le nostre belle chiese affondano nel sangue dei poveri e che «saremo giudicati sulla misura con cui ce li siamo presi a cuore» come dicono Alberto e Davide.
A volte criticare ciò che la gerarchia decide non è da condannare; può essere un compito profetico da realizzare con evangelico coraggio.
Francesco Ciriello
Casso Murge (BA)

Ricapitoliamo i termini del dibattito:
– il signor Guido affermava: l’«otto per mille» ha fruttato alla chiesa di Modena 9 miliardi di lire, di cui solo 20 milioni sono andati ai missionari in Brasile (Missioni Consolata, gennaio 2000);
– replicavano i signori Alberto e Davide: parrocchie, gruppi e singole persone della diocesi di Modena inviano alle missioni somme ingenti di denaro, oltre che personale (Missioni Consolata, maggio 2000).
Fra i «litiganti» si inseriva la nostra rivista notificando: la chiesa italiana, attraverso l’«otto per mille» ha destinato ai missionari 30 miliardi di lire nel 1991, per giungere a 135 miliardi nel 1998, così impiegati: per progetti socio-culturali 133 miliardi, da distribuire 2 miliardi.

Francesco Ciriello




Il panegerico sul sindaco Giuliani

Caro direttore,
ricevere Missioni Consolata quando si è lontani è ancora più bello. Grazie di questa rivista ben fatta sia per contenuti sia per impostazione.
Tuttavia ci ha sorpreso negativamente l’articolo su Rudolph Giuliani, sindaco di New York (Missioni Consolata, marzo 2000). Come comunità missionaria che opera negli Stati Uniti, riteniamo che il sindaco non meriti proprio il panegirico che la rivista gli ha attribuito.
Sono sicura che, se tu fossi stato qui, non avresti pubblicato un articolo così lodatore. Basta chiedersi a quale prezzo Giuliani abbia ottenuto il successo della «riduzione del crimine». Ci sarebbe molto da dire su questo argomento, e non a favore del sindaco (cfr. Time, 3 aprile 2000).
Mi auguro che Missioni Consolata conservi sempre la carica missionaria profetica. Un affettuoso saluto a tutta la redazione.
Elisa Sacchettini
Belmont (Usa)

Parlare di «panegirico» (esaltazione senza riserva) nei confronti di Giuliani non è esatto. Infatti, accanto ad un articolo celebrativo, la rivista ha affiancato due «inserti» che ridimensionano i successi del sindaco…
Suor Elisa è una missionaria della Consolata battagliera, impegnata negli Stati Uniti sul fronte dei neri (blacks). Impegno che sottoscriviamo.

Elisa Sacchettini




E’ indispensabile credere nelle religione cattolica?

Signor direttore,
vorrei essere confortato dal parere di un credente: è indispensabile credere nella religione cattolica per essere degno di entrare nel regno dei cieli? Oppure è sufficiente comportarsi in modo da non fare del male ad alcuno, anche senza professare nessuna religione tradizionale?
Ho letto molti vostri servizi da tutto il mondo, nei quali vengono evidenziati genocidi, tragedie, sfruttamento di poveri, donne, minori, ecc.
In generale le vittime appartengono al terzo e quarto mondo, dove vige solo la regola della sopraffazione e dove non si comprende più se i popoli possono ancora essere considerati umani, oppure cose da abusare e gettare, senza che i responsabili provino alcuna emozione.
I responsabili sono soprattutto coloro che, per avere maggiori guadagni, si avvalgono di tanta miseria per maggiormente arricchirsi, pur essendo coscienti che quelle persone perseguitate e sfruttate appartengono alla stessa umanità di cui essi fanno parte e hanno gli stessi bisogni.
Pio Moacchi
Savona

Primo. Oggi l’umanità supera i 6 miliardi di persone, di cui solo 1 miliardo circa si professa cattolico. Ed è assurdo pensare che i restanti 5 miliardi di uomini e donne non possano entrare nel «regno dei cieli», essendo tutti figli dello stesso Padre. Tuttavia, per salvarsi, non basta evitare il male; bisogna compiere il bene. Al riguardo il giudizio finale, descritto dal vangelo di Matteo (25, 31-46), è esplicito.
Secondo. Sete di guadagno, sfruttamento, sopraffazione… non hanno attenuanti. E, se ciò avviene nel cosciente disprezzo dei poveri, è come «impugnare la verità conosciuta», cioè un peccato contro lo Spirito Santo.

Pio Moacchi




“Corno d’Africa”: le colpe dei governi

Cari amici,
nella guerra Etiopia-Eritrea muoiono migliaia di persone, mentre tante altre sono in grave pericolo, se non vengono soccorse con urgenza. La gente (che aveva seminato parecchie volte) ha perso i raccolti a causa della siccità. Ma il governo non ha immagazzinato risorse idriche costruendo dighe. Non essendo cresciuta l’erba per gli animali, le bestie diventano ora carcasse e la gente segue la loro stessa sorte.
Ha una bella faccia tosta il primo ministro a dire che non è colpa dei governanti se manca il cibo. Certo, non è colpa loro se non piove. Però, se non si sono dati una mossa per creare in tempo delle scorte, se non hanno razionalizzato l’agricoltura… di chi è la colpa?
Dopo aver ricevuto gratis derrate alimentari da tanti paesi, è responsabilità loro (eccome!) averle vendute per pagare le spese di guerra. Così i servizi di prima necessità sono stati abbandonati con la scusa che, per prima cosa, bisogna difendere la sovranità territoriale. È una colpa il non aver trovato un’intesa per risolvere il conflitto in modo umano, e non così selvaggiamente come hanno fatto. È un delitto usare i giovani per distruggere, ammazzare.
Ora persino gli aiuti di emergenza (che noi missionari dovremmo distribuire alla gente) andranno in parte in mano ai governanti, perché vogliono avee il monopolio. Speriamo nella protesta delle Organizzazioni inteazionali… Però ho poche speranze, perché prima bisognerebbe cambiare certe teste.
Ho visto troppe persone sicure di sé e orgogliose, come il «don Rodrigo della forca». È un’espressione spagnola per dire: c’è chi, con la fune al collo, si vanta di essere un nobile e dichiara di morire da innocente. Eppure è un assassino… Nel «Coo d’Africa» i poveri possono nuotare nella melma, ma i capi diranno sempre che si tratta di «fanghi», buoni per i reumatismi!
Lettera firmata
Addis Abeba (Etiopia)

Denuncia amara quanto giusta. Su questo numero facciamo il punto della «guerra tutta pazza» tra Etiopia ed Eritrea (vedi pagina 47).

Lettera firmata




Non tutto fa brodo!

Egregio direttore,
leggendo su Missioni Consolata di maggio scorso il trafiletto «Qualcosa d’incomprensibile», mi consenta un pizzico di sgomento.
Se per ogni religione c’è «la sua porta d’ingresso al paradiso» su piede pari, che significa allora magistero? Che significa evangelizzare? Ogni via è buona: tutto fa brodo. Mi potrò rivolgere al New Age in buona coscienza?
Mario Rizzonelli
Dro (TN)

La porta del paradiso si apre nella misura in cui il singolo crede e obbedisce al magistero e mistero della bontà-misericordia di Dio. Non tutto «fa brodo». È quanto si desume anche dal citato «romanzo ecumenico» Le chiavi del regno di Joseph Cronin.

Mario Rizzonelli