Chiamati a libertà

Studi e fatti sulla libertà religiosa nel mondo

«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13). «Il XX secolo – e l’ancor giovane XXI – sembrano segnati da una tragica contraddizione: essere il tempo del riscatto e della proclamazione dei diritti, ma essere anche il tempo in cui i diritti fondamentali possono essere ancora calpestati» (Maria Francesca Davì).

Dichiarazioni sulla libertà
La Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta a Parigi, il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver sottolineato come «tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti», negli articoli 18-21 sancisce il diritto alla libertà di pensiero e di opinione, di fede e di coscienza, di parola e di associazione. Essa costituisce la base di molte conquiste civili ed è l’orizzonte ideale di molte Costituzioni nazionali, tra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, confluita nel 2004 nella Costituzione europea.
L’articolo 18 della Dichiarazione è esplicito nel sottoscrivere l’importanza della libertà religiosa. «Ogni individuo – si legge – ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».
Oggi il diritto alla libertà religiosa è pertanto tutelato dalla maggior parte delle legislazioni degli stati modei e, in sede internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
In Italia tale diritto viene enunciato in modo ampio dalla Costituzione all’articolo 19, dove si mette in risalto che ogni persona ha diritto di professare la propria fede, di comunicarla ad altri e di praticarla in pubblico e in privato. È però un diritto che va collegato ad altri principi costituzionali, in primo luogo al principio di eguaglianza che vieta qualsiasi discriminazione a causa della religione professata, come recita l’articolo 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge».
L’Accordo di revisione del Concordato del 1929, concluso tra l’Italia e la Santa Sede nel 1984, ha poi eliminato il principio della religione cattolica come religione di stato, rafforzando in tal modo il principio di laicità nel nostro ordinamento costituzionale. Questo principio va inteso non come indifferenza verso il fenomeno religioso, ma come eguale distanza nei confronti di tutte le confessioni. Viene cioè riconosciuta la piena autonomia delle confessioni diverse dalla religione cattolica e il loro diritto di organizzarsi.
Il principio stabilito dall’articolo 8 rappresenta perciò uno dei pilastri dell’ordinamento giuridico italiano. Esso si basa sulla constatazione dell’esistenza del pluralismo delle confessioni religiose e sulla libertà religiosa riconosciuta a tutte le confessioni. A questo fine, come è affermato nella Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione dell’aprile 2007, «l’Italia favorisce il dialogo interreligioso e interculturale per far crescere il rispetto della dignità umana e contribuire al superamento di pregiudizi e intolleranze».
La libertà religiosa s’innesta, dunque, nel grande albero dei diritti umani, della libertà e della dignità dell’uomo. In altre parole la libertà è l’ambito dentro cui ha origine e si attua la libertà religiosa. Ne è un aspetto fondamentale e irrinunciabile. Nell’affermarla o negarla, molto dipende dal valore che diamo alla libertà senza fraintendimenti o limitazioni dettati da pregiudizi o ideologie. «Possiamo essere liberi solo se tutti lo siamo», scriveva il filosofo Georg Hegel; «La mia libertà finisce dove comincia la vostra», gli ha fatto eco Martin Luther King. Perché la libertà è come l’aria, se l’aria è viziata si soffre e ci si ammala; se l’aria manca o è insufficiente, si soffoca e si muore.

La lettera ai Galati di Paolo
Il problema della libertà è intimamente connesso anche con la fede cristiana. Per san Paolo i cristiani sono per definizione «chiamati a libertà» (Gal 5, 13), e l’azione salvifica di Gesù viene definita liberazione o redenzione. La lettera di Paolo ai cristiani della Galazia può infatti essere considerata un inno alla libertà. Cristo ci ha liberati da ogni schiavitù «perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5, 1).
L’azione dello Spirito, scrive Paolo, è sorgente di libertà e ha per fine l’amore. Si tratta dell’amore di Cristo riversato nei nostri cuori dallo Spirito, che sconfigge il potere del nostro egoismo. In tal modo il cristiano raggiunge la vera libertà e di conseguenza la liberazione dal dominio della legge. L’uomo che si lascia guidare dallo Spirito è al di sopra della legge, e compie liberamente ciò che la volontà divina chiede.
Il tema della liberazione è centrale nell’esperienza ebraico-cristiana e quindi in tutta la Sacra Scrittura. Gesù è annunciato nei Vangeli come colui che porta la liberazione (Lc 4, 18.21). Gli apostoli la considerano definitiva (Gv 8, 36) e nelle dichiarazioni successive è specificata come liberazione dal peccato, dalla morte eterna, dal dominio di satana e dal male, dalla schiavitù della carne e dalla legge. La liberazione da queste schiavitù ha avuto con Cristo una manifestazione nuova, aperta a promesse definitive. Dio, facendosi conoscere per mezzo di Cristo come liberatore e salvatore, ha così dimostrato il suo vero volto all’uomo e nello stesso tempo l’uomo è uscito dalla sua alienazione e ha ricuperato il suo rapporto diretto e liberante con Dio. Senza questo rapporto con Dio che libera, la fede cristiana è morta e mortificante, si perde in pratiche alienanti e pagane ed è priva di forza interiore e missionaria. Il termine di questo cammino di liberazione è l’amore, la capacità di amare e di volere il bene di tutti gli uomini.

