I Perdenti 5. Montezuma e Atahualpa

 

Montezuma (1466 circa – 29 giugno 1520),
ultimo imperatore azteco, prima di salire al potere era un capo locale
lungimirante e un buon amministratore. Fra i suoi compiti c’era anche quello di
esercitare il sacerdozio a servizio degli dei del suo popolo. Dopo la sua
ascesa al trono nel 1502, tutto cambiò: divenne dispotico e violento,
superstizioso e con un carattere insicuro e altalenante. Il giorno della sua
incoronazione fece uccidere diverse migliaia di prigionieri sacrificandoli agli
dei perché lo proteggessero e lo custodissero lungo tutta la sua vita.

Le poche volte
che si mostrava ai suoi sudditi si presentava sempre con abiti sfarzosi ed
eleganti. Viveva in una enorme reggia dove le sue due mogli e le numerose
concubine erano circondate da un lusso inimmaginabile.

Atahualpa (20 marzo 1497 – 23 agosto 1533), è
stato l’ultimo sovrano dell’Impero Inca, giunto al potere dopo aver sconfitto
il fratellastro Huascar alla fine di una lunga guerra civile, regnò di fatto
solo un paio d’anni, quelli cruciali dell’incontro delle due culture indigena
ed europea. Nelle diverse biografie che ci sono giunte viene presentato come un
sovrano che goveò senza saggezza il vasto impero che aveva conquistato. Di
famiglia nobile, era legato con vincoli di parentela alle famiglie che
controllavano porzioni del suo territorio, una situazione instabile che di
volta in volta determinava conflitti o accordi precari con vari maggiorenti
dell’impero.

Voi due siete gli
ultimi sovrani degli imperi Azteco e Inca. Avete vissuto un momento cruciale
della storia dei vostri popoli: l’incontro con due personaggi come Hean
Cortés e Francisco Pizarro, che incarnavano la sete di conquista e la bramosia
di ricchezza dei conquistadores.


Parlateci un po’ di voi, come si svolgeva la vita della vostra gente prima
dell’arrivo degli spagnoli?

Montezuma: Considerando che l’impero Azteco di
cui io ero il monarca assoluto, aveva praticamente sconfitto tutte le popolazioni
(Maya compresi) che vivevano in quello che adesso è grosso modo il territorio
del Messico, del Guatemala e di altri paesi centroamericani, si può dire che
vivevamo senza grosse preoccupazioni e con un certo benessere.

Atahualpa: Noi Incas vivevamo in quello che
adesso è il territorio del Perù, dell’Ecuador e del Nord del Cile. Un
territorio immenso di difficile controllo, tant’è vero che una delle attività
principali dei sovrani incaici era appunto quella di mantenere in buono stato
una rete di strade e sentirneri per far sì che i funzionari potessero arrivare
nel più breve tempo possibile fino ai villaggi posti agli estremi confini
dell’impero.

L’arrivo dei
conquistadores fu allora come un fulmine a ciel sereno.

Montezuma: In un primo momento fummo affascinati
da questi uomini bianchi dalle lunghe barbe, benché puzzassero oltre ogni
immaginazione; avevano strani bastoni lucenti che provocavano il tuono e la
folgore e ancora più strani ed enormi animali dai piedi di argento.

Atahualpa: Il fatto di vederli sopra quelle
bestie che noi non avevamo mai visto, in quanto gli animali più grossi presenti
nelle nostre terre erano il lama, l’alpaca e la vicuña, li rendeva ai nostri
occhi delle persone eccezionali, capaci di percorrere distanze molto superiori
a quelle che abitualmente facevamo noi a piedi.

Avevate coscienza che
prima o poi sarebbero arrivate genti da Oriente?

Montezuma: Rileggendo alcuni fatti antecedenti
l’arrivo dei conquistadores, capimmo una vecchia leggenda che annunciava alcuni
segni premonitori del crollo dell’impero Azteco. Infatti negli ultimi tempi era
apparsa una cometa in pieno giorno, alcuni avevano visto una colonna di fuoco
nel cielo notturno, un fulmine aveva colpito il tempio dei sacrifici e c’era
stata un’inondazione spaventosa come non se ne erano viste mai. Tutti segni di
morte che non lasciavano prevedere niente di buono per il futuro.

Atahualpa: I nostri saggi si tramandavano da
generazioni una profezia che parlava di genti diverse provenienti dal mare e da
terre lontane. Essi non entravano nei dettagli per non spaventare il popolo con
i foschi presagi della distruzione del nostro impero.

Quando vi siete
trovati davanti i conquistadores, qual è stata la vostra prima reazione?

Montezuma: Quando gli uomini bianchi arrivarono
nella nostra città, noi andammo loro incontro accogliendoli con tutti gli onori
dovuti agli ospiti e cercammo in ogni modo di soddisfare le loro richieste.

Atahualpa: Visto che non erano neanche un
centinaio, non mi preoccupai più di tanto, anzi, pensavo che proprio
l’accoglierli come ospiti di riguardo avrebbe permesso a me e alla mia gente di
vivere in pace con loro.

Quindi li faceste
entrare nei vostri palazzi.

Montezuma: Riservai a Cortés, il loro capo, uno
degli appartamenti regali e lasciai che i suoi uomini si sistemassero nelle
case di Tenochtitlan.

