La Torta di Pedro

Nel Piauí, uno degli stati più poveri del Brasile.
Da quando è diventato una potenza economica il Brasile è sempre un argomento da prima pagina. Tuttavia, considerate le sue dimensioni continentali, esso racchiude realtà molto diverse e spesso sconosciute. Siamo stati nel Piauí, stato del Nord-Est, per capire se speranze e problemi della gente siano i medesimi che nel resto del paese. Lo abbiamo chiesto a tre preti locali, padre Angelo, padre Lindo e padre Pedro, quest’ultimo tornato a casa dopo 5 anni trascorsi in Italia.

Bertolinia. «Il Piauí è lo stato più cattolico della federazione brasiliana.
Qui le chiese neopentecostali non hanno avuto il successo che c’è stato negli
altri stati. Detto questo, soltanto il 2-3% dei cattolici frequenta la messa
domenicale».

Padre
Angelo Oliveira Costa è giovane e pieno di grinta. Lui è il parroco di
Bertolinia, paesone agricolo situato a qualche ora di bus da Teresina, capitale
del Piauí. Padre Angelo vive nella casa parrocchiale, a pochi metri dalla
chiesa Nossa Senhora da Conceição Aparecida. La piccola costruzione, datata
1856, ha un campanile centrale ed è stata costruita su un terrapieno, alle
falde di una collinetta. Sono soltanto un paio di metri in più che però le
consentono di dominare sulla sottostante piazza. Rettangolare, ingentilita da
qualche albero, la piazza Nossa Senhora Aparecida è circondata da casette ad un
piano (compresa quella che ospita il municipio) e da una strada frequentata da
pochissime auto e molte motociclette.

Con
padre Angelo c’è padre Lindinaldo detto Lindo. Questi lavora nei paesini vicini
a Bertolinia, che raggiunge in motorino.

Oggi
però saliamo su un pick-up giapponese. «Regalato da Misereor,
l’organizzazione caritativa della chiesa cattolica tedesca», precisa padre
Angelo.

La malattia dei politici

Dalla strada che collega Bertolinia con Floriano deviamo a destra.
E subito capiamo perché qui un fuoristrada è indispensabile. La via è una
mulattiera, stretta tra vegetazione e recinzioni. Ogni tanto padre Lindo è
costretto a scendere dall’auto per aprire i cancelli in legno che delimitano le
varie proprietà. Il buio è sceso all’improvviso. Si distingue soltanto ciò che
viene illuminato dai fari.

Finalmente arriviamo a destinazione. È una casetta bianca,
semplicissima. Le persone sono sedute fuori, a godersi le ore meno calde della
giornata. I padroni di casa si chiamano Francisca e Francisco Messias de Sousa,
piccoli agricoltori e allevatori. Hanno un figlio prete, che ci accoglie con un
«Buonasera». Pedro parla italiano perché ha vissuto in Italia per 5 anni.

Caagione dorata, capelli corti e crespi, occhiali, un sorriso
che non perde di simpatia pur in presenza di un apparecchio dentistico portato
con disinvoltura, padre Pedro è il settimo di 10 figli: 4 maschi e 6 femmine.
Un paio sono nel Piauí. Gli altri vivono a Brasilia e San Paolo. «Hanno uno o
due figli. Se mia madre avesse fatto come loro io non sarei neppure nato»,
racconta con tono scherzoso. Ricorda i suoi trascorsi italiani. «Tra studi e
lavoro sono stato in Italia 5 anni. Lì ho ottenuto la licenza in teologia
pastorale e ho fatto la professione solenne. Sono stato ad Avellino, alla
parrocchia Cuore immacolato di Maria per un anno. Poi, d’accordo con il mio
provinciale, invece di andare
all’Università a Roma, ho chiesto di tornare a lavorare nel mio paese».

