Cari Missionari

FILATELIA
Rev. p. Direttore,
ho letto, con piacere,
sul n. 11 di novembre 2012 che avete riesumato un’attività morta da molti anni:
la filatelia. Congratulazioni! Sono un vecchio abbonato e, in passato,
attingevo volentieri alle vostre offerte filatelico-numismatiche. So che un
tempo, con il ricavato dei francobolli, sostenevate i vostri seminaristi, sia
in Africa che in America Latina. Sarebbe bello poter continuare quell’opera
meritoria.
Mi piacerebbe anche
sapere se tra le donazioni che ricevete avete anche cartoline e buste, antiche
e modee; e i santini delle nonne, roba dell’800, e cartamoneta fuori corso.
In attesa di una sua risposta, la ringrazio per la sua attenzione. Preghiamo a
vicenda.
Gian Carlo Alessandri


Piacenza, 11/11/2012

Gentilissimi della Redazione,
nella pagina 5 della
rivista del novembre scorso ho letto la lettera di nonno Ludovico che vi fa
dono delle sue raccolte di francobolli a lui tanto care. Non sono per niente
d’accordo con le vostre risposte in merito. Pare che nonno Ludovico vi faccia
un dispiacere e che consideriate nulla la sua offerta. Se volete trasformare in
«polenta» la sua collezione dovrà essere polenta molto ma molto «biologica». Se
questo è ragionare da sacerdoti, allora! Penso che non pubblicherete questa
mia. A me basta che ci riflettiate sopra.
Bottoni Elena


Roletto, 08/11/2012

Sig. Gian Carlo,
è vero, un tempo su
questa rivista c’erano sempre delle pagine dedicate alla filatelia. Io stesso,
da studente di teologia, agli inizi degli anni settanta, cornordinavo il gruppo
filatelico del seminario attraverso il quale ci autofinanziavamo per procurarci
materiale audiovisivo per la catechesi. Poi i tempi e le regole sono cambiate,
ma l’attività filatelica non è mai morta sia perché ci sono sempre dei
benefattori che ci fanno dono delle loro collezioni, sia perché, anche tra i
missionari, chi è filatelico rimane filatelico per sempre. Noi siamo grati,
veramente, a chi ci aiuta anche attraverso i francobolli o tutti gli altri
oggetti da «mercatino» che lei menziona. Se sul numero di novembre e qui scrivo
alla sig. Elena ho dato l’impressione di disprezzare il dono del sig. Ludovico,
me ne dispiace. Non era certo mia intenzione, anzi. La mia risposta rifletteva
solo una po’ di amarezza circa la situazione della filatelia che, pubblicizzata
per anni anche come investimento sicuro per il futuro, si sta invece rivelando
un grande imbroglio ai danni degli appassionati.


Non voglio fare delle
polemiche sterili. Quanto sta succedendo ci dimostra ancora una cosa
importante: la filatelia si pratica solo per passione, non per lucro. Se poi
questa passione può aiutare chi è nel bisogno, tanto meglio. I francobolli
donati dal sig. Ludovico e da tanti altri ancora, attendono di essere
trasformati in «polenta biologica». Se qualcuno fosse interessato può scrivere
alla nostra email oppure direttamente a filatelia@missionariconsolata.it, e il
«padre filatelico-numismatico» sarà ben lieto di dare tutti i chiarimenti
necessari.

DOSSIER CONCILIO VATICANO
II

Caro p. Gigi,
uno, quando si alza il
mattino, dovrebbe iniziare la giornata con le Lodi. Io oggi ho iniziato col tuo
editoriale e ti scrivo subito. Vi ho trovato tutte cose che in teoria sapevo
già, ma il vederle lì belle, chiare, nette ecc. mi ha riempito di gioia. Il
constatare che tanti si sentono a posto, perché fanno le cose bene (preghiere
alle ore giuste, astensione dalle cai nel giorno stabilito, messa la domenica
sempre, l’elemosina quel tanto per sentirsi a posto), alle volte mi fa nascere
un po’ d’invidia. Anch’io infatti vorrei sentirmi tranquilla dentro per una
rigorosa osservanza dei precetti e essere felice e a posto davanti al Signore.
Una vita ricca di religione! Invece mai che mi riesca: le cose bene non le
faccio, e per di più la fede ogni giorno mi mette davanti delle scelte, anche
alla mia non più giovane età. Anche con i figli sovente too su questo
argomento e dico: io, come ho saputo e potuto, vi ho dato l’esempio; ora (da
tempo, perché i figli sono tutti negli “anta”) tocca a voifare prevalere la
fede sulla religione, ma non dimenticate la religione, perché, se praticata
bene, aumenta la fede e viceversa. Con i nipoti faccio lo stesso, ma è ben più
difficile. Continuo a seminare e mi dico: «Signore, io cerco di seminare al
meglio, ora irriga tu e fa’ crescere la pianta, se vuoi». Quel «se vuoi» mi
mette allegria, perché so che anche Lui è coinvolto nel mio lavoro di
educatrice, e io sono coinvolta nel Suo di creatore e redentore. Che ne dici?
Sono fuori strada?

