WWW Terra di missione

Missione oggi: l’inculturazione digitale

La rete è la riproposizione della realtà, un’espressione di un contesto esistenziale.
Ma occorre educare al mondo digitale. E mancano delle regole di comportamento. Nella rete ci sono i valori come pace, giustizia, riconciliazione, e si possono «incontrare» molte persone di buona volontà. Per questo si può considerare la nuova frontiera della missione. Breve incontro con padre Albanese.

Giulio Albanese, giornalista e missionario, è convinto che «Inteet, o la rete, sia terra di missione», perché quel fenomeno epocale chiamato «rivoluzione dell’era digitale» ha cambiato indelebilmente il nostro stile di vita. Lui, tra le altre cose, ha fondato nel 1997 la Missionary service news agency (Misna, www.misna.org) che ha avuto il merito di concretizzare un cornordinamento tra gli istituti missionari con uno strumento digitale.
Padre Giulio ha appena pubblicato insieme al medico Sergio Pillon il saggio «Cliccate e troverete», con Infinito edizioni. Riflessioni, come le definisce lui, sulle trasformazioni causate dall’avvento del digitale, anche per il mondo missionario e la chiesa in generale.
«La rete è terra di missione, i social network sono luoghi di missione, perché in essa c’è tutto e il contrario di tutto. È una riproposizione nel contesto del digitale di quella che è la realtà.
Troppe volte siamo manichei nelle nostre valutazioni e sottolineiamo la contrapposizione che c’è tra il mondo reale e quello che consideriamo virtuale. Ma questo non è costruttivo» sostiene padre Giulio. Perché «il mondo digitale è oggi una delle espressioni dei contesti esistenziali all’interno dei quali ogni persona, o almeno chi vi ha l’accesso, ha a che fare». Quindi è parte della realtà.
E non parla solo di Inteet, ma dei cellulari, che nel bene e nel male, «sono diventati una nostra protesi di cui non possiamo fare a meno».
Giulio Albanese è nato nel 1959, quindi, come sostiene lui stesso è un «immigrato digitale», termine con il quale si connota chi è nato prima della rivoluzione digitale, che si contrappone al termine «nativi digitali», riferito a coloro venuti al mondo e cresciuti con il computer in mano.

Una rivoluzione culturale
«Attenzione, molte volte, soprattutto come missionari, rischiamo di avere un approccio unicamente strumentale rispetto al web. La rivoluzione digitale è molto di più. In una maniera o nell’altra, ognuno di noi, attraverso alla rete, è messo nelle condizioni di comunicare. Ci sono dei limiti oggettivi, come quello della fisicità. Però è importante tenere a mente che dietro a ogni computer c’è sempre una persona creata a immagine e somiglianza di Dio».
Il meccanismo che ha innescato questa «rivoluzione culturale», come sostiene Nicholas Negroponte, del Mit (Massachussetts Institute of Technology), è un’accelerazione spazio-temporale. Prima dell’avvento delle «e-mail» perché una lettera arrivasse oltreoceano passavano dei mesi, oggi si comunica in tempo reale. Questo accelera il tempo, al punto tale che lo stesso Negroponte fa corrispondere un «anno Inteet» a un mese solare.
«La vita è più frenetica, certo – continua il missionario – ed è per questo che è importante l’azione di evangelizzazione. Pensiamo alle parabole di Gesù riguardo al Regno, ad esempio proprio a quella della rete che gettata in mare prende pesci buoni e pesci cattivi, oppure al campo nel quale cresce grano buono e zizzania. Nel web c’è tutto questo, tutto è parte del Regno e il compito del mondo missionario, degli operatori della pastorale è quello di sapere realizzare un sano discernimento, andando oltre ad ogni forma di manicheismo».
«Un discernimento s’impone, proprio perché a noi, come missionari, stanno a cuore dei valori fondamentali, quelli del regno: pace, giustizia, riconciliazione, il grande tema del rispetto del creato».
Valori che nelle società occidentali (e non solo) si stanno perdendo, o sono messi in secondo piano, anche a causa della frenesia e quindi delle accelerazioni dovute ad Inteet. Allora occorre capire come si può intervenire ad esempio in un social network e far passare dei messaggi.
«Credo che la rete ci consenta tutto questo. Nel mio piccolo, già ai tempi della Misna, io ho intercettato molti giovani, alcuni dei quali hanno poi avuto la possibilità di fare esperienze di missione, altri di entrare in organismi di volontariato internazionale, in alcuni casi addirittura all’interno di un istituto missionario. Il fatto è che la stragrande maggioranza dei missionari, tranne i giovanissimi, sono “immigrati” rispetto alla rete, cioè sono nati primi della rivoluzione digitale».