Simpatico e sorridente padre Pedro, ma le sue risposte non sono
buoniste. «Il Brasile è un paese ricchissimo. La sua torta è grande, ma la
maniera di dividerla è sbagliata. E poi c’è la malattia della corruzione e
quella dei politici che non sanno distinguere ciò che è pubblico da ciò che è
privato. Così accade che troppi di essi non fanno politica per migliorare la
vita della gente, ma per migliorare la propria e quella dei loro parenti».

Padre Pedro riconosce i successi ottenuti da Lula e dall’attuale
presidente Dilma, ma non chiude gli occhi su una realtà complessiva che rimane
problematica e troppo diseguale. «Il primo dei problemi – afferma – rimane
ancora la povertà. Poi c’è la carenza di strutture sanitarie pubbliche e di
abitazioni degne. Senza dimenticare l’analfabetismo: occorre migliorare
l’educazione, perché un paese può crescere soltanto attraverso di essa. Insomma
i problemi sul tappeto rimangono numerosi dato che, come dicevo prima, la
grande ricchezza del Brasile, sesta potenza mondiale, non si vede ancora nella
vita quotidiana della gente comune». In particolare negli stati del Nord-Est:
Alagoas, Ceará, Bahia e soprattutto Maranhão e Piauí, i due che si contendono
il poco invidiabile primato di stato brasiliano con il maggior numero di
poveri.

Il Piauí: da Vila Irmã Dulce a Guaribas  

Stato agricolo e d’allevamento bovino, grande quasi come l’Italia
(251mila chilometri quadrati contro 301mila), ma scarsamente abitato e senza
etnie indigene (tutte sterminate nei secoli passati), il Piauí ha gravi problemi
sociali e ambientali. Il paese ha il secondo più alto tasso di analfabetismo
del Brasile e, oltre il 40 per cento dei suoi abitanti, vive senza una rete
fognaria e senza un servizio di raccolta dei rifiuti.

Teresina, capitale dello stato, ospita una delle più grandi favelas
dell’America Latina: Vila Irmã Dulce. Qui, per migliaia di famiglie, la
precarità delle condizioni di vita costituisce la normalità.

I problemi sociali dello stato sono tanto evidenti che, nel marzo
2003, all’inizio del suo primo mandato, il presidente Lula scelse Guaribas,
città piauiense localizzata nel cosiddetto «poligono della siccità», per
lanciare il proprio programma «fame zero». A distanza di 10 anni, i suoi
abitanti sopravvivono, ma Guaribas continua a essere una città senza
infrastrutture, senza servizi e probabilmente senza futuro.

Quanto al disastro ambientale, esso trova la sua manifestazione più
drammatica nel Sud dello stato, attorno alle città di Gilbués, Alegrete e Monte
Alegre, dove si è formata la più grande area desertificata di tutto il Brasile.
La desertificazione è avvenuta non per cause naturali, ma esclusivamente per
azione antropica. Inizialmente è stata la ricerca disordinata e quasi sempre
illegale dei diamanti. Successivamente è stato il diffondersi dell’allevamento
estensivo di mucche. E, a completare l’opera di distruzione, la pratica del «taglia
e brucia».

Nel resto del Piauí, è stata l’introduzione su larga scala della
coltivazione della soia a produrre pesanti effetti sul territorio piauiense. La
soia è infatti fattore determinante nell’inquinamento dei fiumi e dei suoli (a
causa dell’utilizzo di prodotti agrotossici). Ma essa ha anche contribuito in
maniera sostanziale alla distruzione del cerrado (uno dei biomi tipici
della regione) attraverso il disboscamento e l’utilizzo del legno nativo come
fonte energetica («carbone vegetale»1, di cui il Piauì è il quarto
produttore a livello nazionale) per i processi di trasformazione industriale
della soia. Per produrre e trasformare questa leguminosa sono arrivate nel Piauí
alcune multinazionali, che – come troppo spesso accade – apportano alla
collettività più danni che benefici (questi spesso collegabili a progetti di greenwashing)2. Le più
conosciute sono la Monsanto e la Bunge Alimentos. Quest’ultima,
grande produttore di alimenti a base di soia (margarina, olio, ecc.), per
installarsi nella città di Uruçuí, ha avuto dal governo statale l’esenzione
quasi totale dalle imposte.