In quanto al Vaticano II,
iniziò pochi giorni dopo il mio matrimonio ed ero alle prese con la tesi di
laurea che conseguii a febbraio mentre ero incinta della nostra prima figlia,
felice più per la creatura che portavo dentro di me che per aver raggiunto la
tanto agognata meta. Leggevo sui giornali del Concilio (ero fissa a quello di
Trento che «mi aveva opposto» ai miei compagni di scuola valdesi e al Vaticano
I che aveva proclamato ancora una volta l’infallibilità del papa), ma ero
talmente presa dal lavoro tra casa e scuola che non mi rendevo conto di quel
miracolo che stava succedendo. Papa Giovanni lo amavo molto, ma al momento non
capii la portata del suo gesto. Ma don Domenico Mosso, che allora era
viceparroco a Santa Teresina in Torino, nella seconda metà degli anni ’60, un
bel giorno ci spiegò la Messa: le parole in italiano e il significato
dell’essere rivolto verso di noi da un altare quasi circolare; ci fece cantare
e ci disse che potevamo anche mangiarci una caramella di menta per cantare
meglio e che avremmo potuto fare lo stesso la comunione (il digiuno dalla
mezzanotte era finito e ci si poteva pure lavare i denti senza timore di
ingerire l’acqua) e masticare (sic!) l’ostia! Fu allora che mi si aprì nel
cuore un canto di gioia: era finita la religione, per me cominciava la Fede.

Negli anni seguenti
tornai sui banchi di scuola, mi iscrissi all’Istituto Superiore di Scienze
Religiose, frequentai per quattro anni i corsi e la ricchezza dei testi del
Vaticano II insieme a quella delle Scritture mi riempì la vita. Imparai a
lavorare e ricercare con battisti, valdesi e metodisti, e pure con quelli della
Comunità ebraica. Allora abitavamo in San Salvario e la vicinanza di sinagoga,
chiesa di San Pietro e Paolo e tempio valdese, tutti racchiusi in un piccolo
spazio, fu di grande aiuto al lavoro insieme. Hai ragione, quando sottolinei
«l’universale e fondamentale chiamata alla santità come pienezza della vita
cristiana e perfezione della carità». è su questo punto che dobbiamo lavorare.

Bene, incomincio l’anno
sociale nella mia parrocchia piena di questa pagina/editoriale che tu mi hai
personalmente regalato. Grazie.

Paola Andolfi – email, 29/09/2012

Caro p. Gigi,
ho ricevuto tre giorni or
sono il numero di ottobre: visto il tema del dossier, mi ci sono buttato a
capofitto. Per coloro che hanno la nostra età, o giù di lì, il Concilio
Ecumenico Vaticano II ha rappresentato e rappresenta uno spartiacque tra il
prima e il dopo. Questo noi, vecchietti, lo sappiamo. Senza ulteriormente
dilungarmi, desidero esprimere a te personalmente e ai tuoi collaboratori il
mio grandissimo plauso. Una citazione particolare va a Mario Bandera: mai era
successo di leggere scritto da un altro il mio preciso e circostanziato
pensiero. Non c’è da modificare una virgola: ciò che espone nel suo contributo…
è come l’avessi scritto io! Grazie.
Ezio Venturelli – email, 30/09/2012


ESTREMISMI

È molto interessante la
rivista Missioni Consolata di novembre, soprattutto l’editoriale, il dossier
Jihad africana ed Armi low cost al suo interno. I nemici più pericolosi della
democrazia e del benessere sono i diversi gruppi estremisti, che possono
danneggiare la società. La violenza usata per promuovere la falsa democrazia,
il falso bene e il falso bene comune, corrompe dall’interno. Oggi, il mondo sta
subendo grandi movimenti di popolazioni, cambiamenti radicali, e l’assenza di
buon senso e di virtù morale e generosità, sta facendo prosperare l’egoismo e
la violenza. Il Novecento è stato il secolo del terrore e degli orrori, per
questo c’è la necessità di creare sistemi di valori forti e radicati,
altrimenti gli esseri umani vivranno in una società sempre più simile alla
distopia di «1984» di George Orwell.

