Il silenzio e la parola

20 maggio: giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Animo e mente hanno bisogno di silenzi e riflessioni individuali e comunitarie.
Il silenzio è parte integrante della comunicazione. E favorisce il discernimento.
Le nuove forme di comunicazione, aiutano la chiesa a dialogare con l’uomo moderno.
Scopriamo il messaggio del papa per la 46a giornata delle comunicazioni sociali.

La frase del pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer «Facciamo silenzio solo per amore della Parola», sintetizza più di ogni altra considerazione il messaggio di Benedetto XVI, inviato a gennaio per la giornata delle comunicazioni sociali del 20 maggio, alla chiesa universale e a tutti coloro che desiderano confrontarsi, con serietà, responsabilità e libertà sul tema dell’informazione. La parola non sempre ci fa pensare a ciò che diciamo o fingiamo di ascoltare. La relazione tra persone, la ricerca di una sintesi nella complessa babele di parole che ci travolgono a tutti i livelli è necessaria per vivere e non sopravvivere all’urto dell’immanente flusso presente di fatti e vicende.
L’anima e la mente hanno bisogno di silenzi e riflessioni, individuali e comunitarie, anche nell’ambito di ciò che di più prezioso abbiamo ricevuto in dono. A causa delle attuali dinamiche della comunicazione siamo sommersi da un flusso continuo di domande e risposte, spesso anzi di risposte non richieste, che vorrebbero anticipare e indurre questioni di nessuna utilità.
In questo contesto, ricorda Benedetto XVI, «il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti».
Le grandi domande della filosofia, sul senso della vita, del sapere e della speranza, non si sono estinte nel cuore dell’uomo e continuano a manifestare «l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi».
Fare silenzio
Nel giorno della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e comunicatori – il messaggio del Papa parte dall’affascinante titolo «Silenzio e parola: cammino di evangelizzazione». Silenzio e parola, scrive Benedetto XVI, sono due aspetti essenziali di ogni comunicazione, senza l’uno, l’altro è privato di senso: «Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto». Per Benedetto XVI, il silenzio «apre… uno spazio di ascolto reciproco» che rende «possibile una relazione umana più piena». È nel silenzio, infatti, che «ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi», che il pensiero si «approfondisce» e che «comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro». Allo stesso modo, «tacendo, si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee».
Non a caso, prosegue il pontefice, «nelle diverse tradizioni religiose», la solitudine e il silenzio sono «spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella verità che dà significato a tutte le cose». Anche nel mondo contemporaneo, in cui l’uomo «è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte». «Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti – aggiunge papa Ratzinger -, il silenzio diventa essenziale per disceere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio».
Social network
E i social network, Facebook e Twitter? Non proprio una «benedizione» ma un segno, secondo Benedetto XVI, di considerazione verso le nuove forme di comunicazione online che essi rappresentano, dai micro messaggi di 140 caratteri o agli sms «non più lunghi di un versetto biblico», come afferma anche il cardinale Gianfranco Ravasi che accetta la sfida della comunicazione globale come una diretta conseguenza della sua missione: «Aiutare la chiesa a dialogare con l’uomo contemporaneo, cercandolo dove è, anche nel mondo del web, come un esploratore in perlustrazione in territori sconosciuti, distanti e spesso ostili, conduce la sua ricerca libero da preconcetti, con l’apertura al confronto caratteristica dell’uomo di cultura».
Le nuove tecnologie non sono guardate con sospetto dal papa ma con curiosità e apertura, nella consapevolezza che, per la Chiesa, ogni «mezzo» è «buono» se valido è il messaggio. Benedetto XVI non dimentica che viviamo in un’epoca in cui «le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali» possono aiutare l’uomo «a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda» e anche «a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio». «Nella essenzialità di brevi messaggi – aggiunge – si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità». Scrive papa Ratzinger: «Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte».
Complessità del mondo globale
Il direttore di «Civiltà Cattolica», padre Antonio Spadaro, grande esperto di nuovi media, scrive: «Parola e silenzio si integrano e non si oppongono. Il messaggio del papa scardina l’opposizione tra silenzio e parola, che ha la sua verità, ma solamente in casi estremi. Si deve sperare che da oggi in poi non si debba più assistere ad elogi del silenzio in sé e per sé, al di fuori di un tessuto comunicativo.
Chi prega sta in silenzio, ma in realtà non è di per sé vero. Chi prega elabora un linguaggio di comunicazione con Dio ed è proprio per elaborare questa parola, questo discorso, che tace esteriormente».
E oggi, nella realtà delle mille voci dissonanti e polifoniche, che sono una ricchezza, ma anche un indicatore della complessità del mondo globale, è necessario fare sintesi, pensiero, approfondimento.
Dare strumenti per comprendere e utilizzare la comunicazione, interpretarla e condurre le coscienze mature a un processo di dialogo e confronto, nel rispetto delle differenze delle fedi, delle culture e delle tradizioni che fanno dell’umanità un tesoro da salvare, per costruire un futuro sulle vie della pace e della frateità.