Inculturazione digitale
Per gli immigrati digitali la difficoltà è maggiore. «Occorre capire che noi, venuti dal pre-digitale, dobbiamo accettare la sfida. Questo esige uno sforzo a livello di inculturazione: dobbiamo adottare linguaggi che la maggioranza di noi non conosce. Come succede quando si vuole andare in missione, si deve imparare la lingua del posto, per entrare nella rete bisogna utilizzare un linguaggio che sia consono ad essa».
Vent’anni fa si parlava di inculturazione nel senso di fare propria la cultura del popolo presso il quale si andava a lavorare, ad esempio gli indios Yanomami, oggi dobbiamo inculturarci nel mondo digitale…
«Ma ho la sensazione che da parte nostra, alle volte, non ci sia ancora questa convinzione. Non abbiamo capito che dobbiamo entrare nella rete con il cuore e con la mente, con spirito cristiano. La verità è che attraverso il web si riesce ad entrare in contatto con tanta gente di buona volontà. Tra l’altro, la barriera geografica che fino a ieri era un ostacolo, viene abbattuta».
Ma non è un percorso così facile.
«Per prima cosa è necessario essere molto pazienti, perché di fronte all’innovazione tutti sperimentano il disagio. Gli innovatori sono solitamente insopportabili, perché dicono l’esatto contrario di quello che i genitori vogliono dire ai figli, i capi di stato ai cittadini, o gli industriali agli operai. Eppure senza innovazione, dice Negroponte, siamo destinati tutti al declino. Prendendo il linguaggio del Concilio, si parla di “aggioamento”».
Qualche consiglio.
«Nella preparazione dei giovani seminaristi alla vita missionaria, le materie sono quelle canoniche, nelle migliori delle ipotesi la missiologia. Dobbiamo iniziare a capire la necessità di preparare i quadri di domani con forti competenze nel digitale, perché la rete è terra di missione. E questo significa attrezzarsi a livello di corsi, investire maggiori risorse finanziarie su questo versante.
Il mondo missionario è entrato in rete, ma a parte l’esperienza della Misna, tutti fanno fatica a fare sistema, ci si muove in maniera molto auto referenziale e il rischio è che restiamo fermi al web 1.0. Utilizziamo cioè Inteet quasi fosse una bacheca per fare vedere quello che fa il mio o tuo istituto, o rivista. Ma Inteet è molto di più: è interazione, scambio, confronto, è una grande Agorà. San Paolo e gli apostoli sono scesi nell’Agorà e lì hanno incontrato la gente.
La missione è nata nelle città. All’inizio del terzo millennio, si propone in questa grande urbe internettiana».

