testo di Angelo Fracchia |
Ci è già ben chiaro che uno degli obiettivi di Luca nello scrivere gli Atti degli Apostoli è di spiegare che l’ampliamento della schiera dei «fratelli in Cristo» in numero ma anche in schieramento di campo, fuori dal mondo ebraico, è stato voluto dallo Spirito Santo e infatti non è stato causato da colui che molti accusavano di tradimento dell’ebraismo, ossia Saulo di Tarso. A un terzo del racconto degli Atti i cristiani si sono già fatti notare per delle frontiere molto porose: hanno già annunciato il vangelo, e battezzato, fuori dai confini più rigidi e stretti del popolo ebraico, vale a dire a samaritani (At 8,5-25) ed eunuchi (At 8,26-39). Alcuni tra i fratelli continuano a frequentare religiosamente il tempio (At 2,46; 3,1; 5,21) anche se altri contro quel tempio pronunciano parole di fuoco (Stefano: At 7). Finora, tuttavia, il movimento cristiano sembra uno tra i tanti gruppi ebrei, sicuramente tra i più aperti ed elastici, ma sempre all’interno di una varietà che era comunque ampia.
I lettori degli Atti sapevano però già che il cristianesimo si era espanso ben oltre i confini ebrei, e voci calunniose sostenevano che a operare quel cambiamento, forzando la mano alla comunità, fosse stato uno che non aveva neppure conosciuto Gesù, un rabbino originario di Tarso.
Con il capitolo 10 degli Atti degli Apostoli, Luca prende decisamente posizione contro queste voci: il movimento di Gesù si apre a chi viene dal paganesimo, ma lo fa nella sua guida più ufficiale e autorevole, Pietro (anche se di certo non dobbiamo pensarlo come un papa odierno), con il pieno avallo dello Spirito Santo (che anzi deve anche spingere un po’…) e nell’approvazione consapevole di tutta la chiesa.
Un poco di contesto
Per apprezzare fino in fondo il peso della storia, dobbiamo ricordare che i romani non erano soltanto degli «invasori» stranieri. Roma porta nel Mediterraneo orientale ordine, ricchezza, commerci e un modello ideologico potente. Roma si ritiene la garanzia della vita ordinata e felice del mondo. Quando gli imperatori si faranno venerare come dèi, daranno in fondo visibilità a una dimensione che, in forma implicita, era già presente. Per i romani la vita e la storia avevano solo una garanzia sicura: il loro potere, che garantiva a tutti di vivere bene. Appoggiandosi e innestandosi sulla cultura greca, già diffusa nel Mediterraneo, i romani si pensano come coloro che insegnano a vivere a tutti e risolvono tutte le tensioni. Dovremmo pensare al modo con cui, nella seconda metà del XX secolo, si è proposta da noi l’egemonia statunitense, non solo e non tanto con la forza degli eserciti, ma con il fascino della sua ricchezza, della sua sicurezza, della sua moda. Non è un nemico più forte che mortifica, ma un fratello maggiore che punta a convincere e a sedurre, a offrire un modello di vita.
Per questo il mondo ebraico – che pensava di non avere nel proprio Dio semplicemente un aiuto per uscire indenne dai rischi della vita, ma davvero un punto di riferimento definitivo per il quale si poteva addirittura mettere in pericolo la stessa vita – coglie nel potere romano qualcosa di affascinante (molti ebrei, commercianti, sfrutteranno la pace e il benessere romani) ma anche di sottilmente pericoloso.
Dentro a questo impero, poi, i centurioni non sono dei «romani» come gli altri. Intanto sono soldati, cioè rappresentano il volto più antipatico e violento di quella forza seducente. Poi, in quanto centurioni, non sono neanche soldati come gli altri, ma capi, che hanno voluto diventare tali e che possono fungere da funzionari dello stato. Nessuno diventava o restava centurione per caso o perché costretto dalle circostanze.
Cornelio, peraltro, sembra essere il ponte più verosimile verso il mondo ebraico: è un centurione, sì, ma «religioso e timorato di Dio» (At 10,2), generoso in elemosine e pronto a pregare Dio. È uno di quei non pochi che vedevano nell’ebraismo un movimento profondo, spirituale, attraente e convincente.
Protagonista è lo Spirito
Non è Cornelio ad avvicinarsi di propria iniziativa al cristianesimo, è invece Dio stesso, sotto forma di un angelo, a offrirgli di perfezionare il proprio avvicinamento al Dio vero. Neppure gli spiega chi sia Gesù o gli fa direttamente dono dello Spirito Santo, perché il Dio cristiano, che ha creato il mondo come autonomo, non sopporta di violentare la libertà umana, e si dà sempre attraverso gli uomini. Le voci divine, l’intervento diretto di Dio nella storia, è ben previsto negli Atti degli Apostoli, ma solo come anticipo o conferma di iniziative umane, non al loro posto. Nel mondo cristiano, Dio e l’uomo operano soltanto insieme.
La visione spiega a Cornelio chi dovrà chiamare.
Ma l’opera dello Spirito non è finita qui. Se infatti il romano poteva non sapere di chi avesse bisogno, colui che è chiamato dai suoi servi deve a sua volta convertirsi.
Pietro era il primo degli apostoli, il primo dei Dodici, ma nei fatti non era il capo del movimento cristiano che non aveva un vero centro. Se davvero i cristiani avessero voluto un tale centro, l’avrebbero cercato a Gerusalemme, dove la chiesa sembrava essere già guidata da «Giacomo, il fratello del Signore» (At 12,17; 15,13; cfr. 1 Cor 15,7; Gal 1,19).