Parlare dell’evangelizzazione come luogo di comunicazione, è dire della relazione tra fede e comunicazione. Questo tocca tre aspetti dell’evangelizzazione: l’azione missionaria, la catechesi e la pastorale. La comunicazione ha un compito preciso in tutti gli aspetti della missione della chiesa, deve essere parte integrante di ogni piano pastorale e per questa ragione è necessaria la formazione di responsabili pastorali. Inoltre è fondamentale che i cristiani siano educati a selezionare l’informazione e a sviluppare lo spirito critico.
Nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 di Paolo VI, evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della chiesa, la sua identità più profonda. Quest’ultima esiste per evangelizzare, cioè per predicare e insegnare, essere canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo. In un primo tempo l’evangelizzazione si caratterizza nell’azione missionaria, cioè la missione «Ad gentes». La chiesa considera che la ricchezza della «buona notizia», ricevuta dalla bontà divina, è accolta per essere comunicata a tutti gli uomini. Perciò, nella pre-evangelizzazione, si tratta di stabilire degli obiettivi capaci di essere assimilati e condivisi da tutti gli uomini di buona volontà: il valore assoluto della persona umana, la difesa della vita, il valore della famiglia, il primato della verità, la possibilità di dare un senso alla vita.
la buona novella
Il linguaggio usato per l’annuncio della Buona Novella, deve essere comprensibile a chi riceve il messaggio di salvezza. Ciò richiede un processo di inculturazione inerente alla radicalità della fede, applicato soprattutto alla realtà linguistica e culturale del popolo. Nell’Ecclesia in Africa, vi è menzionato che le forme tradizionali di comunicazione sociale non debbano mai essere trascurate, perché sono ancora molto utili ed efficaci in molti centri africani. Come veicolo di saggezza e di espressione popolare, costituiscono una sorgente speciale di temi e ispirazioni per i tempi modei. La chiesa contemporanea può dunque disporre di diversi mezzi di comunicazione sociale, tanto tradizionali che modei. È suo dovere fae il miglior uso per diffondere il messaggio della salvezza.
Parlare della «comunicazione evangelizzatrice», è pure parlare dell’azione catechetica. La catechesi costituisce un momento efficace all’interno di un procedimento globale dell’evangelizzazione. Segue l’azione missionaria e precede l’azione pastorale. È l’azione «per la quale un gruppo umano interpreta la sua situazione, la vive e l’esprime alla luce del Vangelo».
Naturalmente la catechesi è comunicazione educativa e annuncio di fede, ed è, in questo senso, informazione, sulle dottrine, sulle riflessioni, sulle convinzioni. La fede rimane un «dono» di Dio e una libera adesione dell’uomo. Il documento del magistero Catechesi tradendae pone l’accento sull’importanza della comunicazione sociale e del linguaggio contemporaneo nella catechesi, nella quale devono essere orientati al dialogo, alla condivisione, alla conoscenza e all’accettazione reciproca delle diversità.
Parlare dell’azione evangelizzatrice come luogo di comunicazione è parlare della stessa azione pastorale. L’azione pastorale si riferisce a coloro che hanno l’incarico di guidare il gregge di Dio; ha per scopo l’incarnazione del Vangelo nelle condizioni di vita delle persone e si basa sul servizio della parola, la celebrazione liturgica dei sacramenti, sull’azione di carità e l’impegno sociale.
Nell’azione pastorale, la comunicazione invade tutti i settori dell’attività umana. La pastorale si occupa di un’insieme di azioni che necessitano una cornordinazione e una complementarietà, che sono possibili solamente grazie al dinamismo di comunicazione all’interno stesso della chiesa.
Tracce del Vaticano II
È a questo punto che, nell’anno del cinquantesimo anniversario dell’inizio del Vaticano II, è doveroso dare voce nella chiesa a quell’afflato di profezia che sembra smarrito. Che fine ha fatto la chiesa coraggiosa e aperta, di cui il Concilio aveva tracciato il profilo? Si è chiesto padre Bartolomeo Sorge, sulla rivista «Aggioamenti Sociali». E anche noi, oggi, dobbiamo porci lo stesso interrogativo. Le risposte manifestano più delusione e preoccupazione che fiducia e speranza. La chiesa – si dice – oggi non guarda più al futuro, ma al passato. E si citano l’involuzione in atto nei confronti della riforma liturgica; l’impasse del movimento ecumenico; l’insistenza sui «valori non negoziabili» che ostacola il dialogo; gli interventi della gerarchia che condizionano l’autonomia dei laici in politica. In realtà, non ci si può fermare a questi (e altri) casi, per quanto significativi. Un’indicazione di riflessione la fornisce Carlo Maria Martini in «Conversazioni nottue a Gerusalemme. Sul rischio della fede». Con la «parresia» evangelica che lo contraddistingue, il cardinale inizia rilevando che oggi «vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio. Il coraggio e le forze non sono più grandi come a quell’epoca e subito dopo». Come mai? «È indubbio – riconosce – che nel primo periodo di apertura alcuni valori sono stati buttati a mare. La chiesa si è dunque indebolita»; pertanto non devono sorprendere le paure e le resistenze di molti: «Posso ben comprendere le loro preoccupazioni se solo penso a quanti in questo periodo hanno abbandonato il sacerdozio, a come la chiesa sia frequentata da un numero sempre minore di fedeli e a come nella società e anche nella chiesa sia emersa una sconsiderata libertà». Tuttavia, i limiti del post Concilio non tolgono nulla alla grandezza dell’evento conciliare. «Nonostante tutto – conclude Martini – dobbiamo guardare avanti. […] credo nella prospettiva lungimirante e nell’efficacia del Concilio». La comunicazione della fede va riassunta in tre prospettive: 1. la necessità per i cristiani di «pensare in modo aperto»; 2. il bisogno che la chiesa ha di riscoprire il ruolo dei giovani; 3. l’urgenza di costruire una nuova «cultura della relazione».

