Pillole «Allamano» 3: una religione che rende felici qui  

3. Amate una
religione che vi offre le promesse di un’altra vita e vi rende più felici sulla
terra.

Se una pillola non
aiuta a star bene, perché prenderla? Questo semplice e lapalissiano principio
vale anche per le pillole dell’Allamano: prima di somministrarle bisogna essere
perlomeno convinti del loro effetto benefico. La bontà di un prodotto va
certificata con tanto di risultati.

La pillola di questo
mese parla di felicità, il fine ultimo del cammino esistenziale di ognuno.
Tutti gli uomini desiderano la felicità e si sforzano di raggiungerla, anche se
molte volte danno all’oggetto della loro ricerca un nome diverso. Esiste
davvero una pillola che aiuti a essere felici, visto e considerato che molte
persone non si possono, oggi, dichiarare certamente tali?

Colui
che crede dovrebbe avere una risposta pronta da offrire, una soluzione in grado
di soddisfarlo nel suo percorso di ricerca e pronta per essere condivisa con
tutti: il cammino di fede fa dire al credente che la meta agognata non può
essere altri che Dio, che è lui la vera felicità. Il desiderio di Dio, per il
cristiano, è scolpito a chiare lettere nel cuore dell’uomo, e Dio, da par suo,
non smette un secondo di attirare a sé la sua creatura, proprio perché la vuole
felice.

Chiaramente ci si trova di fronte a una difficoltà: se
Dio è la felicità e il suo profondo desiderio è che tutti gli uomini siano
felici, perché, di fatto, la cosa non si verifica? In effetti, il cristiano è
convinto che non sia sufficiente il puro e semplice sforzo dell’uomo per raggiungere
Dio-felicità: la felicità è grazia, dono. Tuttavia, per ricevere tale regalo,
l’uomo deve collaborare attraverso delle scelte che gli permettano di aprirsi
alla grazia, dono gratuito di Dio. L’azione umana non è l’unica né la
principale causa del conseguimento della felicità, ma è tuttavia indispensabile
proprio perché il dono di Dio possa essere liberamente accolto. Questa, in
poche parole, è la teoria; in pratica le cose non sono così semplici. Oggi, in
effetti, il mondo Occidentale è abbastanza scettico rispetto a quanto passa la
Chiesa in materia. In uno dei suoi ultimi saggi, il filosofo Umberto Galimberti
analizza il fenomeno della «perdita del sacro» che colpisce la cristianità in
generale, rendendo il cristianesimo, agli occhi di coloro ai quali si rivolge,
una religione dal cielo «vuoto», che rivela il nulla. La de-sacralizzazione del
mondo ha fatto perdere all’uomo la fiducia nella possibilità di un Dio
trascendente, totalmente altro. Se Dio è felicità, secondo Galimberti, da
questa felicità il mondo si è separato, ne ha decretato la morte, l’ha rescissa
dalla propria storia.

Dire che la felicità risiede in Dio a un interlocutore
che da Dio si è separato potrebbe significare iniziare un dialogo tra sordi che
non porta a nulla. Eppure, se ci pensiamo con attenzione, molte delle catechesi
e delle omelie che ascoltiamo, o dei contenuti religiosi che portiamo nelle
nostre discussioni di tutti i giorni sono impostati su questo postulato, calato
dall’alto come una verità che è inoppugnabile per chi crede, ma che lascia
invece le altre persone scettiche o, nella maggior parte dei casi,
completamente indifferenti.

La pillola dell’Allamano di questo mese, ci aiuta ad
affrontare il tema da un altro punto di partenza, sicuramente più evangelico,
con un approccio pedagogico «dal basso», che tiene conto delle persone e non
solamente delle nostre convinzioni personali. Curiosamente, la formulazione non
è propriamente «farina del suo sacco», ma ha bensì un’origine addirittura
papale.

La frase contenuta nella pillola di oggi, è stata
scritta da Giuseppe Allamano in una lettera indirizzata ai missionari del
Kenya, datata 2 ottobre 1910. In quella lettera l’Allamano ricordava che se
desideravano conseguire frutti dovevano far sì che il loro lavoro fosse:
perseverante, concorde e illuminato. I primi due aggettivi non necessitano qui
di grande approfondimento, mentre è proprio a proposito dell’ultima
caratteristica che il fondatore ci offre la sua pillola.

L’accento è posto sul metodo missionario: l’Allamano
vuole che esso parta da un contatto ravvicinato con la gente, con i suoi
bisogni e i suoi problemi. Tale metodo aveva avuto la necessaria consacrazione
con il Decreto di approvazione da parte di Propaganda Fide e con le
parole benedicenti di papa Pio X, riportate dall’Allamano nella lettera citata.
Con le sue parole, lodando e approvando il metodo missionario dell’Istituto, il
pontefice esprimeva il seguente concetto: «Bisogna degli indigeni fae tanti
uomini laboriosi per poterli fare cristiani: mostrare loro i benefici della
civiltà per tirarli all’amore della fede: ameranno una religione che oltre le
promesse d’altra vita, li rende più felici su questa terra». Più felici su
questa terra: prima di fare il cristiano occorre fare l’uomo, un uomo «laborioso»,
capace di apprezzare i «benefici della civiltà» ed essere quindi anche attratto
all’amore della fede.