Ci troviamo in una
situazione di limite, perché stiamo consumando le risorse del pianeta in modo
esponenziale. La vita è vissuta consumando e non elevando la cultura, la
spiritualità e la moralità. Per questo motivo ci sono sprechi, guerre, persone
che muoiono per fame e malattie facilmente curabili (se ci fossero farmaci a
basso costo e non ci fosse corruzione). Ci troveremo a vivere in un pianeta
ridotto a un’enorme struttura semi artificiale per creare cibo, per ospitare
edifici e per avere sistemi di mantenimento delle poche risorse che rimarranno.
Stiamo sfruttando al massimo il suolo, esaurendo il petrolio e i luoghi dove è
relativamente facile estrarre i minerali, stiamo cambiando il clima del pianeta
e avvelenando la terra, il mare e l’atmosfera in modo assai pericoloso.
Distruggendo le risorse al ritmo attuale stiamo preparando i conflitti futuri,
che si innescheranno per la sopravvivenza dei popoli e delle nazioni più forti,
quando il più spietato e il più progredito tecnologicamente sarà il vincitore.
Cosa faremo fra trent’anni quando la popolazione mondiale raggiungerà i 10
miliardi?

La cultura dello spreco,
del consumismo e dell’arraffa quello che puoi e disinteressati delle altre
nazioni e popoli, è arrivata alla fine. Se non si farà il necessario, ci
saranno eventi disastrosi per l’umanità. Cosa accadrà alla dignità umana,
quando ci saranno problemi come il poter vivere dignitosamente, quando ci saranno
grandi distese di case e catapecchie che non avranno i servizi igienici,
l’acqua potabile e non ci sarà cibo a sufficienza per tutti? Ci ridurremo come
nel film “2022, i sopravvissuti” (Soylent Green, di Richard Fleischer, 1973)?
Cordiali saluti.

Paolo Sanviti – email, 09/11/2012

STRAGE DI INNOCENTI IN
AFRICA

Si dibatte sempre sulla
morte di tanti bambini africani innocenti, ma vorrei far presente: Non esiste
la famiglia africana (le tribù sono quasi scomparse). Gli uomini africani, dopo
avere generato, lasciano la donnache si sobbarca l’allevamento dei figli come
può. L’occidente, dopo aver dato ai paesi africani i vaccini, gli antibiotici e
le medicine salvavita, doveva dare anche i profilattici; se li ha foiti,
perché non sono stati distribuiti? Non credete che le organizzazioni religiose
presenti in Africa si debbano assumere le loro responsabilità? Tuttavia, non è
troppo tardi per cambiare atteggiamento e affidarsi al buon senso! Grazie
dell’ascolto.

Elvira, email – 05/11/2012

Credo che su questo
argomento abbiamo una visione ben diversa. Il suo giudizio sulla famiglia
africana è tranciante, e se può corrispondere a molte delle situazioni che
dominano nelle periferie disumanizzate delle grandi città, non rispecchia la
realtà. La famiglia è ancora un’istituzione solida in Africa. Quanto alle
tribù, fosse vero che sono scomparse. Purtroppo il tribalismo è sempre forte ed
è ancora una delle cause di tanta violenza. In più sono arrivate anche delle
nuove tribù: i wazungu (europei), gli asiatici, i cinesi, che hanno introdotto
nuovi fattori di tensione.


L’occidente ha certo
delle responsabilità, ma di sicuro non quella di non aver dato profilattici;
anzi ne ha dati in quantità industriali. E non ha fornito solo condoms, ma
anche le cliniche per l’aborto, la sterilizzazione forzata delle donne,
l’imposizione di legislazioni contro le tradizioni e culture africane
riguardanti la famiglia, e il traffico di persone per sesso.


Quel che non ha dato,
invece, è giustizia, commercio equo, lavoro, dignità, rispetto e speranza. Si
sono «rubati» campi e acqua per fiori e ortaggi da esportazione, per cereali
destinati a bestiame da macello e i biocombustibili, per la produzione di cibo
per nazioni potenti e danarose. Si cacciano tribù dalle loro terre ancestrali per
far posto a impianti estrattivi, per costruire grandi bacini idroelettrici, per
sfruttare e distruggere foreste antichissime. Si sono imposti prezzi tali sulle
materie prime, minerali e prodotti agricoli, che i lavoratori sono ridotti a
livelli di schiavitù, obbligati a lavorare per sopravvivere senza avere le
risorse per curare le proprie famiglie: casa decente, scolarizzazione dei
figli, assistenza sanitaria e tempo libero.