A conferma della gravità della situazione ambientale, secondo una
recente classifica, il Piauí figura al terzo posto per quanto concee il
disboscamento della mata atlantica3, preceduto soltanto dagli stati
di Minas Gerais e Bahia. La regione più colpita è quella della Serra Vermelha,
nel Sud dello stato.

Acqua, bene prezioso

La conversazione con padre Pedro e padre Angelo è stata baciata
dalla fortuna: temperatura piacevole, nessun rumore molesto, zanzare in
vacanza. Ma è ora di ripartire. C’è tempo per bere un bicchiere d’acqua
conservata in due vasi di terracotta (pote, in brasiliano), che stanno
accanto alla porta della casa di Francisca e Francisco. Prima di salire in auto
stabiliamo che padre Lindo scenderà ad aprire i cancelli, anche se lo ha fatto
pure all’andata. «Mentre noi discutevamo, lui ha mangiato. Un po’ di moto gli
farà bene», spiega padre Angelo.

Paolo Moiola
 
Note

1 – Contrariamente a quanto sostenuto, anche la produzione
di carbone vegetale da legno di eucalipto genera seri problemi ambientali. In
quanto pianta esotica, l’eucalipto non ha predatori naturali. È inoltre una
pianta «competitiva» in grado di impedire la crescita della flora nativa.
Infine, essendo caratterizzato da una rapida crescita, è un albero ad alto
consumo idrico.
2 – Come può essere – ad esempio – l’asfaltatura di una
strada sterrata.
3 – La mata
atlantica è un bioma brasiliano a rischio di estinzione.

 
       Giugno 2013: le manifestazioni nelle città brasiliane                                      

Il pane ma anche le rose

Le politiche del Pt, al governo da 10 anni, hanno ridotto
sensibilmente la povertà, ma lo sviluppo perseguito è fondato sulle grandi
opere e l’agrobusiness, con pochi investimenti nei campi della salute e
dell’istruzione pubbliche, e a detrimento dei diritti dei popoli indigeni e
della natura. In linea con i dettami della filosofia neoliberista. I
brasiliani, scesi nelle strade a protestare (oscurando il «sacro» rito del
calcio), oggi chiedono di avere la dignità del pane ma anche la bellezza delle
rose. Il Brasile, paese dalle molte facce (spesso antitetiche), vuole andare
oltre i numeri da sesta potenza mondiale.

Sul Brasile i luoghi comuni si sprecano: è il paese delle
favelas, delle spiagge dove donne bellissime sfilano tutto il giorno sulla
sabbia dorata e, ovviamente, del carnevale e del calcio, per i quali ogni
attività si ferma. Per questo e altro le rivolte urbane accadute a giugno,
durante il toeo calcistico internazionale della «Coppa delle confederazioni»
(poi vinto proprio dai padroni di casa del Brasile), hanno trovato quasi tutti
(governo, comunità internazionale, giornalisti) impreparati. «È difficile, se
non impossibile – ha scritto Mino Carta -, dire perché i brasiliani siano scesi
in piazza. Di certo è un grido di protesta che proviene dalla periferia di un
paese ancora diviso tra padroni e schiavi. Mi riferisco alla maggioranza dei
brasiliani che prende l’autobus e non sa cosa sia lo stato sociale. Sono loro a
pagare le conseguenze di un sistema sanitario, scolastico e dei trasporti di
pessima qualità»1.

