Il presidente «per caso»

Tratti biografici

Figlio del capo
Nasce il 13 aprile 1922 nel villaggio di Butiama, a circa 30 chilometri dalla città di Musoma, nel nord del Tanganyika, come si chiamava allora il paese senza Zanzibar. Si chiama Kambarage Nyerere: Kambarage (spirito benefico che vive nella pioggia), perché piove quando nasce; Nyerere, come il padre Burito Nyerere, capo della piccola tribù dei Wazanaki. È uno dei 26 figli di Burito, che vanta almeno 18 mogli(1). Sua madre, Mgaya Wang’ombe, è la quinta consorte del boss.
Fa il pastorello Kambarage. Ma il ragazzo è troppo arguto per accudire soltanto pecore e capre. Così, a 12 anni, impara a leggere e scrivere. Dopo la scuola elementare, frequenta la Tabora School, liceo retto dai Missionari d’Africa. Costoro intuiscono che c’è «ottima farina nel suo sacco» e gli spalancano i battenti dell’università di Makerere, in Uganda, dove l’ex pastore ottiene il diploma in pedagogia.
Nel 1942, a 20 anni, un evento straordinario arricchisce l’esistenza di Kambarage: diventa pure Julius, cattolico. Sua madre lo seguirà con il nome di Cristina(2).
Corre voce che Julius voglia addirittura fare il prete. Intanto insegna biologia e storia alla Saint Mary’s Secondary School di Tabora. Poi, grazie ad una borsa di studio offerta dai soliti missionari, ritorna sugli scranni dell’università, ad Edimburgo (Scozia): vi consegue il master in storia ed economia. è il primo tanzaniano a studiare in un’università britannica. Qui conosce la Fabian Socialist Society: è un movimento sociopolitico, che mira ad elevare le classi lavoratrici per renderle idonee ad usufruire dei mezzi di produzione locale. È «la prima pietra socialista» di Nyerere, destinata a diventare «una casa» in Tanzania.

Il maestro
Nel 1952 ritorna in patria e insegna storia, inglese e swahili al Saint Francis College di Pugu, vicino a Dar es Salaam. È in tale istituto cattolico che Nyerere viene chiamato mwalimu, cioè «il maestro». Il suo insegnamento eccelle per semplicità, qualità e sagacia. Il futuro presidente della nazione sarà sempre «maestro» per vocazione e «politico» per caso(3).
Il 1953 è un anno significativo per Nyerere: primo, perché sposa Maria Gabriel Magige (con la quale avrà otto figli); secondo, perché viene eletto presidente della Tanganyika African Association (Taa), movimento culturale che egli stesso ha promosso all’università di Makerere. L’anno successivo, 1954, Taa diventa Tanu (Tanga-nyika African National Union): un partito dove si inizia a discutere di indipendenza del paese.
Chi sarà «il capo» del Tanganyika indipendente? Ovviamente lui, Julius K. Nyerere, gradito sia alla popolazione sia all’ultimo governatore britannico, Richard Tubull.

Il presidente
La magica ora dell’uhuru (libertà-indipendenza) scocca a mezzanotte tra l’8 e il 9 dicembre 1961. Nello stadio di Dar es Salaam, gremito di persone in festa, si ammaina la bandiera dell’Impero Britannico, mentre le stelle sorridono a quella inedita del Tanganyika indipendente. Il nuovo stendardo armonizza il nero del volto dei cittadini con l’azzurro dell’Oceano Indiano, il verde della foresta con il giallo dell’oro. In primo piano spiccano «lui» e «lei», a rappresentare tutti gli uomini e le donne delle 127 etnie del paese.
Nyerere è acclamato primo ministro del governo e, l’anno seguente, 1962, presidente della repubblica. Veste la casacca di Mao Zedong. Ma le differenze fra i due sono nette. Non è affatto detto che il tanzaniano sia succube o inferiore al cinese, anzi!
Intanto sul Kilimanjaro, il monte più alto del Tanganyika e dell’Africa, arde la fiaccola annunciata da Nyerere stesso. «Vorremmo accendere una candela – dichiara il 22 ottobre 1959 il futuro presidente – e collocarla sulla vetta del Kilimanjaro. Quella luce brillerà oltre i nostri confini e offrirà speranza dove c’era disperazione, amore dove c’era odio, dignità dove c’era umiliazione. Con sincerità, preghiamo il popolo della Gran Bretagna e i popoli di ogni razza e lingua, nostri vicini, di guardare a noi, di guardare al Tanganyika non con imbarazzo, ma con un raggio di speranza»(4).
Grazie anche a Nyerere, l’indipendenza non conosce violenza. Non è poco, se si pensa all’indipendenza insanguinata di altri paesi africani: dal Congo al Mozambico, dal Kenya all’Angola. Senza scordare le tragedie di Burundi e Rwanda e la vergognosa discriminazione razziale in Rodesia e Sudafrica.

