Libri: Contro la mentalità predatoria

Lo sfruttamento di ambiente e donne

yesto di Chiara Brivio |


Cosa può accomunare un libro sull’Amazzonia a un altro sulla prostituzione? La denuncia di quella mentalità che considera l’ambiente, da un lato, e la donna, dall’altro, non come un dono da custodire, ma come una preda da possedere e usare a proprio piacimento. Lo sfruttamento dell’Amazzonia, come quello delle donne va fermato.

Anche quando si leggono due libri con temi apparentemente molto lontani tra loro, si possono trovare interessanti assonanze, e una certa comunanza di ideali e di visione di fondo.

Questo mese vi parliamo di due libri che portano l’attenzione sull’Amazzonia sfruttata e depredata, come le tante donne che la abitano, da una parte, e sulle tante ragazze gettate nelle nostre strade e costrette a vendersi per sopravvivere, dall’altra. Due facce di un’unica visione distorta e malata della società – come spesso ci ricorda papa Francesco -, basata sullo sfruttamento dei deboli e degli indifesi.

In questi testi si ritrovano anche esempi di lotte edificanti, di tentativi di riconoscimento e di riscatto delle donne, che offre uno scorcio di speranza, molto spesso nutrita dagli sforzi e dall’impegno della Chiesa.

Frontiera Amazzonia

«Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita» è il racconto dei viaggi che Lucia Capuzzi e Stefania Falasca, due firme del quotidiano «Avvenire», hanno compiuto nella foresta amazzonica attraverso quattro dei nove paesi che la ospitano. Pubblicato da Editrice Missionaria Italiana in occasione del Sinodo per l’Amazzonia dello scorso ottobre, il libro narra di un viaggio che vuole raccogliere l’eredità e, idealmente, continuare quello iniziato da papa Francesco a Puerto Maldonado, Perù, nel gennaio 2018.

«Frontiera Amazzonia» è un libro interessante già per il modo in cui è strutturato, perché ogni capitolo è dedicato a una particolare «ricchezza» dell’Amazzonia: oro, legname, coca, petrolio, esseri umani; tutte risorse che sono anche la sua maledizione, portando nella foresta miniere illegali, tratta di persone, disboscamento.

Il quadro che emerge da questo appassionato reportage non è affatto roseo, anzi.

A prima vista potrebbe indurre il lettore a pensare che un’inversione di tendenza per il nostro «polmone verde» non sia nemmeno immaginabile (siamo al 20% del disboscamento, gli scienziati hanno stimato che il punto di non ritorno si aggiri intorno al 40%), soprattutto nell’era del governo di Jair Bolsonaro in Brasile. Tuttavia, come spesso accade, la speranza viene dalle donne, vere protagoniste di questo libro.

Abusate e vittime di soprusi come la loro terra – «l’Amazzonia è una donna, una donna stuprata», scrivono Capuzzi e Falasca nell’introduzione -, sono impegnate nella lotta e nella difesa dei loro diritti, nonché nel mantenimento del delicato equilibrio ecologico del loro territorio. Figure fiere e forti, sono suore, contadine, leader indigene come Nemo, del popolo degli Waorani, che lotta contro i «rapinatori della terra» che inquinano il territorio con l’estrazione del petrolio. O come Marcivana Sateré Mawé, leader del Copime (Coordinação dos povos indígenas), che ci ricorda che, oltre alle multinazionali, sono in primis i pregiudizi a dover essere estirpati: «La gente non può concepire che l’indio oggi possa andare al college, che sia dottore, avvocato, insegnante. L’indio sa che cosa vuole. Vogliamo essere noi stessi e mantenere viva la nostra cultura per le generazioni future».

Sono vittime dell’estrattivismo e di quel «capitalismo rapace» e «usa e getta» che «produce scarti», come più volte denunciato da papa Francesco.