Negli ultimi 10 anni, sotto le presidenze di Lula e oggi di
Dilma, il Brasile ha fatto grandi progressi tanto da raggiungere il rango di
sesta potenza mondiale. Tuttavia, il paese rimane terra di incredibili
contrasti e di enormi diseguaglianze. Lo sviluppo è stato ed è perseguito nel
solco dei dettami della filosofia neoliberista, come più volte segnalato anche
nei nostri reportages. Pur approvando
generosi programmi assistenziali in favore dei più poveri, il governo ha
lavorato per favorire le aziende private, le banche e l’oligarchia finanziaria.
I casi più emblematici riguardano la costruzione di opere faraoniche (una per
tutte, la contestatissima centrale idroelettrica di Belo Monte, sul fiume
Xingu) e l’esplosione dell’agrobusiness
fondato sulle monocolture e sostenuto dalla potente bancada ruralista del Congresso2. Queste scelte economiche hanno
spinto verso l’alto la crescita e il Prodotto interno lordo, ma allo stesso
tempo hanno prodotto conseguenze molto negative: per le popolazioni indigene
(scacciate dalle loro terre e di fatto spogliate dei propri diritti) e per la
preservazione dei grandi ecosistemi naturali che il Brasile ha la fortuna di
ospitare.

Per contro, il governo di Brasilia ha investito risorse
irrisorie nei campi della salute e dell’istruzione. Perché – chiedevano i
manifestanti – spendere miliardi di soldi pubblici nella costruzione degli
stadi per i Campionati mondiali di calcio del 2014 quando mancano scuole e
ospedali degni di questo nome? Anche il consiglio della «Conferenza dei vescovi
brasiliani» (Cnbb) si è schierata – attraverso una lettera dal titolo Ascoltare
il grido che viene dalle strade – con i contestatori3.

«Quando mio figlio sarà malato – si poteva leggere sui
cartelli e sui muri -, lo porterò allo stadio?». Scelte politiche sbagliate,
corruzione e sprechi sono riusciti nell’impresa di portare migliaia di
brasiliani nelle strade a contestare il calcio, da sempre considerato un rito
sacro e intoccabile.

Si dimentichino i luoghi comuni e le semplificazioni, il
Brasile ha innumerevoli facce, spesso antitetiche. Come quella di Marco
Feliciano, deputato e pastore evangelico della Asembléia de Deus. Nel 2010, Feliciano è stato eletto alla Camera
dei deputati del Brasile, risultando l’esponente evangelico più votato del
paese. Il deputato è famoso per le sue idee razziste sugli africani e per le
dichiarazioni di fuoco contro l’omosessualità, causa di odio e crimini, un
comportamento che – a suo giudizio – può essere curato tramite un adeguato
aiuto psicologico e spirituale (soprannonimato «cura gay»). Pur accusato di incitare all’omofobia e all’intolleranza,
a marzo 2013 il parlamentare evangelico è stato eletto presidente della «Commissione
per i diritti umani e le minoranze» della Camera.

Ma il Brasile ha anche la faccia di Jaoquim Barbosa, primo
presidente nero della Corte suprema4 (e possibile candidato alle presidenziali
del 2014). Nato nello stato di Minas Gerais, è il primogenito di 7 figli.
Barbosa ha intrapreso una lotta senza precedenti contro la corruzione annidata
nei partiti politici brasiliani (lo scandalo conosciuto con il nome di mensalão), compreso il Pt, il partito di
Lula e Dilma, i presidenti che hanno portato il Brasile nel novero delle
potenze mondiali, senza però riuscire a eliminae vizi, contraddizioni e
diseguaglianze. Come le manifestazioni popolari di giugno 2013 hanno voluto ricordare.
La vita ha bisogno del pane, ma anche delle rose.

Paolo Moiola
Note

1 – Mino Carta, editoriale di Carta Capital, 21 giugno 2013:
www.cartacapital.com.br.
2 – Claudia Fanti, In Brasile è guerra contro i popoli
indigeni. La resa di Dilma agli interessi dell’agrobusiness, Adista, 15 giugno 2013.
3 – Cnbb, Ouvir o
clamor que vem das ruas
, Brasilia, 21 giugno 2013.
4 – Secondo altre fonti, sarebbe il terzo. Si veda:
www.joaquimbarbosapresidente.com.br.