La chiesa nella rete
Parlando in generale della Chiesa, come sta affrontando questa rivoluzione? «Sia da parte del Papa, anche nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali di quest’anno, e più in generale da parte della Conferenza episcopale italiana, a livello istituzionale, c’è stata una grande attenzione a questo tema. L’anno scorso si è svolto a Roma il convegno “Testimoni digitali” e vi hanno preso parte tutti i rappresentati delle diocesi del nostro paese. C’era anche una discreta presenza di religiose, religiosi e missionari. Ma molto di più deve essere fatto.
A mio avviso occorre far sì che a livello della base si comprenda che si tratta di cambiare radicalmente mentalità.
Ma questo esige una grande umiltà: dobbiamo ammettere che siamo ancora molto analfabeti».
Proprio perché Inteet ha a che fare con la dimensione esistenziale, come tutte le realtà ha i suoi punti di forza e i punti di debolezza.
Consente di navigare e intercettare un mare magnum di notizie, sulle quali, però, si deve operare un sano discernimento.
«Quando si naviga in rete si è sottoposti a due fenomeni: la dispersione e la contaminazione.
Ogni volta che faccio un’indagine in Inteet attraverso un motore di ricerca, la rotta è sempre diversa, vuol dire che nel mare del web ho sempre delle cornordinate molto variabili: dispersione.
Inoltre più mi allontano dai portali che conosco e che utilizzo con la mentalità pre-digitale, più posso sperimentare la contaminazione, ovvero faccio fatica a valutare le fonti. Occorre fare il confronto tra più fonti.
Questi due fenomeni hanno un impatto a livello psicologico sulle nuove generazioni. Qui è importante offrire alla gente delle “istruzioni per l’uso”».
Istruzioni, regole, ma esiste una «morale internettiana»?
«Quando ero bambino i miei genitori mi hanno insegnato ad attraversare la strada sulle strisce. La strada è un “non luogo”, realtà di passaggio funzionale al camminare, all’andare. Per poter navigare devo rispettare il “codice della strada”, avere un regolamento che mi consenta di essere sicuro, tranquillo.
Il problema della rete è che purtroppo anche a livello di Chiesa e comunità cristiana, non abbiamo fatto abbastanza per fornire queste regole. Così si innescano meccanismi che dal punto di vista etico sono discutibili.
Nel mondo reale se entro in un negozio e rubo della merce è peccato, perché non ho pagato. Ma se nella rete, usando dei programmini, scarico illegalmente video o musica sembra non esserlo. Saltano le cornordinate. Importante è affermare il bene comune, anche nella rete, perché non è un mondo che non esiste. Il termine virtuale è ambiguo. È un’altra dimensione, la riproposizione di un mondo reale che comunque c’è».
Qui si pone un problema importante per educatori e genitori, che sono «immigrati», mentre i figli sono dei «nativi». Le preoccupazioni relative ai pericoli della rete e alla dissipazione del tempo sono molte.
«Nell’azione catechetica, le parrocchie dovrebbero offrire servizi per la comunità.
Bisogna educare anche nella rete. Il ragionamento applicato anni fa alla Tv: non è buona, non è cattiva, ha una sua neutralità. È uno strumento di comunicazione. Nella Tv puoi trovare grano buono e zizzania, lo stesso nella rete. È importante consentire agli utenti, soprattutto i giovani, di operare un sano discernimento: la sfida educativa nella rete è fondamentale, è uno degli aspetti essenziali che caratterizzano l’azione di evangelizzazione. Dobbiamo investire risorse, energie, anche soldi.
La capacità di operare una scelta tra i valori del regno e dell’anti regno».

Libertà e diritti
Il web è il mezzo di comunicazione più libero, ma siamo tutti tracciati, le nostre mail, conversazioni e foto memorizzate nei data base, così come i nostri comportamenti, i profili. Ne consegue uno strapotere dei provider (fornitori di servizio in rete) e delle compagnie telefoniche.
«È vero. Si pone una questione fondamentale, spesso strumentalizzata in maniera ideologica.
È chiaro che bisogna riaffermare il potere politico sulla rete, non all’insegna dell’oscurantismo o della censura, ma per governarla, per permettere a tutti la libertà di espressione, ma affinché comunque il bene comune venga preservato. Da questo punto di vista oggi la rete è anarchica. Bisogna mettere delle regole, proprio perché essa rappresenta un bene comune, e significa che la politica deve vigilare perché non vi siano abusi, perché l’individuo molte volte non è tutelato dalla rete. La privacy può essere stravolta. Il legislatore deve fare la sua parte.
Bisogna soprattutto vigilare su quelli che detengono il potere nella rete, mi riferisco alle compagnie telefoniche, a chi ha la proprietà delle linee e dei data base. Il rischio che corriamo è che la politica diventi non solo ancella dell’economia, con tutti i disastri che ne comporta, ma anche della rete e questo sarebbe un dramma ancora più grave».

Marco Bello

Giulio Albanese e Sergio Pillon,
«Cliccate e troverete, un missionario e un esploratore a spasso per la Rete». Prefazione di mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei, Direttore dell’ufficio nazionale per le comunicazioni sociali.
Infinito Edizioni, 2011, pp. 144.
€ 12,00. Disponibile E-book € 6,90.
www.infinitoedizioni.it.

Marco Bello