Si continuano ad
alimentare guerre e violenze locali (vedi la situazione della zona dei Grandi
Laghi che, forse, ha fatto ancora notizia a fine novembre) per mantenere lo
sfruttamento selvaggio di minerali preziosi e strategici (come il coltan dei
nostri telefonini). Si dirà che è la corruzzione caratteristica dell’Africa che
causa tutto questo. Ma chi sono i corruttori? Chi davvero ci guadagna? Le
organizzazioni religiose, come i missionari della Consolata, sanno che la prima
risposta al problema della morte di «tanti bambini africani innocenti» non sono
i profilattici o l’aborto (che invece hanno un’efficacia letale nell’aumentare
le vittime innocenti), ma l’investimento nell’educazione (scuola per tutti),
nella promozione della giustizia e della pace (no alle guerre, al tribalismo,
al razzismo, sì al commercio equo), nella prevenzione sanitaria (difesa della
salute e del diritto alla vita) e nella creazione di posti di lavoro dignitoso
giustamente pagato (diritto al lavoro). Una coppia che abbia un’educazione di
base forte e un lavoro stabile su cui contare e la prospettiva di una pensione,
cercherà di farsi una casa che sia casa, non catapecchia, di mandare i propri
figli a una scuola di qualità, e, dovendo fare i conti con le proprie forze e
le proprie ambizioni, pianificherà anche il numero dei figli, che non saranno
mai più di tre o quattro.


Questa non è teoria. Sono
fatti osservati sul terreno in 21 anni di Kenya, vissuti a contatto con le
realtà più contradditorie: dalla vita tribale del Nord agli slums di Nairobi,
dai quartieri bene della nuova borghesia africana alle periferie rurali delle
regioni centrali e della Rift Valley.


Vogliamo davvero dare un
futuro ai bambini africani? Vogliamo tolglierci la paura di diventare troppi (o
meglio, che diventino troppi!) e di non aver più risorse per tutti? La
soluzione c’è: equa distribuzione delle risorse; rapporti inteazionali
controllati dalla politica e non dalle multinazionali del profitto; educazione,
salute e lavoro per tutti; meno condoms e più libri; meno armi e più medicine;
meno cliniche abortiste e più medicina preventiva; meno schiavitù e più fiducia
nelle responsabilità delle persone; meno farci giudici degli altri e più senso
di appartenenza paritaria alla stessa famiglia umana.


Il bello di tutto questo?
Che il futuro, lo vogliamo o no, appartiene agli africani che ancora credono
nella vita e nei bambini, non a noi che ci stiamo eutanasiando nel nostro
sterile benessere. Peccato che anche per l’Africa il nostro modello di vita
consumistico ed egoista sia una tentazione a volte irresistibile.

VOLONTARIATO
Buongiorno,

io mi chiamo Giulia e
sono un’assistente dentista professionale di Savona. So che non sono un medico
e non sono laureata ma mi piacerebbe comunque sapere se fosse possibile poter
dare il mio contributo. Attualmente lavoro in uno studio dentistico di Savona.
Io ho circa due mesi di ferie libere l’anno e vorrei davvero poter fare
qualcosa.

Giulia S. Savona,
30/10/2012

Ho già risposto a Giulia,
grazie alla rapidità della rete. Riceviamo spesso richieste d’informazioni da
parte di persone desiderose d’impegnarsi come volontari al servizio degli altri
nei paesi più poveri. Ci scrivono medici, infermieri e professionisti vari; ci
scrivono giovani come Giulia e pensionati che sentono di avere ancora tanta
energia e competenza professionale da condividere. Le richieste variano
dall’impegno «mordi e fuggi» del tempo delle ferie, a quello più stabile di un
servizio a tempo indeterminato o di alcuni anni. Questo è un tipo di
volontariato che è diverso da quello dei gruppi o persone singole che vanno per
un breve periodo in una missione a dare una mano per costruzioni, animazione o
altre attività spicciole. Oggi, tutte le attività «professionali», anche
volontarie, sono bene regolamentate in ogni paese del mondo, forse con
l’eccezione del Sud Sudan, per cui sono necessari permessi di lavoro e
riconoscimento locale dei titoli professionali. Per questo è importante
appartenere a organizzazioni di cooperazione internazionale competenti nel
settore. Ce ne sono tantissime in Italia. Esistono anche i laici Fidei Donum
cornordinati dalla Chiesa Italiana, e i missionari hanno i «Laici degli Istituti
missionari», il cui primo convegno si è effettuato all’inizio dello scorso
dicembre.


Non so se esista un
vademecum del volontariato missionario (tema di uno dei nostri prossimi
dossier?). Intanto continuate a scriverci, faremo del nostro meglio per
offrirvi delle risposte precise.

Risponde il Direttore

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