 
       Il crack, un’emergenza nazionale                                                                      

Le pietre del suicidio

Il Brasile della crescita economica e delle manifestazioni
inteazionali affronta un’emergenza che si sta diffondendo come un’epidemia.
Il crack ha invaso le strade brasiliane e catturato migliaia di persone. Anche
nei centri più piccoli.

Teresina. La rivista locale, Cidade Verde («città verde», nome con cui un tempo era
soprannominata Teresina), racconta la storia di cinque fratelli, il più piccolo
di appena 9 anni, tolti ai genitori perché i due erano tossicodipendenti e
vivevano per le strade.  Una vicenda –
pensiamo – drammatica e triste, ma forse unica e comunque amplificata dalle
consuete esagerazioni dei giornalisti.

Usciamo per una passeggiata. È la mattina di un giorno di
festa. Per le strade del centro di Teresina non c’è traffico. Le saracinesche
dei negozi sono abbassate, gli uffici pubblici chiusi.

Sulla Rua Areolino de Abreu e sulle vie laterali, nella
piazza Marechal Deodoro da Fonseca (conosciuta come Praça da Bandeira), nei pressi della chiesa Nossa Senhora do Amparo,
ci sono soltanto piccoli gruppi di persone che bivaccano sui marciapiedi o
sotto gli alberi dei giardini. Hanno un aspetto trasandato, volti emaciati,
sguardo perso, movimenti rallentati. Altri camminano con passo barcollante,
trascinando i propri corpi con fatica, pur essendo persone giovani. Sono tutti
tossicodipendenti – viciados, come si
dice in lingua brasiliana -. Ci dobbiamo ricredere. Quelle lette sulla rivista
non erano esagerazioni giornalistiche: il crack è arrivato anche qui.

La conferma arriva da un’inchiesta di Veja. Secondo
il settimanale, il crack ha ormai raggiunto oltre il 90% delle città
brasiliane, comprese quelle del Piauì, uno degli stati più poveri del paese.
Nel gergo giornalistico si parla di «cracolandia»,
per indicare i luoghi delle città dove si spaccia e consuma crack. Statistiche ufficiose raccontano
che per le strade di Teresina ci siano 8.000 tossicodipendenti.

Un esercito in crescita. Il crack è poco costoso e molto più pericoloso della cocaina di cui è
un sottoprodotto ottenuto mischiando questa con bicarbonato di sodio. Si
presenta in forma di piccole pietre (cristalli) che, una volta scaldate,
rilasciano un vapore che viene aspirato dal consumatore. L’euforia che si
produce dura non più di 10 minuti. Ad essa segue una depressione fisica e
mentale che si cerca di combattere procurandosi un’altra dose di crack. Una
volta entrata nel circolo vizioso della dipendenza l’unica preoccupazione della
persona è quella di procurarsi una nuova dose. Se non ha il denaro necessario, se
lo procura con furti, violenze o prostituendosi. Molti iniziano a vivere per le
strade come indigenti. A São Paulo come a Teresina, ma anche – ecco perché si
parla di epidemia – nelle città più piccole.

Dal lungofiume risaliamo a piedi la Rua Areolino de Abreu.
Nei pressi di una fermata dell’autobus, scoppia una lite tra due giovani donne
che stanno salendo sul mezzo. Si accapigliano e si insultano gridando con voce
stridula. Dopo qualche minuto la porta del bus si chiude lasciando fuori una
delle due e ponendo così fine al litigio. La donna che non è salita ha
l’aspetto e il fare inconfondibili di una consumatrice di crack. Non ci si può sbagliare: quella droga distrugge l’aspetto
esteriore e la testa delle persone che la scelgono.

Paolo Moiola

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Paolo Moiola