Il Concilio Vaticano II
Tuttavia, il cammino verso la libertà, specialmente in questi ultimi secoli, non è stato un cammino esclusivo dei cristiani, la cui fede anzi da varie parti è stata accusata di essere un impedimento alla libertà. L’illuminismo ha parlato di libertà al di fuori e anche contro la società cristiana del tempo. La sinistra hegeliana, e in particolare Marx, ha sostenuto che la religione è una forma di schiavitù e di alienazione e quindi non può presumere di parlare e guidare alla libertà. Nietzsche ha prefigurato nel «superuomo» l’ideale della persona libera da ogni infantilismo religioso. Freud e la psicanalisi hanno indicato la via di un’autentica liberazione che porta l’uomo alla maturità e lo purifica da quei processi inconsci che lo inducono alla religione.
Per la Chiesa del tempo questi modi di intendere la libertà sono stati degli scossoni, che hanno stimolato nuovi studi e approfondimenti. Se ne è reso conto il Concilio Vaticano II, che nella costituzione Gaudium et Spes ha riconosciuto come «a ragione i nostri contemporanei tanto tengono e ardentemente cercano» la libertà (n. 17) da anelare «a una vita interamente libera, degna dell’uomo» (n. 10). Il Concilio ha però anche ammesso che molti aspirano a «una vera e propria liberazione dell’umanità dai soli sforzi umani» (n. 10), secondo processi laici e secolari di liberazione, senza alcun riferimento alla fede cristiana e a volte in aperta contestazione ad essa.
La Chiesa, portatrice dell’annuncio liberatore di Cristo, non sempre, lungo la sua storia ha favorito il cammino dell’umanità verso forme ampie e condivise di libertà. Essa si è trovata a ostacolare quei movimenti religiosi e culturali che a partire dai secoli centrali del medioevo perseguivano nuove mete di libertà, lontane dalle sue strutture religiose. In questi ultimi secoli non solo si è opposta all’illuminismo antireligioso, al marxismo ateo e ad altri orientamenti culturali modei, ma ha anche contrastato le conquiste di libertà che essi hanno attuato nella società e negli individui, creando gravi problemi di coscienza in molti cristiani.
Questa tendenza è stata ufficialmente rotta dal Vaticano II, ma le premesse risalgono molto indietro nel tempo. L’atteggiamento di opposizione dei cristiani ai processi laici di liberazione dell’uomo era infatti venuto progressivamente attenuandosi, fino alla «Dichiarazione sulla libertà religiosa» della Dignitatis Humanae, emanata il 7 dicembre 1965 da Paolo VI unitamente ai Padri conciliari. Pur avendo avuto una larga risonanza positiva nell’opinione pubblica, la Dichiarazione fu contestata all’interno stesso del Concilio da alcuni padri conciliari come pericolosa per la fede cristiana.
La Dichiarazione conciliare, nel proemio, è esplicita nel riconoscere che il numero «di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabilità personale» sono notevolmente aumentati, «mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive». Tale esigenza di libertà «riguarda soprattutto i valori dello spirito e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società» (n. 1). «Il contenuto di tale libertà è che gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsiasi potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente e pubblicamente, in forma individuale o associata». Inoltre il Concilio dichiarava che «il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione» (n. 2). Lungo la storia della Chiesa non c’era mai stata una presa di posizione così netta sulla libertà religiosa come appunto quella della Dignitatis Humanae.