Luca Rolandi

Box
Le comunicazioni e la chiesa
DAL CINEMA A FACEBOOK

Il 30 gennaio 1948 viene istituita da Pio XII la «Pontificia commissione di consulenza e di revisione ecclesiastica dei film a soggetto religioso o morale» e il 17 settembre dello stesso anno sono approvati il nuovo statuto e il nome di «Pontificia commissione per la cinematografia didattica e religiosa». Per essere più adatta alle esigenze dei nuovi mezzi di comunicazione, allora emergenti nel 1952, è di nuovo modificato lo statuto e la denominazione in «Pontificia commissione per la cinematografia» e vengono nominati numerosi esperti.
Lo sviluppo e il miglioramento di questo organismo continuò e nel 1954 il nome della commissione venne nuovamente mutato in «Pontificia commissione per la cinematografia, la radio e la televisione». L’8 settembre 1957 Pio XII promulga l’enciclica Miranda Prorsus sulle comunicazioni mentre il 17 febbraio 1958 dichiara santa Chiara d’Assisi «celeste patrona» della televisione e delle telecomunicazioni.
Nel 1959 Giovanni XXIII erige la Filmoteca Vaticana che viene affidata alla commissione. Soprattutto con il Concilio Vaticano II, che apre le porte e le finestre della chiesa al mondo, la comunicazione diventa elemento essenziale nella testimonianza e nell’evangelizzazione dei popoli. Per la prima volta in duemila anni, osservatori estei professionisti chiamati «giornalisti» sono ammessi a documentare e raccontare lo svolgimento dei lavori di un’assise così importante e influente sui destini dell’intera comunità cattolica mondiale. Del Vaticano II abbiamo riprese televisive, registrazioni audio, migliaia di fotografie e un numero sterminato di articoli che, spesso con dettagliata precisione, danno conto di dibattiti e polemiche intee che in passato sarebbero rimaste completamente segrete o, tutt’al più, sarebbero state oggetto di ricerca e analisi per gli storici, anni dopo la conclusione dell’evento. Per fare un paragone: del Concilio immediatamente precedente, il Vaticano I, abbiamo soltanto qualche dipinto e alcuni, spesso reticenti, resoconti. E nel Vaticano II viene soprattutto promulgato un documento, il decreto sui mezzi di comunicazione sociale il 4 dicembre 1963, la Inter Mirifica.
Durante il Concilio Vaticano II, Paolo VI con il motu proprio «In fructibus Multis» del 2 aprile 1964 cambia la denominazione del dicastero in «Pontificia commissione per le comunicazioni sociali» e affida a essa tutto quello che concee la comunicazione. A partire dal 1967 viene istituita da Paolo VI la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che da quella data si ripete a cadenza annuale. Con la costituzione apostolica Pastor Bonus del 1988 il dicastero viene elevato al grado di pontificio consiglio da Giovanni Paolo II. Il 20 maggio 2012 si celebra la 46esima giornata mondiale delle comunicazioni sociali sul tema «Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione».

Luca Rolandi

Luca Rolandi