La nave va
Con l’indipendenza, la vita di Nyerere cambia. Gli impegni sono fitti, esigenti, complessi: non è più l’insegnante di una scuola, bensì il maestro di un’intera nazione da costruire.
Nel 1961 il Tanganyika, su 10 milioni di abitanti, può contare soltanto su: 1 ingegnere, 9 veterinari, 16 medici, nessun architetto e nessun magistrato. Un paese impreparato all’autonomia? Certo, ma la responsabilità non è degli autoctoni. Al riguardo Nyerere ragiona: «Non abbiamo mai accettato che il popolo fosse impreparato ad autogovernarsi, perché sarebbe come dire: ‘Tu non sei pronto a vivere, tu non sei pronto ad essere uomo’»(5).
Nyerere parla di «indipendenza di bandiera»(6), un punto di partenza per restituire al paese la sua anima. Il presidente non dimentica gli insulti «ehi, tu, bastardo!», subiti dal «bianco»: hanno inoculato nel «nero» il virus del complesso d’inferiorità. Tuttavia, pur comprendendo il risentimento dei connazionali, non approva contro gli europei frasi quali «questi cani!»(7).
La nave dell’indipendenza prende il largo, raggiungendo traguardi significativi fra burrasche e bonacce. Al timone c’è Nyerere, presidente della nazione e del partito TANU (Tanganyika African National Union).

Date significative
26 aprile 1964: nasce il Tanzania dall’unione tra Tanganyika e Zanzibar. Il motto della nuova nazione è «libertà e unità».
5 febbraio 1967: con la dichiarazione di Arusha il Tanzania diventa socialista secondo l’ideale dell’ujamaa. Il termine swahili significa «famiglia allargata» da allargarsi: quindi comunità e fratellanza. Bisogna vivere e lavorare tutti insieme in «villaggi socialisti», scelti liberamente.
1974, agosto e mesi seguenti: poiché i tanzaniani sono reticenti di fronte al progetto «villaggi socialisti», vengono obbligati con la forza a costituirli. È una «tempesta» con gravi disagi. Ma il regime di Nyerere tiene. I risultati economici sono stitici. In compenso l’alfabetizzazione supera il 90%.
5 febbraio 1977: nasce il Partito della Rivoluzione (Chama cha Mapinduzi: CCM). Ha origine dalla fusione del Tanu (partito del Tanzania continentale) con l’Afro Shirazi Party (partito di Zanzibar). Nel paese vige «il sistema del partito unico», senza un’opposizione costituita.
30 ottobre 1978: Idi Amin Dada, dittatore dell’Uganda, invade il Tanzania. Tra i due paesi è guerra. Il 2 settembre del 1979 Nyerere festeggia la vittoria. Ma il paese è squattrinato.
1984: anno cruciale per il Tanzania, che rischia di ritornare Tanganyika e Zanzibar, date le spinte separatiste. Il presidente resiste.
25 novembre 1985: dopo 24 anni di potere-servizio, Julius K. Nyerere si ritira. Tuttavia regge il Ccm fino al 1990.
Un giorno confida: «Nel 1997 alla Banca Mondiale di Washington mi chiesero: Perché hai fallito? Risposi dicendo che l’Impero Britannico ci aveva consegnato un paese con l’85% di analfabeti, mentre quando mi ritirai (1985, ndr.) erano il 9% e il reddito pro capite era il doppio di quello attuale (1997, ndr.). Inoltre ricordai che oggi (1998, ndr.) abbiamo un terzo di bambini in meno a scuola, mentre la sanità e i servizi sociali sono in rovina. Eppure, in questi 13 anni, il Tanzania ha fatto tutto ciò che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale gli hanno imposto di fare. Allora fui io a chiedere: Voi, perché avete fallito?»(8).