Non a caso, Pietro non si trova a Gerusalemme, a gestire la chiesa, ma a Giaffa, sul mare Mediterraneo, in casa di un altro Simone, conciatore.
Il particolare del lavoro del Simone che ospita Pietro non pare essere secondario. Sembrerebbe quasi che Luca intenda portarci per mano, passo dopo passo, a scoprire che cosa Dio abbia in serbo per i suoi. Pietro, infatti, mentre è in preghiera, si trova davanti a una visione strana (At 10,10-16). Ha fame, e dal cielo scende una tovaglia con tanti animali di ogni tipo, compresi quelli che per la tradizione ebraica sono impuri. Sempre dal cielo viene una voce che invita Pietro a uccidere e cibarsi, ma lui si rifiuta, facendo notare che fin da quando era bambino aveva solo mangiato cibi puri. La voce, però, lo invita a ripensarci: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano». L’invito è chiaro, spinge il primo degli apostoli a non rispettare più le regole di purità rituale. L’obiezione può essere che si tratta di una regola religiosa, e violarla significa andare contro Dio.
Ma è qui che ci accorgiamo che Pietro già sta violando quella legge, in quanto i conciatori erano considerati impuri (erano costretti infatti a maneggiare cadaveri, che rendono impuri). Pietro supera già la legge quando entra in rapporto con le persone, proprio come aveva fatto anche Gesù, mangiando con peccatori e lebbrosi (Mt 26,6), senza farsi scrupoli (Gv 8,3-11, ma gli esempi sarebbero tanti). Al centro della proposta cristiana c’è l’incontro, con Dio e con gli altri, e non c’è legge religiosa che possa venire invocata per contestare questa intenzione divina di fondo.
Dio alla guida
Pietro, dunque, segue i servi inviati da Cornelio a chiamarlo. Non è senza significato la scena che si svolge quando entra in casa del centurione (At 10,25-26), con lo stesso che si china davanti a Pietro che lo rimprovera spiegando: «Anche io sono un uomo!». Luca fa di tutto per ricordarci che anche quando è Dio a prendere in mano il volante della storia (e qui lo fa!), non si muove senza la presenza collaborante degli uomini. Senza di noi, non vuole agire, non vuole forzarci ad andare dove non vogliamo: può spingerci, esortarci, invitarci, ma mai contro la nostra volontà e collaborazione.
Potremmo pensare che Pietro vada da Cornelio per predicare, evangelizzare e battezzare, cosa che farà. Ma intanto i due dialogano, si parlano, si chiariscono le intenzioni e condividono le esperienze (At 10,27-33). Il vangelo, innanzi tutto, mette in contatto le persone. Quindi Pietro spiega, in breve, la vicenda di Gesù (At 10,36-43), sottolineando che «Dio non fa preferenza di persone», quale che sia l’origine, il popolo o la storia personale, e di questo Pietro appena adesso sta rendendosi conto (At 10,34).
Quando ha finito di parlare non ha bisogno di attendere la reazione di chi è radunato in quella casa, perché, come è già successo altre volte ma soprattutto nella grande Pentecoste di Atti 2, lo Spirito Santo scende sui presenti senza aspettare il battesimo, che arriva quasi a conferma formale di ciò che già Dio ha operato (At 10,44-48).
Verifica ecclesiale
Il racconto non finisce qui. Persino Pietro, il primo degli apostoli, deve rendere conto ad altri di che cosa è successo. Benché la notizia che giunge a Gerusalemme sia che «i pagani avevano accolto la parola di Dio», che sembrerebbe essere presentata come una notizia positiva, quando Pietro arriva nella città santa viene rimproverato, perché si è mescolato con dei pagani, trascurando le norme di purità (At 11,1-3).
Deve quindi nuovamente riprendere l’intero racconto (che così Luca ci richiama ancora, perché non ce ne scordiamo: come i migliori professori, ci ripete più volte gli aspetti essenziali), al termine del quale i presenti si calmano e cominciano a lodare Dio (At 11,18).
È chiaro che cosa Luca vuole spiegare di questo passaggio delicato e fondamentale. Dio ama gli uomini, vuole entrare in rapporto e relazione con ognuno di loro, senza che alcun aspetto secondario e superficiale possa impedirlo. Si può essere addirittura dei pagani romani e centurioni, ma se si cerca autenticamente Dio, lo si potrà incontrare, e non c’è legge ecclesiale che lo possa impedire. Nello stesso tempo, Dio non si muove fuori dalla chiesa, fuori dai suoi credenti, che devono mettersi a disposizione, lasciarsi scomodare, uscire e andare là dove la legge religiosa sembrerebbe non volerli lasciar entrare, e poi ancora devono cercare di capire quello che è successo e accettare di dover cambiare la propria idea su Dio.
Il Dio cristiano ha le idee chiare sulla propria intenzione di incontrare tutti gli uomini. Ma non agirà nonostante i suoi fedeli, bensì puntando a coinvolgerli e convincerli. Con la consapevolezza che, senza la loro collaborazione, anche l’azione di Dio sarà tarpata. Se Pietro non fosse uscito per seguire gli uomini che erano venuti a chiamarlo, Cornelio non avrebbe ricevuto lo Spirito. Ecco che il compito della Chiesa si riempie anche di responsabilità.
Angelo Fracchia
(11 – continua)