Pillole «Allamano» 6. Siate forti, energici e virili nell’apostolato

Poche settimane fa,
un mio caro confratello portoghese mi comunicava che la madre superiora di un
convento di suore contemplative gli aveva affidato il compito di preparare
alcune «palestre» che potessero aiutare spiritualmente le sorelle della
comunità. Associare però l’età media delle monache nonché agli acciacchi che
non le risparmiano alle «palestre» che le attendevano mi ha fatto pensare che,
forse, qualcosa non andava. Premetto che il confratello portoghese parla
italiano in maniera pressoché perfetta, ma, pur essendo lui stesso un atleta,
qualcosa mi faceva dubitare del fatto che gli fosse stato chiesto di far fare
della ginnastica alle suore, e che piuttosto mi trovavo dinnanzi a uno dei
tanti «falsi amici» di cui le nostre lingue neolatine sono ricche. Con il
termine «palestra» in portoghese si intende infatti una conferenza e, per
estensione al nostro gergo religioso, una breve giornata di ritiro e
meditazione spirituale.


Ho ripensato a questo
piccolo qui pro quo riflettendo sul titolo della «pillola» allamaniana di
questo mese: «Siate forti, virili, energici», tutta roba da palestra, verrebbe
da dire. Che il culto del fitness,
del muscolo scolpito che tanto di moda va in questi giorni, sia proposto dal
nostro Fondatore come modello per l’evangelizzatore? Certamente questo non è il
caso … o forse sì, almeno in parte.


Oggi mi concedo qualche riga di questo articolo
seduto nella cappella della nostra comunità di Yeokgok, una delle tante città
satellite dell’hinterland di Seul, capitale della Corea del Sud. Sono le
sei e mezza del mattino e attendo che arrivino le prime persone che
parteciperanno alla messa delle 7. Già da almeno un quarto d’ora, come ogni
giorno, alcune donne hanno iniziato a fare ginnastica aerobica nel giardinetto
pubblico antistante. Si tratta di persone che nel giro di poche ore verranno
risucchiate e triturate nel ritmo impressionante della macchina produttiva
coreana, ma che non disdegnano la possibilità di perdere un po’ di tempo e un
po’ di peso in un’attività fisica che permetterà loro di affrontare gli stress
di un difficile quotidiano con energia e benessere. Tutte le mattine quelle
donne sono lì, a fare palestra.

Quante
volte mio fratello ha provato a convincermi della necessità di fare lo stesso,
lui che da una vita fa e fa fare sport. La sua specialità è scalare rocce,
cercando appigli infinitesimali, appoggiando i piedi sull’inesistente. Per far
ciò c’è bisogno di energia, forza, ma soprattutto di grande disciplina, cosa
che ti aiuta a contemplare il bello in ciò che altri vedono soltanto come
inutile fatica, fino al punto da diventare un testimonial di questo
benessere.

Tempo
fa avevo l’occasione di passare sovente davanti a una di quelle palestre che
mettono i muscoli dei propri clienti in vetrina. La miglior pubblicità la facevano
proprio loro, impiegati, studenti e casalinghe, sbuffando come treni su
cyclette ancorate saldamente al suolo, ma immaginariamente lanciate verso la
volata finale della Parigi – Roubaix. La loro fatica e lo sforzo visibile
diventavano un messaggio immediatamente percepibile: anche tu ce la puoi fare,
entra, suda e starai bene.

Giuseppe
Allamano
sapeva che una missione esigente come quella che attendeva i suoi
missionari poteva essere portata avanti soltanto grazie a un fisico capace di
reggere le difficoltà di una vita spartana e a uno spirito forte, volitivo,
intransigente. Soprattutto, era convinto che disporre di queste caratteristiche
presupponeva una grande disciplina e tanto allenamento. Prima di lui, lo stesso
san Paolo aveva detto qualcosa di simile parlando della sua missione, della
volontà che lo animava a fare tutto per il Vangelo, e a farlo per tutti (cfr.
1Cor 9, 22-23). Anche lui prevedeva la necessità di un allenamento spietato: «Io
dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi
batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù
perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso
squalificato» (1Cor 9, 26-27). Chiaramente, qui c’è in gioco ben di più che il
semplice benessere fisico.

E
noi, non potremmo dire la stessa cosa parlando della missione che ci attende
oggi? Che cosa potrebbe voler significare «essere energici, forti e virili
nell’apostolato» per noi, cristiani e missionari nell’Europa attuale? Il
termine «virili» a noi suona male perché sembra escludere tutte le missionarie
che operano per la causa e la diffusione del Vangelo. Useremo perciò il termine
nella sua accezione più vasta che comprende varie sfumature, tutte utili a
chiarire il concetto che l’Allamano vuole trasmetterci: forza, maturità,
risolutezza, coraggio, determinazione. Del resto, l’Allamano voleva che le sue
stesse missionarie potessero avere queste caratteristiche ben marcate in modo
da poter affrontare il rigore della missione dei suoi tempi con sufficiente
disinvoltura.

Un
missionario con queste caratteristiche è dunque un missionario capace di
compiere un lavoro adesso o di essere potenzialmente in grado di poterlo fare
in futuro, consapevole e convinto di ciò in cui crede, perseverante nella sua
missione e con la forza fisica e spirituale sufficiente per portarla avanti.