Un
approccio di questo tipo impegna oggi il cristiano a due livelli. Il primo è
quello della
testimonianza. I cristiani sono chiamati a essere
testimoni della loro fede come possibilità per vivere una vita felice. Come
scrive Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, nel suo saggio Le vie
della Felicità. Gesù e le beatitudini
(Rizzoli, Milano 2010): «Noi
cristiani dovremmo saper mostrare a tutti gli uomini, umilmente ma
risolutamente, che la vita cristiana non solo è buona, segnata cioè dai tratti
della bontà e dell’amore, ma è anche bella e beata, è via di bellezza e di
beatitudine, di felicità. Chiediamocelo con onestà: il cristianesimo testimonia
oggi la possibilità di una vita felice? Noi cristiani ci comportiamo come
persone felici oppure sembriamo quelli che, proprio a causa della fede, portano
fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un giogo pesante e
oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Mt 11,30)?».

Chi vive nel concreto la logica delle beatitudini assume
in sé uno stile di vita, copiato sulla matrice dello stile di vita incarnato da
Cristo. Siamo, certamente, al limite del paradosso cristiano. La sequela di
Cristo è esigente, significa passare per la porta stretta e abbracciare la
croce che può assumere nel concreto diversi aspetti: servizio, sofferenza,
impegno radicale e senza compromessi, persino martirio. Ciononostante, le
beatitudini, la Magna Charta del cristiano, sono, in sé, una vera e
propria chiamata alla felicità.

In una società come la nostra dove l’indifferenza e il
relativismo esprimono una chiara mancanza di senso nei percorsi esistenziali
delle persone, le beatitudini sono un aiuto a vivere con consapevolezza la
propria vita, nella ricerca di un perché capace di illuminare di senso il
nostro agire, vivere e morire, e, una volta realizzato, portare quindi alla
felicità.

Il secondo livello consiste invece nello sforzo di agevolare coloro che incontrano più difficoltà
a essere felici. È il livello della consolazione, del mettersi cioè a
fianco e camminare con coloro che sempre rimangono ai margini, attardati a
causa del peso di esistenze faticose. Come fare a pronunciare la parole felicità
di fronte a qualcuno che vive una «vita di scarto» o si sente in cuor suo di
sprecare la propria esistenza? Eppure sono proprio queste le persone che
esigono un inizio di felicità già su questa terra. Lo esige il senso di
giustizia che sta alla base di una vita serena, pacifica e, di conseguenza,
felice. Il povero che non riesce a uscire dal ciclo di miseria in cui è
entrato, il malato che si scontra con l’impossibilità di curare la sua infermità
o di lenire la sofferenza, l’afflitto che non riesce a sciogliere il nodo che
gli attanaglia il cuore, non possono accontentarsi, loro e gli altri come loro,
di ripetersi «piove sempre sul bagnato».

La Scrittura ci dice che piove sui giusti e sugli
ingiusti e nel rispetto di questa verità non può mancare l’impegno del
cristiano a trovare il modo di far sentire felice, già in questo mondo, le
persone che soffrono.

La
pillola non può essere un palliativo. Il Vangelo non serve come placebo. Papa
Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato è stato molto in sintonia con
questo approccio e ha pubblicato la sua prima Esortazione apostolica
intitolandola «Il Vangelo della gioia». Il cristiano deve essere un uomo
giornioso, felice della sua scelta, della sua vocazione e del sì detto senza
ripensamenti al Signore. Tale gioia, sperimentata in questa vita e testimoniata
nel quotidiano, diventerà motivo di speranza e gioia per gli altri, aprendo
finestre nelle chiuse camere di dolore e dando scampoli di vita felice a chi
invece aveva ormai perso la speranza di ritrovare una ragione per andare avanti.

Altre vie non sono possibili se vogliamo che la felicità
fragile ed episodica che possiamo sperimentare in questa vita porti alla
felicità solida e duratura promessaci da Dio come premio per il «sì» da noi
dato al suo programma di salvezza. Per esempio, l’illusione occidentale di
essere felici grazie al benessere, alla possibilità di pagare occasionali
momenti di beatitudine sta venendo meno giorno dopo giorno. La crisi che
l’Europa (e non solo) sta attraversando mette a dura prova la pretesa di poter
eternamente difendere a costo zero l’agio e il benessere costruiti in questi
anni.

Il consiglio spirituale che l’Allamano ci propone per
questo mese ci invita invece a scoprire, con le persone che incontriamo, che la
felicità si costruisce insieme, giorno dopo giorno, nella buona e nella cattiva
sorte, facendo uscire dalla nebbia un raggio di sole alla volta, fino a
ottenere la previsione di una giornata finalmente serena.

Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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