Sono rappresentanti di una condizione femminile che si rispecchia anche nel ruolo che ricoprono all’interno della chiesa locale, come suggerisce padre Enrico Uggè, missionario del Pime in Amazzonia: «Non si tratta di “supplenze”. Il futuro di una chiesa che rimane e cresce passa per il cuore di queste donne. E laggiù in Vaticano dovrebbero considerare anche loro e tenere conto del ruolo centrale che oggi svolgono nella chiesa amazzonica». Da leggere la prefazione del cardinale Cláudio Hummes, relatore speciale al Sinodo panamazzonico.

Donne crocifisse

«Qualsiasi forma di prostituzione è una riduzione in schiavitù, un atto criminale, un vizio schifoso». Pesano come macigni le parole di papa Francesco nella sua prefazione al volume di don Aldo Buonaiuto, «Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada», uscito per Rubbettino.

Buonaiuto, sacerdote, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, esorcista, da anni in prima linea contro lo sfruttamento, ha voluto raccogliere nel libro le numerose storie di quelle «sorelline» – come le chiamava il fondatore della Comunità, don Oreste Benzi – che ha incontrato sulle strade nel corso degli anni. Storie di violenza, di soprusi e di sfruttamento raccolte dalla voce delle tante, troppe, ragazze che finiscono costrette sui marciapiedi delle nostre città.

I dati che Buonaiuto cita nella prima parte del volume, un’accurata analisi del fenomeno sulla strada e online, sono impressionanti: in Italia le schiave del sesso sono circa 120mila, il 37% delle quali minorenni. Il 36% del totale proviene dalla Nigeria. Un giro d’affari che, a livello globale, si aggira sui 186 miliardi di dollari all’anno.

L’autore del libro pensa che l’unica soluzione sia una riforma della legislazione italiana, sul modello di Svezia e Francia dove viene punito il cliente invece della prostituta, producendo un capovolgimento di prospettiva che riconoscerebbe alle donne il loro status di vittime di sfruttamento e che in quei paesi ha portato a una drastica diminuzione della domanda.

Il libro è una risposta chiara a tutti coloro che vorrebbero riaprire le case chiuse, o che la pensano come il governatore di una ricca regione italiana che recentemente ha dichiarato che chi si fa complice dello sfruttamento di queste ragazze è «una persona che ha qualche necessità fisiologica».

Le vere protagoniste di questo volume sono, comunque, le testimonianze delle vittime sotto forma di lettere. Esse raccontano di un destino comune: la fuga dalla povertà, la promessa (fasulla) di un lavoro in Europa, la schiavitù – termine che ricorre spesso nel libro – per le strade.

Tra queste donne c’è Mary, «ex bambina soldato abituata a difendersi da sola e soprattutto a lottare per sopravvivere», che non sopporta il pianto dei bambini perché le ricordano sua figlia, partorita in agonia dietro un cespuglio, sotto gli occhi di tutti, e lì spirata dopo pochi istanti. C’è Stefania, bulgara, che davanti al presidente Mattarella, nonostante la sordità che la affligge per le torture subite, si è appellata a tutti i «clienti», dicendo: «Sappiano che stanno sbagliando». C’è Blessing, nigeriana, che, alla richiesta di don Buonaiuto di mostrarle il braccio nascosto sotto la giacca intrisa di sangue, raccontò che un cliente «dopo averla pagata le bloccò il braccio incastrandole la mano nella portiera per riprendersi il denaro e scappare».

Leggendo questo libro viene da chiedersi perché ancora ci siano così tanti uomini nel nostro paese (le stime parlano di tre milioni di clienti) che desiderano di abusare di queste donne, obbedendo a quella «mentalità patologica» a cui fa riferimento papa Francesco nella sua prefazione.

Sarebbe necessaria una «conversione» da parte loro, una conversione che li spinga, come faceva don Benzi, a domandare: non «quanto vuoi?», ma «quanto soffri?».

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