Di guerra in guerra


Nel mondo un’inflazione di conflittualità

Esaminando i dati sulle guerre in essere, si scopre che dal
1945 la conflittualità nel mondo è in costante aumento. Per ragioni
ideologiche, per conquistare il governo, per motivi etnici, per controllare le
risorse naturali. Il panorama e le prospettive sono desolanti. Tanto che papa
Francesco parla di «Terza guerra mondiale».


Quanti conflitti si stanno consumando nel mondo? Non è
possibile dare una risposta esauriente e definitiva a questa domanda visto che,
a seconda dei vari criteri di analisi, il numero, l’intensità e la tipologia di
violenza possono risultare sensibilmente diversi da uno studio all’altro.

Una valutazione complessiva, però, la si può dare, e non è
certo positiva: nel corso del 2013, la tendenza a risolvere le divergenze con
le dispute armate è stata in costante aumento.

I dati di Uppsala

Il principale rapporto su cui molti analisti e studiosi
basano le proprie osservazioni sul tema viene stilato annualmente dal
Dipartimento di pace dell’Università di Uppsala, in Svezia.

L’istituto svedese divide l’intensità e la gravità degli
scontri secondo parametri che tengono conto sia del numero di vittime accertate
nel corso dell’intero anno, sia delle parti in causa coinvolte.

Secondo questo criterio si può parlare di guerra conclamata
solo se i morti superano le 1.000 unità, mentre se le vittime accertate sono
comprese tra un minimo di 25 e un massimo di 1.000 lo stato di belligeranza
viene declassificato come conflitto minore.

Un altro principio utilizzato dagli studiosi di Uppsala per
accertare la tipologia di scontro è l’identificazione degli attori coinvolti
nelle operazioni belliche, generalmente forze armate governative o gruppi
militari organizzati (anche se privi di una sigla o di un nome ufficiale) le
cui azioni si concentrano contro la popolazione civile.

Secondo l’Uppsala
Conflict Data Program
(Ucdp), nel 2013 erano in atto 7 guerre con più di
mille vittime all’anno e 18 conflitti armati (vedere il riquadro).

Gli scontri più sanguinosi si sono registrati in Siria
(73.455 morti), nel Sud Sudan e in Messico, nella guerra delle cosche per il
controllo del traffico di droga (ognuna con più di 10.000 morti). A ruota
seguono il conflitto iracheno (7.818 morti), quello in Afghanistan (5.648),
Pakistan (5.366), Nigeria (1.614), Egitto e Repubblica Centrafricana (più di
1.000).

In due stati i conflitti sono diminuiti di intensità (Rwanda
e Azerbaijan), ma in compenso nel 2014 si sono aggiunti il conflitto ucraino
(che a luglio 2014 ha già causato più di 1.100 morti) e la guerra
israelo-palestinese ha avuto, dopo alcuni anni di relativo stallo, una nuova
recrudescenza (8 luglio – 26 agosto 2014) con l’invasione di Gaza da parte
delle forze israeliane e un bilancio di circa 2.200 morti (2.100 palestinesi e
72 israeliani).

Rispetto al 2013, nei primi mesi del 2014 si sono registrati
aumenti di vittime in conflitti di bassa intensità nel Nagoo Karabakh,
Azerbaijan (da 2 a 16), nello Xinjiang, Cina (da 88 a 103), nello Yemen (da
230-250 a più di 400), nella Repubblica Democratica del Congo (da 63 a 288), in
Libia (da 165 a più di 500), nel Mali (da 9 a circa 100).

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Piergiorgio Pescali