Atahualpa: Anch’io feci alloggiare il
comandante Pizarro in una casa riservata alla nobiltà, mentre i suoi uomini
venivano ospitati dalla gente che viveva vicino al palazzo imperiale.

Però dopo poco tempo
vi rendeste conto di quale fosse ciò che stava più a cuore a questi uomini.

Montezuma: Essi non facevano altro che
chiederci dove potevano trovare l’oro, se questo minerale fosse lontano dalla
costa e di come avrebbero potuto trasportarlo rapidamente alle loro navi.

Atahualpa: Anche da noi sembrava che la
richiesta maggiore fosse legata proprio all’oro, da noi utilizzato solo per
rendere più lucenti determinati oggetti di uso domestico.

Ma voi li sentivate
come avversari e nemici o come ospiti che, come erano giunti, prima o poi se ne
sarebbero andati?

Montezuma: La loro insistenza nel richiedere
oro e nell’avanzare pretese di ogni tipo riguardo le nostre donne, insinuò in
noi il dubbio che non fossero poi tanto cordiali come volevano presentarsi.
Anzi!

Atahualpa: Considerando le armi che possedevano
e gli animali che avevano, pensai addirittura di farmeli alleati per
fronteggiare eventuali nemici che insidiassero il mio Regno.

Come arrivaste ad
avere un conflitto con loro?

Montezuma: Ogni giorno che passava i nuovi
arrivati si comportavano sempre più da padroni, si appropriarono di quella che
era la nostra terra e quello che è peggio, prendevano i nostri giovani e li
facevano lavorare per loro trattandoli come schiavi.

Atahualpa: Si installarono nel mio palazzo e
praticamente mi tolsero ogni libertà di azione, pur rimanendo io il capo del
mio popolo, erano loro che davano gli ordini. Per la mia libertà arrivarono a
chiedere un riscatto: riempire un grande locale con tutto l’oro che riuscivamo
a trovare. Purtroppo anch’io caddi nella loro trappola invitando il mio popolo
ad assecondare i loro desideri.

Oltre a queste
richieste, ci furono altri motivi di attrito tra voi e gli spagnoli?

Montezuma: Cortés, comandante degli spagnoli,
diede ordine ai suoi uomini di distruggere tutte le immagini dei nostri dei e
le decorazioni sacre che li onoravano. Mentre compivano queste devastazioni, la
folla si sollevò dando così il pretesto per un eccidio che passò alla storia
come «Massacro del Tempio Grande». Per evitare ulteriori sofferenze mi
affacciai al balcone invitando la mia gente a ritirarsi. Credendo che io fossi
complice di quell’efferatezza, il mio popolo scagliò pietre e frecce anche contro
di me.

Atahualpa: I notabili spagnoli mi dissero che
essi erano giunti nelle mie terre perché il mio popolo si convertisse al
cristianesimo e noi riconoscessimo l’autorità di Re Carlo I di Spagna. Risposi
che io non sarei mai stato sottomesso a nessun re, a quel punto Pizarro diede
l’ordine di attaccare i miei uomini e di distruggere tutto ciò che trovavano
sul loro cammino. Fu una vera ecatombe, morirono migliaia di Incas, mentre io
durante la battaglia rimanevo in piedi circondato dai nobili più fedeli. Alla
fine fui catturato e imprigionato nel Tempio del Sole.

Questi avvenimenti
così drammatici posero fine alla vostra vita?

Montezuma: Ferito dalle pietre e dalle frecce
che mi avevano tirato, caddi a terra circondato dai conquistadores, i quali dopo
alcuni giorni mi tolsero la vita facendomi ingerire oro fuso.

Atahualpa: Nonostante il pagamento dell’enorme
riscatto, venni processato e condannato a bruciare sul rogo. Se avessi
accettato di convertirmi al cattolicesimo la mia pena sarebbe stata commutata.
Nella mia cultura era importante conservare l’integrità del corpo per accedere
all’immortalità, pertanto accettai di essere battezzato e fui ucciso mediante
strangolamento.

 

Con la morte dei loro
capi, il popolo Azteco e quello Inca, attraversarono un momento di sbandamento,
iniziarono la loro parabola discendente e vennero soggiogati dai nuovi
arrivati. La storia di queste comunità quindi, si mescola con la storia di
altri popoli precolombiani che subirono la stessa sorte. Gli spagnoli,
conquistate le loro terre, li inglobarono nella nuova realtà e nella società
che stava nascendo. Sterminate in larga misura le popolazioni amerinde e fatti
arrivare

dall’Africa gli
schiavi neri per sopperire alla scarsità di mano d’opera per le immense
coltivazioni che si avviavano in quegli anni, il continente americano diede
vita a una nuova umanità. Ben riassunta, questa, da una lapide posta nella
piazza delle Tre Culture a Città del Messico per ricordare l’incontro-scontro
fra popoli diversi, dove sono scolpite queste suggestive e commoventi parole:
«No fue triunfo ni derrota. Fue el doloroso nacimiento del pueblo mestizo que
es el Mexico de hoy». (Non fu trionfo né sconfitta. Fu la dolorosa nascita del
popolo meticcio che è il Messico di oggi).

Don Mario Bandera, Missio Novara

Mario Bandera