Detto così, assumere la pillola di questo mese
parrebbe un lavoro per Superman, ma non lo è.
La miglior prova di questo è che
ci è prescritta dallo stesso Allamano, un uomo forte ed energico
spiritualmente, ma fisicamente limitato al punto da dover rinunciare ai suoi
sogni missionari di gioventù per dedicarsi a un’attività che, geograficamente
parlando, non si sposterà mai molto dalla sua Torino.

Giuseppe
Allamano scopre un modo suo di essere missionario, con un’inventiva e una
capacità di visione davvero grandi. Crea e dirige l’avventura evangelizzatrice
dei suoi missionari e delle sue missionarie a partire dal Santuario della
Consolata. Una volta capito e individuato il fine della sua vocazione, energia,
forza, determinazione e perseveranza vengono messi completamente al servizio
della missione che si concretizzerà nella fondazione di due Istituti missionari
e nell’invio di tanti altri preti, fratelli e suore.

Personalmente
si riserva di frequentare altre frontiere, più nascoste e a volte più
insidiose, quelle che si snodano nei meandri del cuore dell’uomo. Fisicamente,
la missione non lo porta lontano ma spiritualmente arriva dappertutto.
L’energia che gli occorre per portare avanti tutto il suo lavoro è sempre
molta. Ci vuole allenamento, perseveranza, fatica; anche il lavoro spirituale
ha bisogno di ore di palestra.

Una
missione così caratterizzata impedisce a coloro che la vivono di presentarsi al
mondo come persone accidiose, fiacche, indecise, deboli. L’Allamano rifuggiva
le mezze volontà, il non essere né caldi né freddi. La passione riscalda e il
Vangelo se servito tiepido e senza sale viene facilmente lasciato nel piatto.
Nessuno vuole imporre la propria fede, ma proporla con appassionata e
instancabile determinazione, questo sì.

Il missionario in Europa si affaccia a un contesto
culturale liquido, e al contatto con esso il rischio di trasformarsi in
poltiglia o fango è più che reale. Non è facile annunciare Gesù Cristo con la
forza, l’energia e la determinazione di un San Paolo senza correre il rischio
di essere banalizzato, cancellato o, ciò che succede in massima parte,
totalmente ignorato. In una società come la nostra dove trionfa la legge del «mi
piace», dove molti sposano il relativismo pensando che sia l’unica condizione
per poter essere veramente liberi, essere Vangelo non è facile: annunciare un
messaggio eterno e vedersi rimossi nello spazio di un click è sicuramente
un’esperienza che non fa piacere. La rapidità che il mondo d’oggi richiede per
competere è sicuramente un elemento da non sottovalutare. Sono rapide e
frenetiche le relazioni, lo è la routine di una famiglia, lo è il tempo che
porta un giovane dalla pubertà alla noia del déjà-vu, senza più riti di
passaggio a segnare una crescita graduale.

È un
mondo che non va demonizzato. In fondo è la realtà in cui tutti sguazziamo. È
un mondo, anzi, che richiede energie per essere capito e studiato, fortezza per
sostenee l’impatto, determinazione e perseveranza per poter offrire una
narrazione differente, un messaggio basato sulla solita storia di Gesù, così
vecchia e allo stesso tempo così straordinariamente nuova.

Giuseppe Allamano voleva che i suoi si dedicassero
senza risparmio allo studio dell’ambiente e della cultura
. Quanto valga tutto
ciò per la cultura Occidentale di oggi, così incredibilmente ricca e
altrettanto incredibilmente sfuggente, è sotto gli occhi di tutti. La prima
regola per entrare con discrezione e educazione in una cultura è quella di
imparare la lingua delle persone che la vivono. Bisogna dedicarsi con energia a
imparare i linguaggi della nostra società, quello dei giovani, della
comunicazione, il nuovo linguaggio dei poveri.

Come «palestra»
ed esercizio per temprarsi all’attività missionaria Giuseppe Allamano suggeriva
anche il lavoro manuale, quello che allena alla fatica e alla costanza,
insegnando nel contempo a sporcarsi le mani. Credo che questa dimensione del
lavoro vada riscoperta e vissuta perché è alla base di quella straordinaria
rete di gratuità e di volontariato che è stata capace di costruire solidarietà
e chiesa per tanti anni e che si sta purtroppo perdendo.

Francesco,
il nostro papa, si pone su questa linea energica e vigorosa. Nel magistero di
Francesco si ritrovano con forza molti temi della missione di sempre, ripetuti
con insistenza proprio per dare coraggio agli agenti dell’evangelizzazione:
uomini e donne di ogni età, invitati a uscire con il sorriso sulle labbra dalle
loro case per annunciare Gesù Cristo al mondo, con addosso il fuoco della
missione, con la passione per Cristo e il suo Vangelo. Un’immagine, quella del «fuoco
della missione» che appartiene al gergo di Giuseppe Allamano, tanto attuale
ieri come oggi.

È
interessante notare come nella prospettiva di Francesco perdano abbastanza di
significato le categorie di prima o seconda evangelizzazione. L’importante è
uscire e annunciare; la differenza la fa il soggetto che riceve l’annuncio. Ciò
che è veramente importante è la qualità dell’apostolato, che deve essere
fedele, pieno di zelo, coerente e convinto; in altre parole «forte, energico e
virile», e per questo motivo bisognoso di tanta, tanta «palestra».

Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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