Gli ultimi anni
Con il nuovo presidente Ali H. Mwinyi e i suoi successori tutto cambia in Tanzania, specialmente dopo il crollo del muro di Berlino (1989). Si instaura il pluripartitismo.
L’ex presidente, dal villaggio natale di Butiama, dove vive nella sobrietà coltivando i campi, non lesina consigli. Ricorda che «la giustizia è la garanzia della pace» e ai giovani addita il servizio civile quale strumento di unità politica e religiosa(9).
A livello internazionale il mwalimu gode di grande prestigio. Ecco perché gli sono affidate «missioni impossibili»: vedi l’intesa fra tutsi e hutu in Burundi, facendo pressione sui primi (in minoranza, ma detentori del potere) per una maggiore giustizia verso i secondi (in maggioranza).
Il 5 marzo 1999 a Dar Es Salaam si inaugura la prima «università popolare aperta» (Open University). È il sogno di Nyerere da 20 anni. Il primo laureato in Lettere, honoris causa, è l’ex presidente, vecchio e ammalato. È l’ultima comparsa in pubblico ad alto livello dell’ex pastore di capre, figlio del capo. Infatti, poco dopo, il 14 ottobre 1999 Julius Kambarage Nyerere muore a Londra di leucemia.
Il giorno seguente il giornalista Tom Porteous scrive: «Non era né arrogante né banale, ma onesto e sincero, dedito alla famiglia e leale (fin troppo) verso gli amici. Il rispetto e la devozione che godeva presso il popolo li ricambiava con una dedicazione totale al suo impegno di capo dello stato. Pronto a riconoscere i suoi errori, era flessibile e pragmatico, senza tuttavia scendere a compromessi con la sua cristallina fede cattolica e con i suoi ideali di umanista e socialista»(10).

Nyerere è uno schiaffo a non pochi leaders, che sottomettono dignità e libertà, giustizia e pace al successo e tornaconto personale attraverso ostentate autocelebrazioni, turpi avventure sessuali, smaccate demagogie, sfrenate ricchezze.
Julius K. Nyerere è il maestro, il presidente, il padre della patria. Qualcuno si spinge molto più in là: auspica che sia proclamato «santo». Se sono rose…

di Francesco Beardi

Note

  1) Secondo E. R. Katare, invece, le mogli di Burito Nyerere furono 22 (cfr. E. R. Katare, Julius Kambarage Nyerere: falsafa zake na dhana ya utukufu, Dar Es Salaam 2007, p. 22).
  2) Il padre di Nyerere, Burito, rimase attaccato alle credenze tradizionali. Il figlio Julius raccontò: «Quando i missionari cristiani cercavano di convertire mio padre, egli prima li ascoltava, poi era lui a far loro la predica ed essi se ne andavano tranquilli. Quando i missionari gli dicevano ‘ama tuo fratello’, egli rispondeva ‘sono d’accordo con voi’. L’unico fatto che i missionari rimproveravano al vecchio erano le sue 21 mogli» (William E. Smith, Nyerere of Tanzania, London 1973, p. 34).
  3) Cfr. Missioni Consolata, gennaio 2000, p. 18.
  4) Julius K. Nyerere, Freedom and Unity / Uhuru na Umoja, Dar Es Salaam 1966, p. 72.
  5) William E. Smith, op. cit., p. 63.
  6) Espressione riportata da www.missionaridafrica.org
  7) Cfr. William E. Smith, op. cit., p. 49.
  8) Da un’intervista a Nyerere (dicembre 1998), riportata da www.culturacattolica.it
  9) Cfr. Sunday News, October 9, 1988, e Daily News, July 9, 1966.
10) The Indipendent, October 15, 1999.

Francesco Beardi

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