Gli incontri di Assisi
A questi principi si sono ispirati sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II nell’esercizio del loro pontificato. Ad Assisi, luogo d’incontro e di dialogo tra culture e religioni, nel 1986 Giovanni Paolo II convocò la prima giornata di preghiera per la pace, alla quale furono invitati i rappresentanti delle principali religioni del mondo, dimostrando in tal modo come poteva essere concretamente vissuta e attuata la libertà religiosa, attraverso cioè il dialogo tra le religioni e la preghiera. L’iniziativa del papa suscitò grande scalpore, e non mancarono coloro che denunciarono il rischio che l’incontro di Assisi trasmettesse un messaggio per cui tutte le religioni sono più o meno buone e lodevoli, e che perciò suscitasse scandalo tra i fedeli, perché poteva implicare errori come l’indifferentismo, l’agnosticismo e il sincretismo religioso.
Ma anche di fronte a tali contestazioni Giovanni Paolo II non desistette dal suo impegno apostolico di convocare ad Assisi una seconda giornata interreligiosa per la pace il 24 gennaio 2002. In continuità con quest’ultimo e a vent’anni da quello del 1986, se ne è tenuto un altro il 4-5 settembre 2006, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. «Ripetere Assisi – ha ricordato durante l’incontro mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Tei-Nai-Amelia – vuol dire irrobustire e affinare l’arte dell’incontro, che richiede pazienza e audacia», e «rende possibile la convivenza anche nella diversità» contro ogni fanatismo e fondamentalismo religiosi.
Per il card. Paul Poupard, allora presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, presente all’incontro, «tre sono le sfide» che chiamano oggi in causa ogni credente:
– «approfondire la propria tradizione religiosa, non in maniera selettiva, ma nella piena fedeltà ad essa»;
– «incontrare i fedeli di altre religioni in uno spirito di reciproco rispetto, fiducia e amicizia»;
– infine, «combattere insieme per la promozione della dignità di ogni persona».
Il cardinale ha naturalmente ammesso che il dialogo tra religioni diverse non è sempre facile, ma che è importante non abbandonare la speranza. Ha inoltre precisato che il dialogo «non è e non deve essere considerato come un segno di debolezza da parte del credente. La ragione dell’impegno nel dialogo interreligioso non è l’ignoranza o l’insoddisfazione verso la propria religione. Al contrario, ci si avvicina a un altro credente perché si è fermamente radicati nella propria tradizione religiosa».

Il quarto incontro di pace ad Assisi
L’annuncio di un quarto incontro ad Assisi è arrivato a sorpresa nel 2011, all’Angelus di una domenica di aprile, nel momento in cui Benedetto XVI «dialoga» con la moltitudine dei fedeli in Piazza San Pietro. L’incontro interreligioso dedicato alla pace e al dialogo si è svolto il 27 ottobre 2011 in occasione del venticinquesimo anniversario dell’incontro del 1986 con Giovanni Paolo II. L’invito era stato rivolto a tutti i rappresentanti delle principali religioni del mondo, ma – ha osservato il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di stato Vaticano – l’invito potrebbe essere esteso anche ai non credenti. Quello di invitare ad Assisi «alcune personalità del mondo della scienza e della cultura che si definiscono non religiose – ha affermato il cardinale – non è solo per il fatto che la costruzione della pace è una responsabilità di tutti, credenti e non credenti, ma, più profondamente, perché siamo convinti che la posizione di chi non crede o fatica a credere, possa svolgere un ruolo salutare per la religione in quanto tale, per esempio nell’aiutare a evidenziae possibili degenerazioni o inautenticità che allontanano da Dio».
Il quarto incontro di Assisi è stato preceduto da un importante messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace del 2011, celebrata come tutti gli anni il 1° gennaio. «Anche l’anno che chiude le porte – ha scritto il papa nel suo messaggio – è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosi». «In tale contesto ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace». «Infatti – ha continuato il papa – risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi».
Il papa si riferiva con queste parole a quanto è accaduto e continua ad accadere dall’India al Medio Oriente, dall’Africa all’America, dove molti cristiani hanno perso la vita a causa della loro fede (25 nel 2010, 26 nel 2011). Il nome forse più conosciuto è quello di mons. Luigi Padovese, assassinato in Turchia il 3 giugno 2010, come qualche anno prima, il 5 febbraio 2006, don Andrea Santoro. Ma il papa richiama l’attenzione anche su ciò che sta accadendo nel nostro mondo occidentale, dove la religione subisce una crescente emarginazione. La religione, qualsiasi religione, viene sempre più considerata estranea alla società modea, se non addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedire la sua influenza nella vita pubblica e sociale. «Agendo così – osserva il papa – non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche le radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni».
Il messaggio di Benedetto XVI è una risposta forte e perentoria all’intolleranza religiosa, al radicalismo, alla violenza, poiché, secondo il papa, i diritti alla libertà religiosa, riconosciuti e sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sono oggi nuovamente minacciati da atteggiamenti e ideologie che ostacolano in ogni modo la libera professione della religione.
Nella libertà religiosa – ha scritto il papa – trova, infatti, espressione la specificità della persona umana ed è alla sua luce che si comprendono l’identità, il senso e il fine della persona. «Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana» ha affermato; inoltre ha ancora ricordato che la libertà religiosa è la via della pace, senza la quale è impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura.
Malcolm X, il leader afroamericano assassinato nel 1965,  diceva che «non si può separare la pace dalla libertà, perché nessuno può essere in pace senza avere la libertà». Nel suo messaggio il papa ricorda alle grandi religioni e a noi come ora, «nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre più multietniche e multiconfessionali», tutti possiamo costituire un fattore di unità e di pace, di dialogo fra tutte le religioni, dialogo che sta molto a cuore a papa Benedetto XVI in vista del bene comune e della pace nel mondo.

Giampietro Casiraghi


Gianpietro Casiraghi

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